L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Percorsi

di Roberta Pedrotti

Recital per voce e pianoforte, cori di voci bianche e giovanili, concerti sinfonici e sinfonico corali: il Festival Verdi in tre giorni intreccia percorsi che raccontano sia la crescita musicale di diverse generazioni, sia il rapporto fra Verdi, posteri e contemporanei.

PARMA e BUSSETO, 10, 11 e 12 ottobre  2022 - Il programma del Festival Verdi procede fitto fitto, fra le repliche delle produzioni operistiche (cui si aggiunge il Rigoletto per ensemble da camera a Busseto), concerti, incontri e la possibilità di curiosare nelle istallazioni e le performance diffuse in città e dintorni da VerdiOff. Intanto si cerca di fare il punto della situazione sul futuro, ci si interroga su chi dovrà succedere ad Anna Maria Meo alla direzione del Regio, sulle scelte fondamentali che spettano alla nuova giunta del sindaco Michele Guerra. Da lui si aspetta lo scioglimento di tante tensioni, il consolidamento di un rigore musicologico che si accompagni sempre a una prospettiva verso il futuro e orizzonti internazionali. Non obiettivi da poco, ma non impossibili, anzi, doverosi per Verdi.

Intanto, festeggiamo il compleanno del Maestro con il consueto Galà del 10 ottobre che, a dire il vero, ha preso ormai la forma di un recital a due voci e pianoforte, quest'anno a netto vantaggio del soprano Rosa Feola, protagonista indiscussa della serata in cui il baritono (e consorte) Sergio Vitale si è limitato a intonare l'aria da camera Non t'accostare all'urna, “Eri tu” da Un ballo in maschera e il duetto “La tomba è un letto... Andrem raminghi e poveri” da Luisa Miller. Per il resto, spazio alla primadonna, che inanella, oltre al duetto citato, In solitaria stanza, Perduta ho la pace, Deh pietoso, o Addolorata dalle Sei romanze con accompagnamento di pianoforte del 1838, due pagine strutturalmente parallele per forma, scrittura belcantista e contenuto (la cabaletta innescata dalla notizia che l'amato tenore è ancora in vita) quali la cavatina di Alzira e l'aria di Amalia dai Masnadieri, pagine più liriche e introspettive come la preghiera di Giselda dai Lombardi e “Addio del passato” dalla Traviata. Un programma, accompagnato al piano da Fabio Centanni, che mette in evidenza non solo la nonchalance virtuosistica di Feola, ma anche se non soprattutto, la morbidezza del suo canto, l'omogeneità e la rotondità del timbro, la sensibilità del fraseggio, che si fa infine ben spiritoso nella romanza La zingara offerta come bis.

Intensa, ma significativa, la giornata seguente dell'11 ottobre. Nel pomeriggio approfittiamo per assistere a un concerto del ciclo Cori dal ridotto, con le voci bianche (fino ai 13 anni) e giovanili (dai 14 ai 20) di Chorus Cordis, sotto la direzione di Gabriella Corsaro. Un programma che spaziava dalla letteratura tradizionale e d'autore per queste formazioni ai brani operistici (“Là sui monti dell'Est” da Turandot, ma anche le fate del Falstaff in “Sul fil d'un soffio etesio”), ma soprattutto spaziava nell'anagrafe, a raccontare come sia importante crescere nella musica: Camilla di soli tre anni è l'irresistibile “vice maestro”, il tenore Michelangelo Turchi Sassi e il soprano Elena Alfieri, poco più che ventenni, sono “ex” dei cori preparati da Corsaro che hanno proseguito lo studio del canto in conservatorio e partecipano al concerto con brani da Roméo et Juliette e Falstaff, ma c'è anche chi non ha imboccato la strada del canto professionale tuttavia ha fatto tesoro dell'esperienza e della passione coltivate dall'infanzia negli stessi cori, come Giacomo che ora lavora al Teatro Regio (né vorremmo dimenticare fra gli over 13 Pilar Mezzadri Corona e Carolina Bartolini, impegnate come troisième fantôme nel Macbeth in versione francese al Festival Verdi 2020). Crescere con la musica è sempre importante, ovunque poi ci porti la vita. In serata ne abbiamo conferma con un bel programma affidato alla Filarmonica Toscanini al Verdi di Busseto, con il giovane Haoran Li, semifinalista dell'ultimo Concorso Toscanini, sul podio. Seguiamo un viaggio intorno a Verdi che si apre e si chiude nel segno di Un ballo in maschera. Il preludio è, infatti, il primo pezzo in una scaletta che approderà all'irresistibile Maskernball Quadrille di Johann Strauss, pezzo che Li interpreta giustamente pensando più al ballo che al canto. Troppo facile, infatti, risulta abbandonarsi al pensiero del dramma verdiano, mentre i suoi temi sono invece radicalmente ripensati in un'incalzante festa viennese. Non per nulla il caro, vecchio Willi Boskovsky dà qui parecchi punti anche a blasonate bacchette operistiche e italiane.

Fra un Ballo e i balli, bene sta la sinfonia da Roberto Devereux, che rivela nell'accostamento molte parentele strutturali con omologhi verdiani (il trattamento del tema nel tempo lento, il fugato), così come quella, esemplare della “prima maniera”, di Nabucco. Le Variations sur La Traviata de Verdi, per violino e orchestra d’archi di Marc-Olivier Dupin (1954) non colpiscono per inventiva formale ed espressiva, ma permettono di gustare l'ottima prova di Mihaela Costea come solista, giustamente applaudita anche dopo il bis (Requerdos de la Alhambra di Tarrega). Il Siegfried-Idyll di Wagner completa il quadro intorno a Verdi, sebbene l'esecuzione sia fra le meno interessanti della serata, penalizzata da una certa tendenza di Li alla pesantezza nelle arcate, a un'accentuazione un po' greve che tuttavia sembra sparire nello spirito viennese dell'epilogo, non a caso salutato da un consenso tale da esigere un bis della sequenza finale.

Questi tre giorni parmigiani culminano il 12 ottobre in uno dei programmi più interessanti del Festival, un grande concerto per coro, orchestra e soprano in cui dal giovane Verdi dell'Ernani si snoda un percorso di accostamenti e rimandi con contemporanei di varie generazioni: Catalani e Faccio, Boito e Puccini, Bottesini, Mascagni e Pizzetti. Tutti, in qualche modo, cresciuti all'ombra di Verdi, talvolta ribelli, mai impermeabili alla sua influenza, sia essa nella teatralità del cantabile, nella vitalità della scrittura corale, in alcune progressioni armoniche, in citazioni talora esplicite, nel cercare il progresso guardando all'antica scuola del contrappunto. Splende la prova del Coro del Regio preparato da Martino Faggiani, impegnatissimo e sempre mirabile per nitore, corpo e colore. Qualche passo indietro sta la prova dell'Orchestra Filarmonica Italiana, sicché Sebastiano Rolli si fa ammirare più come intellettuale (sue le note di sala che confermano il solido pensiero dietro un programma così raffinato) che come concertatore, non sempre impeccabile per esattezza e interessante nell'interpretazione. Così l'ospite d'onore Anna Pirozzi può sfoggiare la sua bella voce, tutta l'ampiezza del suo canto senza darsi troppi pensieri, fra “Ebben ne andrò lontana”, “Tu che le vanità”, “Arrigo, ah parli a un core”. Piace soprattutto nel Regina Coeli da Cavalleria rusticana, in cui lo strumento dovizioso è acceso anche dalla più alta ispirazione della serata e non per nulla sarà anche il bis richiesto a furor di popolo e tributato anche all'eccellenza del coro. Lo precedeva un “Libera me domine” che avrà fatto balzare sulla sedia tutti gli ascoltatori attenti: il programma di sala annunciava, infatti, il numero finale dalla Messa da Requiem, mentre quello che è stato eseguito – più che giustamente, trattandosi di un festival dove, peraltro, il Requiem era appena stato eseguito da altri – della prima versione del pezzo destinata alla Messa per Rossini. Peccato che sia passata in sordina quella che nei fatti è stata una delle perle di un programma di sommo interesse.


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