L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Cambi in corsa

di Luigi Raso

La defezione di Leōnidas Kavakos porta ad alcuni cambi in cartellone nel concerto diretto da Dmitry Matvienko, assai applaudito con l'Orchestra del San Carlo nella Quarta di Beethoven. Sergey Krylov sostituisce il collega come solista e al raro secondo concerto per violino di Martinů subentra quello celeberrimo di Čajkovskij.

NAPOLI, 22 giugno 2024 - Era grande l’attesa al San Carlo per l’ascolto (raro) del Concerto n. 2 per violino e orchestra di Bohuslav Martinů eseguito dal grande violinista greco Leōnidas Kavakos; ma purtroppo a due giorni dal concerto, viene annunciata l’indisposizione del solista, sostituito da Sergej Krylov; a subire modifiche è anche il programma: al posto della rarità il celeberrimo, meraviglioso, ma consueto Concerto per violino e orchestra in re maggiore, op. 35 di Pëtr Il’ič Čajkovskij.

Smaltito lo stupore - e la rabbia per qualcuno - per il cambio di violinista (e che violinista!) e programma, si ci accinge a riascoltare il Concerto di Čajkovskij (l’ultima esecuzione, affidata al funambolico violino di Giuseppe Gibboni, risale ad appena un anno fa. Qui la recensione). Composto nel 1878durante un soggiorno sul Lago di Ginevra, è considerato, per la combinazione di lirismo, espressività e virtuosismo spinto, uno dei concerti più difficili da eseguire dell’intera letteratura violinistica. Caratteristiche che Sergej Krylov dimostra di possedere, seppur in una combinazione di dosi tra loro diverse e, per l’espressività, forse deficitaria: sin dall’Allegro moderato del primo movimento, il violinista moscovita sfoggia brillantemente il proprio agguerrito bagaglio tecnico, pur al netto di qualche scusabile imprecisione in apertura.

Insieme al direttore Dmitry Matvienko, subito dopo l’esposizione del primo tema, Krylov imprime al movimento una narrazione rapinosa e innervata di tensione: bel suono, ma in acuto troppo acuminato, di buono spessore, ottima e poderosa cavata sulla quarta corda, generale precisione nei vorticosi passaggi disseminati nell’arco del movimento; a mancare, però, è la varietà di colori, lo scavo profondo nel lirismo delle melodie di Čajkovskij: a fronte di un virtuosismo ben affrontato e risolto, si avverte la mancanza di quell’abbandono lirico e di una diffusa espressività che del Concerto di Čajkovskij sono cifra connotativa non meno dei fuochi d'artificio. Intensità evanescente si nota nella successiva Canzonetta: Andante: suonata correttamente ma affrontata, a parere di chi scrive, non con la dovuta incisività. Sergej Krylov ritorna nel suo prediletto territorio virtuosistico nel Finale: Allegro vivacissimo: i passaggi tecnici spettacolari per il violino e il carattere festoso e gioioso esaltano Krylov che affronta brillantemente l’intero movimento.

Dmitry Matvienko, alla guida dell’Orchestra del San Carlo in buona forma, al netto di quale piccola sbavatura iniziale, offre una lettura calibrata sulla visione virtuosistica che Krylov ha del Concerto di Čajkovskij: lo segue, lo incita, la sua orchestra è poderoso contraddittore del fitto e, a volte, contrastato dialogo con il violino: si avverte però, anche nell’orchestra, come per lo strumento solista, la poca propensione agli abbandoni lirici, privilegiando il passo bruciante.

Applausi scoscianti, prolungati e molte chiamate alla ribalta per Sergej Krylov che regala due bis, il Capriccio n. 24 di Niccolò Paganini, affrontato con virtuosismo ben calibrato e sicuro e, a seguire, una poco incisiva e trascurabile esecuzione della Sarabande dalla Partita n. 2 per violino BWV 1004 solo di Johann Sebastian Bach.

La seconda parte del concerto, che a differenza della prima non ha subito modifiche, è imperniata sulla Sinfonia n. 4 in Si bemolle maggiore, op. 60 di Ludwig van Beethoven: composta tra il 1806 e il 1807, il genio di Bonn vi concilia e bilancia leggerezza e profondità, quasi a far da ponte tra le più drammatiche Terza e Quinta sinfonia. Dmitry Matvienko e l’Orchestra del San Carlo dimostrano immediatamente di aver più compiutamente curato, rispetto al precedente Concerto di Čajkovskij,articolazione e messa a punto generale.

Compagine orchestrale sicura, reattiva al gesto del giovane direttore che assicura un’esecuzione piena di energia, sbalzata nei contrasti (ben riuscito quello tra Adagio e Allegro vivace in apertura), dalla ritmica esplosiva, e dai contrasti dinamici, seppur oscillanti tra estremi opposti, ben delineati. Molto suggestivo il lirismo impresso all’Adagio del secondo movimento. E qui merita un encomio, per aver contribuito a dipingere questo quadretto di lirismo idilliaco, il bel primo clarinetto di Luca Milani.

Dmitry Matvienko imprime poi vivacità e continui cambi di dinamica, che donano un senso di sorpresa ed energia, all’Allegro vivace del terzo movimento.

Con l’Allegro ma non troppo del quarto e ultimo movimento, Matvienko e l’Orchestra del San Carlo, precisa e dal suono rotondo e spesso, si immergono nella vivacità e brio del rondò. Esecuzione esuberante del tema principale, che poi viene sviluppato attraverso episodi dai marcati contrasti dinamici, per poi culminare nella deflagrazione finale (eccessiva per peso sonoro) di energia della coda brillante che chiude la sinfonia.

All’energia della Quarta di Beethoven fanno da immediato contrappunto il fragore e il calore degli applausi del pubblico. Successo convinto per tutti, meritato apprezzamento per le prime parti dell’Orchestra del San Carlo e per il giovane direttore Dmitry Matvienko.


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