Lo spirito nell'incipit
di Sergio Albertini
Ottima interpretazione, al Lirico di Cagliari, del Requiem verdiano con la direzione di John Axelrod.
CAGLIARI, 29/10/2022 - Basta un inizio, a volte, per intuire che si ascolterà una grande interpretazione.
È bastato l'attacco dell'Introitus, quell'impalpabile arpeggio del violoncello e quel pianissimo degli archi con sordina per percepire l'alta concentrazione di tutta l'orchestra, il loro abbandonarsi al gesto ampio e assieme muscolare del direttore che li ha guidati in una esecuzione esemplare, e assieme, indimenticabile, del grande capolavoro verdiano. La Messa da Requiem , così frequente – per fortuna – nei nostri teatri e nelle nostre sale da concerto (personalmente, preferisco ascoltarlo per quello che è, un omaggio a Manzoni – quasi venerato da Verdi – nel primo anniversario della scomparsa, senza di volta in volta appioppargli un ricordo o una celebrazione. Vi risparmio l'elenco.). Al Teatro Lirico di Cagliari, quale tredicesimo appuntamento della stagione concertistica, in un sabato pomeriggio preludio di un lungo week end festivo, il pubblico è accorso (tuttavia, meno numeroso di quanto avrebbe dovuto). Ed ha tributato un immenso, entusiastico applauso a tutti i componenti che hanno partecipato all'esecuzione.
John Axelrod, direttore, in primis. Allievo di Bernstein, ha in qualche modo ereditato il piacere e la gioia di dirigere. Di essere 'parte' dell'orchestra, e non solo sul podio. Nei ringraziamenti, è entrato tra i musicisti, ringraziando ogni prima parte, stringendo loro le mani. Da gran signore quale è (e magari potesse essere il direttore stabile dell'orchestra, che ne è priva).
Il suo gesto, dicevo all'inizio. Chiaro, netto, e morbido assieme. Gli attacchi ai solisti e al coro, la cura nelle indicazioni delle dinamiche, l'architettura globale dell'interpretazione, che sembra prediligere un'ombrosa spiritualità ad una roboante drammatica teatralità, quel suo saper dosare anche i fortissimi mai a discapito delle voci. I tempi scelti hanno un respiro liturgico, senza ostentazioni superflue, e il lutto ed il terrore trovano sempre colori netti, limpidi. Come gli archi nella cantilena del Recordare , l'accompagnamento esemplare dell'Ingemisco , i celli e i legni nell'Offertorio , le trombe nel Tuba mirum (una intonazione impeccabile, un suono di luminosa bellezza).
Il quartetto vocale ha visto brillare Anastasia Boldyreva, mezzossoprano moscovita, per un timbro sombre dal seducente registro grave, ben in mostra nel Liber scriptus e nel duetto del Recordare. Di rigorosa eleganza Rafal Siwek, il cui Mors stupebit, profondo e morbido assieme, è stata una vera e propria lezione di grande stile.
Marigona Quekzeki, croata, giunta in extremis a sostituire la prevista Tiziana Caruso, possiede un timbro luminoso, quasi 'dorato' (se mi si consente la metafora), uno svettante registro acuto bene in evidenza nel Rex tremendae , mentre quell grave a volte arranca, come in certi passi del Libera me. Piacevole sorpresa la voce di Davide Giusti; il timbro chiaro ed una dizione scultorea, associati ad una proiezione del suono tecnicamente matura, fanno ben sperare. Ad un patto: che tenga sotto controllo una gestualità (soprattutto con le mani) eccessiva (è un Requiem, non Nemorino, suvvia!) e che eviti di accompagnare il canto e gli acuti con la spinta sulla punta dei piedi (basta già Vittorio Grigolo, per questo!).
Pubblico entusiasta. Grande pagina di musica, ottima esecuzione, memorabile serata.