L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il suono del teatro

di Roberta Pedrotti

Splendida resa musicale per Ariadne auf Naxos, per la prima volta al Comunale di Bologna e affidata alle cure di un ispiratissimo Juraj Valčuha, con i complessi del teatro in stato di grazia e un ottimo cast.

BOLOGNA, 25 marzo 2022 - Il Comunale di Bologna vanta, fra i teatri italiani, un'invidiabile serie di direttori principlai e ospiti, spesso individuati a inizio carriera e destinati a un avvenire di primo piano. Celibidache, Delman, Chailly, Gatti, Thieleman, Jurowski, Mariotti... Juraj Valčuha non ha mai ricoperto una carica ufficiale nel teatro, ma vi debuttò giovanissimo in una Bohème che aprì la strada a una proficua collaborazione con produzioni che sono rimaste impresse nella memoria. Non è da meno quest'ultima Ariadne auf Naxos che – incredibile dictu specie in una città che dalla vocazione wagneriana avrebbe dovuto trarre quantomeno una simpatia per Strauss – nella sala del Bibiena si vedeva per la prima volta.

L'attesa è stata ben ripagata, con un'orchestra che ha dato il meglio di sé sotto la guida del maestro slovacco, strumento teatralissimo della commedia reale e ideale del Prologo come dell'incantesimo metateatrale dell'Opera. Due opere in una, ma strettamente correlate, l'una lo specchio dell'altra, con quel culmine problematico in un grande duetto, per così dire, d'amore: quello fra il Compositore e Zerbinetta, quello fra Ariadne e Bacchus. La mutevolezza dei temi che seguono i filo del discorso interrompendosi, incastrandosi, cambiando di registro accompagna alla conclusione del Prologo con tale disinvoltura che l'amara cesura del deluso Compositore piomba come una ghigliottina e lascia per un istante storditi e attoniti. Nell'Opera, il suono si fa setoso, levigato, con tutte le ombre che la solitudine cosmica rappresentata da Naxos esige. E, pure, non c'è mai nulla di troppo, il contrasto con gli interventi delle maschere non si esaspera fuori misura, ma suscita un intreccio dialettico che pare indispensabile per lo scioglimento finale, con l'inconsolabile consolata in una nuova dimensione divina.

L'attesa è stata ben ripagata anche nella scelta del cast, in linea con tutte le sollecitazioni del podio. All'ingresso ci accolgono annunci: la Naiade sarà questa sera Tetiana Zurhavel e ricordandola a Macerata come Regina della notte, possiamo già considerarlo un lusso; soprattutto, però, all'indisposizione di Markus Werba come Maestro di musica ecco che sopraggiunge Johannes Martin Kränzle e si cala un vero e proprio asso per voce, carisma, classe attoriale. Senza nulla togliere al pure eccellente titolare, un ulteriore valore aggiunto in una locandina ricca di soddisfazioni, specie per il Compositore di Victoria Karkareva, giovane, bravissima, intensa, vocalmente luminosa. Le dobbiamo, con la complicità di Valčuha, autentici brividi al continuo scontrarsi con la realtà del suo sincero e poetico trasporto ideale, al suo tenero titubare di fronte a Zerbinetta. Questa è Olga Pudova, ottima equilibrista fra l'effervescenza – franca e non priva di un retrogusto malinconico – dell'aria e l'ambiguità seducente del duetto. Con lei le maschere fanno buona figura, a partire naturalmente dall'Harlekin di Tommaso Barea, per proseguire con lo squillante Brighella di Carlos Natale, il Truffaldino di Vladimir Sazdovski e lo Scaramuccio di Mathias Frey. Da Dorothea Röschmann, specie in questa fase della carriera, non ci si potrà aspettare chissà quale spessore drammatico – e difatti qualche nota suona un po' vuota nel grande monologo centrale dell'Opera – ma la militanza mozartiana assicura pulizia d'emissione e musicalità da vera Primadonna, con classe e il giusto pizzico di autoironia ben ponderata. Le fanno corona, con la citata Nayade di Zurhevel, la Driade dalla voce ampia e timbrata di Adriana di Paola e l'Eco limpida di Chiara Notarnicola. Daniel Kirch, voce un po' ruvida ma vigorosa, risolve con efficacia la parte improba e breve di Bacchus. Completano il cast Cristiano Olivieri, Maestro di ballo, Riccardo Fioratti, Parrucchiere, Maurizio Leoni, Lacché, Paolo Antognetti, Ufficiale, e l'attore Franz Tscherne quale Maggiordomo.

L'attesa si è risolta sul piano teatrale senza brividi o scossoni. Con scene e costumi di Gary McCann e luci di Howard Hudson, Paul Curran gestisce bene l'intreccio; tutto è chiaro, fluido, ben caratterizzato. Però, non prende posizione fra i diversi, possibili, piani di lettura e fra le chiavi interpretative della meta-opera di Strauss e Hofmannsthal (per inciso, sarebbe stato carino nominare il librettista nelle locandine distribuite al pubblico), risultando alla fine semplicemente innocuo. Per fortuna che c'è Valčuha, che c'è un'orchestra capace di farsi galvanizzare dal podio (e se capita una sbavatura fra i corni, non rovina la festa), che c'è un cast ben affiatato ed efficace. Difatti, e giustamente, un pubblico dall'età media felicemente bassa applaude con gran calore.


 

 

 
 
 

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