LStelle che sorgono e non tramontano
di Roberta Pedrotti
Le due compagnie di Luisa Miller a Bologna si fanno ricordare per le splendide prove, rispettivamente, di Gregory Kunde e Marta Torbidoni, con la concertazione sorprendente di un Daniel Oren al suo meglio. Molto buono nel complesso tutto il cast in entrambe le serate; la nuova produzione firmata marionanni latita sul piano registico e punta tutto su luci e fondali astratti.
BOLOGNA, 8 e 9 giugno 2022 - Luisa Miller è la storia di tre ragazzi. Tre ragazzi pieni d'amore e speranze la cui vita è rovinata dai genitori convinti di agire per il loro bene: Miller è protettivo e sospettoso, ma Luisa si sacrifica per lui; il conte di Walter attua la sua efferata scalata al potere e combina le nozze fra il figlio e la Duchessa Federica per garantirgli un futuro a corte; il padre (solo nominato) della nominata Federica l'aveva accasata - presto vedova - con un vecchio Duca con le migliori intenzioni in termini sociali e le peggiori conseguenze sentimentali. Due morti e un'infelice sarà il bilancio di tutti questi buoni propositi paterni, fra i quali si muove il viscidissimo cortigiano Wurm, che, incapace di rimorso com'è, è trafitto e non condannato a sopravvivere come Miller e il conte di Walter.
Si sente, nel trattare questo soggetto privato, sociale e generazionale, che l'evoluzione della poetica verdiana è giunta a un nodo fondamentale: raccoglie la tradizione dell'opera semiseria – sovente più politica di tante serissime trame di popoli e re – con un dramma che inizia come fosse La sonnambula, ma via via si colora di Trovatore e perfino di Otello, rinuncia per la prima volta a obblighi formali come quello della stretta del finale centrale, ma dà a ogni assolo della protagonista il piglio di una cabaletta, movimenta i concertati con dialoghi interni o li astrae in meccanismi a cappella. Insomma, i motivi per amare Luisa Miller sono molti, e se anche non la si vede tutti i giorni (comprensibile quando si devono radunare sei solisti di vaglia, senza poter trascurare nessuna parte) non è così raro trovarla nei cartelloni e quando la si incontra, se le cose funzionano, piace, piace assai. Anche a Bologna gli applausi sono copiosi e fragorosi per entrambe le compagnie anche nelle repliche di questa nuova produzione per il titolo atteso dalla primavera del 2020.
L'allestimento a cura di marionanni (nome d'arte di Mario Nanni) è in fin dei conti una mise en espace basata su istallazioni luminose in cui l'artista è specializzato. La regia quasi non c'è, l'unica idea sembra essere il ruolo simbolico dello scettro/ bastone da passeggio del Conte di Walter nel conflitto padre/figlio. Per il resto, tanta libera iniziativa in un ordinato entrare, posizionarsi, uscire sulla scena. Tuttavia, collocato nell'astrazione di luci e sfondi anche suggestivi, un minimalismo semiscenico riesce ad essere, se non interessante, almeno scorrevole.
La teatralità ce la regala, peraltro, un sorprendente Daniel Oren. Tanto ci aveva annoiati nella Tosca inaugurale – quasi il cavallo di battaglia gli concedesse il cedimento a un superficiale effettismo [Bologna, Tosca, 29/01/2022] – quanto oggi ci convince e perfino ci commuove con questo Verdi a lui meno consueto. Ci ricorda il suo vero talento, il suo istinto che non si abbandona all'estroversione, ma restituisce la tinta, il passo drammatico, le dinamiche di Luisa Miller. Piace subito, con il suo mordente autentico, ma nel terzo atto prende il volo fra il colore atro dell'ingresso di Rodolfo, l'impeto dell'invettiva, l'abbandono, l'estatico straniamento e la sublimazione nell'idea di morte – o di ipotetica fuga – fino alla sintesi dell'epilogo. Da tempo non sentivamo Oren così convincente, anche nel galvanizzare resa di orchestra e coro (ben preparato da Gea Garatti).
Le due compagnie che si alternano possono contare ciascuna su una punta di diamante, il veterano intramontabile e l'astro nascente. L'8 giugno, infatti, Luisa è Marta Torbidoni, che molto era piaciuta in Lucrezia Borgia [Bologna, Lucrezia Borgia, 11/05/2022] e qui fa ancor meglio: ha dimestichezza con la dimensione belcantista, ma sa declinarla nel linguaggio verdiano, ha il giusto peso vocale, emissione morbida, carattere e varietà d'accenti, sa essere innocente, perfino ingenua, senza perdere forza. Intorno a lei gravita la compagnia, che pure schiera un validissimo Giuseppe Gipali come Rodolfo sicuro, incisivo, ben calibrato. Bravo anche Leon Kim, che talora mostra la tentazione a qualche sottolineatura di troppo con il rischio di non dosare perfettamente le sue forze, ma vanta timbro nobile, chiara dizione, bella definizione del personaggio (ottimo il cantabile “Sacra la scelta”): si riscatta appieno dalla prova meno convincente come Conte di Luna in Lombardia in autunno [Brescia, Il trovatore, 12/12/2021]. Federica, infine, in questa recita è Sofia Koberidze, efficace ed elegante nel duetto del primo atto e nel quartetto del secondo.
Il 9 giugno trionfa come Rodolfo Gregory Kunde, che oramai appare come un miracolo vivente, ma desterebbe pari ammirazione anche se non sapessimo dei suoi sessantotto anni compiuti. Lo squillo, l'espansione della voce spiccano senza scampo fra i colleghi, anche se Kunde non si scatena in bravate tenorili, è sempre sorvegliato secondo le ragioni del canto, del testo, della collaborazione fra musicisti. Anche qui si misura la classe superiore di chi fa un tutt'uno del colore, dell'articolazione, della cura scrupolosa e insieme della naturalezza e della comunicativa, al servizio di un personaggio autentico, complesso, tormentato, dal raccoglimento attonito dell'aria agli scatti furiosi delle invettive o ai declamati soppesati ad arte. Myrtò Papatanasiu esprime bene la delicatezza e la fragilità di Luisa senza aggirare alcuno scoglio di una parte tanto insidiosa. Franco Vassallo, Miller, ha dalla sua la confidenza idiomatica dell'esperto madrelingua, ma talora la spavalderia nel registro acuto lo porta a strafare. Martina Belli è una Federica sofisticata e sensuale che mette ben a frutto una parte breve quanto cruciale.
Non cambia, sebbene il 9 fosse previsto Marko Mimica, l'interprete del conte di Walter, l'efficace Abramo Rosalen; già in cartellone per tutte le recite, Gabriele Sagona è un Wurm di gran pregio per timbro e accento. Veta Pilipenko subentra alla prevista Eleonora Filipponi come Laura e si fa notare per la bella voce pastosa anche in parte tanto esigua. Il contadino è Haruo Kawakami.
In entrambe le recite, l'abbiamo detto, il successo è vivissimo e accresce l'attesa per il prossimo Otello, sempre con Kunde protagonista.