L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Della Cecchina sorridi al desìo

di Roberta Pedrotti

Subito dopo il Rossini Opera Festival e in collaborazione con esso, debutta a Pesaro il festival Belcanto ritrovato, dedicato ai compositori meno noti del primo Ottocento. Piace e suscita interesse la Cecchina suonatrice di ghironda di Pietro Generali, sia per la buona interpretazione, sia per le soluzioni anche sperimentali adottate dal compositore, sia per un libretto che anticipa non solo Linda di Chamounix, ma anche La traviata

PESARO, 23 agosto 2022 - Sembra che, con l'ultima data del Rossini Opera Festival, il Belcanto vada in vacanza a Pesaro per riparlarne fra qualche mese, con le ricorrenze della morte e della nascita del genio. E invece no: l'Orchestra Sinfonica G. Rossini si è fatta promotrice di un'idea che il Rof lanciò nei primi anni Duemila, Il mondo delle farse, e che purtroppo durò solo pochi anni in seno al festival rossiniano. Peccato, perché il repertorio da riscoprire è immenso e se allora, anche per questioni pratiche, si puntò sulle farse in un atto dei primi decenni dell'Ottocento, in realtà fra i compositori coevi di Rossini e schiacciati dalla sua fama c'è anche molto altro su cui lavorare. Infatti, basta scorrere il programma del festival Belcanto ritrovato, che dopo un'anticipazione la scorsa estate debutta ora ufficialmente, per leggere i più diversi titoli magari bizzarri, seri o buffi, storici o letterari, o fantasiosi, rappresentati con arie, duetti, terzetti o pezzi strumentali in vari concerti nei teatri anche meno noti delle Marche. L'inaugurazione è, però, con un'opera. Una farsa, vale a dire un melodramma non necessariamente comico, di durata contenuta, esigenze sceniche moderate e una compagnia standard (in genere sei personaggi, con prima e seconda donna, un paio di buffi o baritoni brillanti, un tenore amoroso, un eventuale basso o secondo tenore). In questi termini sembra una produzione di routine, scelta proprio per la relativa praticità dell'allestimento; invece la Cecchina suonatrice di ghironda di Pietro Generali (edizione critica di Marco Beghelli con Lorenzo Nencini) è qualcosa di più complesso e interessante.

In primo luogo, il libretto. Nello stesso 1810 Gaetano Rossi lo scrive per Generali, mentre al debuttante Rossini fornisce La cambiale di matrimonio, cui seguiranno le collaborazioni per Tancredi e Semiramide. Trentadue anni dopo, invece, stenderà il libretto per Linda di Chamounix di Donizetti e, a tutta prima, l'associazione è evidente: Cecchina è una ragazza di montagna che si reca a Parigi, raggiunge una condizione di agiatezza ed è innamorata di un giovane di cui ignora le nobili origini, in entrambe le opere si suona la ghironda, strumento dei montanari migranti in città. Solo che la ghironda è anche lo strumento che usavano le prostitute per attirare i clienti ed è palese, sotto i veli dei versi, che l'ascesa economica di Cecchina sia dovuta a tale attività. Si sente aria di Traviata, ma il vago aroma diventa presenza innegabile quando viene annunciato un signore sconosciuto (lo zio del tenore presunto spiantato) che rivendica l'onore della famiglia e al quale Cecchina fa notare ferma “Non si ricorda più ch'è in casa mia”, oppure quando all'accusa di aver sedotto il giovane per spillargli soldi rivela di aver già pronti gli atti per cedergli dei possedimenti. Parallelismi davvero impressionanti, prima che Dumas figlio e Verdi stesso nascessero. C'è anche un pizzico di Manon Lescaut, nell'irruzione delle forze dell'ordine per arrestare la donna accusata di essere un'adescatrice truffaldina. Il finale, invece, viene da Goldoni: il topos dell'agnizione è antico quanto il teatro, ma non può sfuggire che il riconoscimento come figlia di un marchese di Cecchina ricalchi quello come baronessina dell'omonima Buona figliola messa in musica da Duni e Piccinni. E, si badi bene, se Goldoni si rifà alla Pamela di Richardson è proprio in questo punto che diverge dal romanzo inglese, non potendo ammettere – come dichiara esplicitamente nella prefazione al libretto – che un nobile convoli con una borghese. Insomma, Cecchina rappresenta un modello narrativo che viene da lontano, riflette un'attualità anche scabrosa, darà adito a diversi sviluppi di singoli temi. Nell'arte, nulla si crea e nulla si distrugge, ma si riconosce come genio chi sa cogliere i materiali esistenti e illuminarli di luce nuova.

Il discorso vale anche per la musica, come evidenziano anche i brani che aprono la serata: la sinfonia dalla Testa meravigliosa ci dimostra che Pietro Generali conoscesse e usasse già la tecnica del crescendo, sebbene senza possedere l'incisività che fece apparire Rossini rivoluzionario. L'aria dalla Pamela nubile (guarda caso...) sempre di Generali ci riporta al clima larmoyant che, per l'appunto, nell'opera italiana emerge nella Cecchina di Piccinni e arriva tramite anche La gazza ladra, Linda di Chamounix e La sonnambula a Luisa Miller e La traviata. Infine, si ascolta la romanza di Pierotto da Linda di Chamounix “Cari luoghi ov'io passai” con il mezzosoprano Nutsa Zakaidze accompagnata dalla ghironda di Francesco Giusta. Con l'accostamento a una situazione simile all'aria di Cecchina, abbiamo anche il confronto sonoro fra lo strumento vero e proprio e lo stratagemma di Generali per evocarlo: carte da gioco (qui ritagli di carta da forno) fra le corde degli archi e i tasti dei fiati usati a mo' di percussioni. I colpi d'archetto nel Signor Bruschino forse non sono un caso così isolato e le avanguardie più recenti non vengono dal nulla: ancora una volta, non è l'assoluta originalità del cosa a importare, ma il come. Ce ne rendiamo conto poi in maniera assai concreta con la farsa, che ancora non conosce le forme codificate da Rossini di lì a qualche anno, sebbene parli un linguaggio assai vicino. Vicino e difficilissimo, vuoi per la tenuta teatrale di recitativi (al fortepiano, Claudia Foresi) e declamati assai lunghi, vuoi per l'estensione dei pezzi d'assieme (il finale fa pensare alle Nozze di Figaro), vuoi per una scrittura insidiosa, fitta di colorature ostiche (chi dice ancora che fu Rossini a scriverle per primo per esteso?) o insistente su tessiture scomode. Daniele Agiman fa un ottimo lavoro per rendere giustizia alla teatralità del testo e nel contempo guidare l'Orchestra Sinfonica Rossini in un terreno sperimentale spesso minato e sostenere in un cimento non da poco i cantanti scelti con Ermesto Palacio e in collaborazione con l'Accademia Rossiniana Alberto Zedda e l'Accademia lirica di Osimo. Spicca la protagonista, Iolanda Massimo, che ha una voce teatrale, timbrata e presente, ma anche capace di piegarsi in figurazioni virtuosistiche complesse, di reggere un impegno non breve e gestire i vari registri espressivi, anche nella corda patetica. Bravissimo pure Paolo Ingrasciotta (il Consigliere, amichevole spasimante di Cecchina), quasi sempre in scena e nemmeno gratificato da un'aria, ma impegnatissimo negli assiemi e come attore onnipresente nei recitativi (pure con ampie parti parlate). Ramiro Maturana tratteggia con buon canto ed efficace intenzione Andrea, il fratello di Cecchina, specie nell'aria in cui decanta i benefici della vita montanara sorseggiando caffé. Pierluigi D'Aloia offre come Enrico, l'innamorato della protagonista, una prova in crescendo in una parte pure insidiosa, tutta protesa in acuto con piglio spesso eroico, mostrandosi sempre più saldo nel miglioramento evidente che abbiamo percepito negli ultimi mesi, dal Signor Bruschino a Bologna attraverso la Cenerentola per i bambini di AsLiCo. Il mezzosoprano Anya Pinto è la cameriera Fiorina, convinta a partire per i monti sposando Andrea; il basso Alan Starovoitov è un efficace Duca di Rosmond (alias, papà Germont ante litteram).

La regia di Davide Garattini Raimondi gioca sul metateatro: durante la sinfonia un gruppo di giovani decide di allestire la farsa di Generali con quanto ha a disposizione, difatti i costumi vengono dai magazzini del Rof e Massimo indossa l'abito che fu di Jessica Pratt in Adelaide di Borgogna. Tutto fila liscio, magari pigiando un po' il tasto della commedia rispetto al larmoyant o affidandosi al moto di tre comparse danzanti, ma ottimizzando così le risorse e i tempi, sicché l'esito è un bel successo, che coinvolge anche gli studenti del Liceo Artistico Mengaroni, che hanno collaborato per scenografie e video.

Non c'è cosa più bella, per un festival appena nato, che portare alla luce un testo sepolto da centonovantanove anni e convincere il pubblico, suscitare interesse, far pensare che ne valesse la pena. E, dunque, di cuore, lunga vita al Belcanto ritrovato.


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