Mal reggendo all'aspro assalto
di Roberta Pedrotti
Fiacca ripresa del Trovatore a Fidenza per il Festival Verdi. L'allestimento di Elisabetta Courir piacque poco nel 2016 e piace meno oggi; insipida e non esente da sfasamenti la concertazione di Sebastiano Rolli, che non imprime una cifra comune ad un cast piuttosto disomogeneo.
FIDENZA, 24 settembre 2022 - Il teatro Magnani di Fidenza è intitolato allo scenografo e decoratore locale Girolamo (1815-1889) che firmò allestimenti di opere verdiane, le sale di Piacenza, Reggio Emilia e della stessa città natale. Il progetto si deve invece all'architetto Nicolò Bettoli, lo stesso del Regio di Parma. Se si aggiunge che Magnani ideò le scene del Trovatore che inaugurò il teatro fidentino, la presenza del Festival Verdi in trasferta con lo stesso titolo ha più di una buona ragione nei legami con le terre verdiane oltre all'irrinunciabile Busseto – che quest'anno non ospita un'opera, bensì concerti.
Questo legame resta anche il valore principale della serata a Fidenza, quando gli sguardi ammirati rivolti alla sala si spengono nella delusione per molto di quanto si vede e si sente da buca e palcoscenico.
L'allestimento firmato da Elisabetta Courir (regia), Marco Rossi (scene), Marta del Fabbro (costumi), Gianni Pollini (luci) e Michele Merola (coreografie) risale al 2016 [Parma, Il trovatore, 30/10/2016], quando non piacque granché e lasciò solo il ricordo di un fortuita sintonia fra le foschie sul palco e quelle all'esterno. Oggi è comprensibile che il minimalismo estremo si adatti alla trasferta e alle dimensioni del Magnani, tuttavia la regia si concentra e si rinnova rivelando più di un tallone d'Achille, ambizioni irrisolte, incoerenze, gesti e simboli superflui. Piacque poco allora, oggi meno.
Il cast ha subito qualche variazione negli ultimi giorni, con l'apparizione lussuosa di Anna Pirozzi come Leonora a sostituire alla prima l'indisposta Silvia Dalla Benetta ed Enkelejda Shkoza che rileva Rossana Rinaldi, pure assente per malattia. Anche fatta la tara dei cambiamenti, però, la compagnia risulta disomogenea e soprattutto non allineata alle esigenze stilistiche che ormai si associano al Trovatore non solo in sede di festival. Alessandro Della Morte è decisamente acerbo per Ferrando, che affronta non senza difficoltà. Lascia intendere un maggior potenziale il Conte di Luna di Stefan Machlinski, anche per la bontà della pronuncia italiana, tuttavia ancora passibile di maturazione vocale e interpretativa in questo repertorio. Ilaria Alida Quilico (Ines), Paolo Toscano (Messo e Ruiz) e Chuanqi Xu (Vecchio zingaro) completano il versante giovanile del cast, mentre ben noti e in carriera erano le citate Pirozzi e Shkoza con Angelo Villari, Manrico.
Se il mezzosoprano albanese non sembra al meglio della forma e non ripete la prova convincente di sei anni fa, rivelando al contrario legati e colorature faticosi, eccessivi ricorsi al parlato, Villari conferma la solida vocalità che lo ha reso interprete assiduo di molti ruoli insidiosi dal secondo ottocento alla Giovane Scuola. È un Manrico virile, eroico, spavaldo il suo, anche se allineato a una sensibilità musicale più prossima al tardoromanticismo (e verismo) che non al belcanto, più guerriero che trovatore, non ben bilanciato rispetto a un Conte di Luna dalla vocalità più lirica. Fra loro Anna Pirozzi sembra quasi spaesata, come se la sua voce fosse troppo grande per il Magnani, come se non fosse semplice prender le misure con tutti gli elementi dello spettacolo, con una regia che la relega negli angoli per far agire il suo doppio, con una bacchetta che non sembra aiutare nessuno, nemmeno sé stessa.
È, in effetti, un caso strano quello di Sebastiano Rolli, che impone un passo piuttosto rigido anche nei cambi dinamici, che non respirano naturalmente né imprimono qualsivoglia tensione drammatica ed emotiva. Non sembra accompagnare la libertà dei cantanti, ma nemmeno imporre la sua personalità, una visione peculiare. Rifarsi all'edizione critica non è di per sé un merito, se la recita manca di mordente, se non si avverte un lavoro su fraseggio, stile, variazioni e cadenze, se si assommano imprecisioni e scollamenti fra una Toscanini flebile e sottotono (peccato: il suono è bello), un coro (quello del Regio preparato da Martino Faggiani) che canterebbe Il trovatore anche bendato a testa in giù, un cast disomogeneo ma che allinea fior di professionisti.
Alla fine, gli applausi variano d'intensità secondo il merito e premiano soprattutto Pirozzi e Villari; qualche mormorio soprattutto per Courir e il suo staff. Sotto le prime piogge autunnali, una certezza: per Il trovatore, e non solo per lui, c'è bisogno di qualcosa di più, di un'idea, di una consapevolezza, di una chiara scelta e visione teatrale e stilistica.