L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

È trionfo, non è pena

di Luigi Raso

Il ritorno di Beatrice di Tenda al Teatro di San Carlo dopo sessantun anni è salutato con applausi e ovazioni. La prima esecuzione dell'edizione critica si avvale di un cast d'ottima qualità - Pratt, Polese, Polenzani, Filonczyk - mentre la concertazione di Giacomo Sagripanti non spicca il volo.

NAPOLI, 23 settembre 2023 - “Io l’amo al pari delle altre mie figlie: spero di trovar marito anche per essa”: è racchiuso in questa dichiarazione l’affetto di Vincenzo Bellini per la sfortunata Beatrice di Tenda, melodramma dalla gestazione sofferta e tormentata, durante la quale si consumò la definitiva rottura tra il librettista Felice Romani e il compositore catanese. Per molteplici fattori e accidenti - parlarne in questa sede risulterebbe prolisso - Beatrice di Tenda non ottenne al suo apparire, nel 1833 al Teatro La Fenice di Venezia, il successo sperato; Napoli, città nella quale Bellini si era formato, ne riscattò l’iniziale insuccesso: nel 1834 fu applaudita al Teatro del Fondo (oggi, Teatro Mercadante), poi al San Carlo, dove fu eseguita fino al 1840. Ma è nel 1962 che al San Carlo va in scena un’edizione storica di Beatrice: nella parte eponima c’è una diva belcantistica del ‘900, Joan Sutherland. Da allora, a Napoli, sessantun anni di silenzio intorno a quest’opera.

Questa ripresa sancarliana, che si basa sulla recentissima edizione critica curata dal prof. Franco Piperno, suscita grande interesse e richiamo. Beatrice di Tenda stasera è proposta, per una sola rappresentazione, in forma di concerto; tuttavia, per quest’opera, la sghemba drammaturgia del libretto e l’assenza di una incalzante articolazione teatrale si addice a questa forma di esecuzione.

Giacomo Sagripanti, che lo scorso anno affrontò al San Carlo I puritani (qui la recensione), garantisce una tendenziale fluidità narrativa all’opera: opta, infatti, per un’agogica serrata, pur non rinunciando a indugiare nei cantabili; in qualche momento di maggior concitazione il concertatore si fa prendere troppo la mano, finendo per dare troppa enfasi alle dinamiche. Ma, in generale, l’adeguato accompagnamento e sostegno al canto è assicurato. Si avverte però dall’esito complessivo dell’esecuzione - probabilmente per un periodo di prove non adeguato alla concertazione di un’opera che non era nel repertorio delle compagini artistiche del San Carlo - l’assenza di una definitiva messa a punto dei meccanismi orchestrali: alcuni attacchi risultano poco precisi, l’articolazione non sempre ben calibrata e immacolata, la coesione dell’intero organico migliorabile, non all’altezza dell’elevato e consueto standard qualitativo dell’Orchestra del San Carlo. Il repertorio belcantistico, e Bellini in particolare, non conosce clemenza: se non c’è cura, quasi maniacale, degli equilibri orchestrali, dei loro ingranaggi, del fraseggio delle melodie, del giusto equilibrio tra orchestra e palcoscenico, lo si avverte, e immediatamente.

Assenza di compiuta tornitura dell’insieme si riscontra anche nella prova del Coro del San Carlo, guidato dal Maestro del Coro Aggiunto Vincenzo Caruso. Occorre però un distinguo: se la sezione maschile è in generale precisa, sfoggia bel colore e compattezza, da quella femminile, invece, stasera (troppe) dolenti note si fanno sentire, in particolare nel coro delle damigelle (“Come ogni cosa | il suo sorriso allegra”).

Molto ben assortito il cast vocale schierato per questa ripresa di Beatrice di Tenda, a cominciare dal Filippo del giovane baritono polacco Andrzej Filonczyk, la cui vocalità si giova di mezzi ragguardevoli per volume, squillo, proiezione, bel timbro; troppa enfasi - nella cavatina d’esordio, ad esempio -, e qualche sonorità eccessivamente sforzata e gonfiata compromettono le pulizia della linea e, in particolare, lo stile di canto belcantistico; ad ogni modo, il Filippo di Filonczyk ha tutti i tratti psicologici dell’uomo di potere arrogante e deciso a perseguitare innocenti.

Fulcro vocale di questa Beatrice di Tenda è Jessica Pratt, la quale, inglese naturalizzata australiana, raccoglie idealmente il testimone di Beatrice da un’altra australiana, uno dei miti assoluti della lirica, Joan Sutherland, apparsa un’unica volta al San Carlo, proprio nelle vesti della storica eroina belliniana. Jessica Pratt, debuttante nei panni di Beatrice, domina con sicurezza e naturalezza l’intera parte; la sua vocalità, protesa verso il registro acuto, dà il suo meglio e si esalta nel florilegio di acuti, agilità, picchiettati e abbellimenti; appaiono meno a fuoco i registri medio e basso, ma il suo legato è una lezione di tecnica vocale. Ad emergere è l’interpretazione di una Beatrice energica, che si oppone con veemenza alle calunnie di infedeltà, che affronta la pena capitale con composta rassegnazione.

Se, come scrive il compianto Gioacchino Lanza Tomasi (Vincenzo Bellini, Sellerio editore Palermo, 2001) “Beatrice appare piuttosto l’opera degli antagonisti, di Agnese e Orombello, che quella dei protagonisti, Beatrice e Filippo”, Chiara Polese, talentuosa allieva dell’Accademia del Teatro di San Carlo, conferisce ad Agnese il ruolo di coprotagonista: vocalità piena e intensa sin dall’esordio dietro le scene (“Ah! Non pensar che pieno”), eccellente emissione, fraseggio ben articolato, linea di canto ben levigata, sicurezza negli acuti e intensa partecipazione emotiva alle sorti di Agnese. Al termine del duetto dell’atto I con Orombello, la Polese si cala così tanto nel ruolo di (co)protagonista da tenere l’acuto conclusivo per ben tre secondi in più rispetto a quello, altrettanto luminoso, corposo e timbrato, del collega. Fatto sta che, terminato l’acuto, Orombello/Matthew Polenzani la redarguisce con sguardo di fuoco: è teatro o è realtà?

Proprio Polenzani è un Orombello convincente sotto il profilo vocale e interpretativo: voce dai notevoli volume, squillo e proiezione, ottima dizione, emissione raffinata; delinea un personaggio nobile, innamorato e clemente. Per lui Felice Romani e Vincenzo Bellini non scrivono alcuna aria, ma l’incipit del terzetto finale (“Angiol di pace all’anima”), a giudizio di chi scrive la gemma musicale di Beatrice, supplisce degnamente alla sua assenza: qui, così come nei precedenti duetti e concertati, Polenzani sfoggia il proprio bagaglio di esperienza vocale e spiccate doti d’interprete.

Dalla cantera del Teatro provengono anche Li Danyang e Sun Tianxuefei, rispettivamente Anichino e Rizzardo, i quali completano degnamente la locandina di questa Beatrice di Tenda.

Alla musicalmente spumeggiante cabaletta - “Ah! La morte cui m’appresso” - intonata dalla Pratt e al lungo acuto conclusivo seguono applausi scroscianti, prolungati e calorosissimi.

Questa interessante ripresa si chiude con un trionfo per tutti: applausi e ovazioni come se fosse appena terminata un’incandescente Traviata. Sono queste le serate a teatro che amiamo vivere.


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