Passato e futuro
di Luigi Raso
Dan Ettinger offre una lettura interlocutoria, non sempre coerente, del capolavoro di Beethoven, sostenuto dall'ottima prova dei complessi del San Carlo e da un ottimo quartetto di solisti.
NAPOLI, 20 gennaio 2023 - Sul finire dell’anno 1999, si ricorderà, le istituzioni musicali si prodigavano a programmare esecuzioni, più o meno pregevoli, della Sinfonia n. 9 in re minore di Ludwig van Beethoven. Allora si sperava che il nobile e ottimistico messaggio di fratellanza universale sublimato dal capolavoro del compositore di Bonn fosse finalmente foriero di pace, benessere e concordia per il nuovo millennio.
A quasi un quarto di secolo da quel condiviso auspicio, il presente, così come il recente passato, ha tranciato le sottili e malferme gambe delle illusioni germogliate in quel lontano periodo.
Dan Ettinger, nel presentarsi la prima volta al pubblico del Teatro San Carlo - ospitato momentaneamente dal Teatro Politeama - sceglie la Nona sinfonia, uno dei capolavori assoluti della musica occidentale, nonché una delle partiture più gravide di messianiche aspettative di magnifiche sorti e progressive per l’umanità e, volando infinitamente più basso, almeno di un’accattivante esecuzione che dia lustro all’intrinseca bellezza e genialità della sinfonia di Beethoven.
Ma purtroppo stavolta all’apparir del vero dell’esecuzione si esce dal Politeama alquanto perplessi su quanto ascoltato.
In base all’esperienza delle concertazioni di Dan Ettinger proposte in precedenza per il Teatro San Carlo (qui le nostre recensioni: Carmen, 2021; Così fan tutte, 2022; Concerto con Rosa Feola, 2022; Samson et Dalila, 2022 ) era scontato aspettarsi dal direttore israeliano una lettura vivida ed energica della Nona, improntata a tempi in linea generale spediti, dall’articolazione musicale serrata; una concertazione, cioè, in linea con i criteri esecutivi contemporanei delle sinfonie beethoveniane: concisione del discorso musicale e rapidità nel tratto, dinamiche scolpite e dilatate negli opposti, marcatura dell’aspetto ritmico, diffusa asciuttezza delle sonorità, se non proprio oggettività.
Intenzioni buone ma che, almeno, con questa esecuzione lasciano disorientati e con carenza di risposte, per la poca chiarezza circa la cifra interpretativa in concreto perseguita.
Infatti, se da un lato Ettigner opta per tempi stringenti, se la concertazione denota una capillare e lodevole analisi e vivisezione della partitura, dall’altro, non rinuncia a un’orchestra folta, a un suono tornito, corposo; in più, sin dall’incipit dell’Allegro ma non troppo, un poco maestoso del primo movimento, carico di mistero e di tensione crescente, Ettinger inizia a schiacciare, a giudizio di chi scrive, eccessivamente il pedale dell’acceleratore sonoro: l’enfatizzazione delle indicazioni dinamiche è una costante che si nota nel corso dell’esecuzione dell’intera sinfonia. Prassi esecutive contemporanee e criteri interpretativi più datati appaiono coesistere nella lettura di Ettinger, senza che la scelta del concertatore propenda definitivamente per l’una piuttosto che per l’altra.
Il primo movimento risulta indubbiamente traboccante di energia, palpitante, dominato da una vibrante pulsazione ritmica; ma l’equilibrio tendenziale tra le sezioni orchestrali, la ricerca di un suono incandescente (molto poderoso quello richiesto ai contrabbassi e ai violoncelli) cede il passo a un’oggettività esecutiva che ci impone delle domande: l’opzione interpretativa è indirizzata verso una deliberata meccanicità del discorso musicale o è alla ricerca di scorci di drammaticità che non si riescono a raggiungere?
Né la risposta alle domande e ai dubbi dell’ascoltatore proviene dal successivo Molto vivace del secondo movimento, che si presenta quale iperbole degli elementi esecutivi e interpretativi già individuati nel primo movimento.
La ritmica diventa, com’è scontato attendersi data la scrittura di Beethoven, ancor più esasperata, al pari delle dinamiche, sempre più improntate ad esaltare e ad allontanare gli estremi, il fortissimo e il pianissimo; si viaggia verso una sintesi, nell’agogica e nell’espressività, del discorso musicale. L’Orchestra del San Carlo ad ogni modo riesce a seguire il gesto - enfatico quanto preciso nel dare gli attacchi - di Ettinger e a tradurre nel giusto peso sonoro i suoi desiderata.
Non ci si stupisce se il terzo movimento della Sinfonia, il sublime Adagio molto e cantabile, risulti il movimento più debole dell’intera esecuzione, prosciugato com’è del benché minimo elemento poetico, staccato con tempo tanto rapido da appiattire l’articolazione del fraseggio.
E così il poderoso e articolato quarto movimento diviene il momento in cui si elevano ad ennesima potenza i pregi e i difetti di questa interpretazione della Nona: le sonorità si fanno ancor più possenti, scintillanti e brillanti quelle dei legni e delle percussioni, ma, al tempo stesso, si nota ancor più la predilezione per i forti e le tinte corrusche, raramente rischiarate da una rassicurante e semplice luce aurorale.
È da lodare senza remore, ancor più in presenza di sollecitazioni agogiche e dinamiche che tendono a rendere ansimante il respiro musicale dell’esecuzione, l’Orchestra del San Carlo per la buona tenuta d’insieme e, soprattutto, per dar il giusto suono e accenti al gesto di Dan Ettinger.
Ma ancor più c’è da gioire per la superlativa prova del Coro del Teatro San Carlo guidato da José Luis Basso: questa di stasera è una, tra le consuete, delle più convincenti e mirabili prove recenti. Bisogna tornare indietro al recente Samson et Dalila (qui la recensione: Samson et Dalila) per ascoltare un coro così unito e unitario nella voce, e soprattutto di una sonorità così possente da poter essere paragonato unicamente al grande organo a canne di una cattedrale tedesca.
L’esecuzione di tutte le parti vocali della Nona, com’è noto, è ben poco “comoda” per le voci, quasi quanto quella della sublime e complessa Missa solemnis in Re maggiore, Op. 123; eppure nella prova del Coro del San Carlo tutte le insidie esecutive appaiono ben smussate: il suono mantiene, oltre unitarietà e perfetta coesione tra le corde, levigatezza e rotondità scolpite.
E spetta proprio al coro sopperire con la genuina comunicatività e la forza del canto a quella asettica espressività che purtroppo serpeggia nel corso dell’esecuzione.
La prova di questa sera del Coro, che schiera i recenti vincitori del concorso per artisti del coro, è tra quelle che ricorderemo a lungo, per la precisione, la tenuta e la cura della perfetta compenetrazione delle voci, ma soprattutto per la massiccia dose di calorosa espressività apportata all’intera esecuzione della Sinfonia.
A completare l’affresco della Nona, nel complesso un encomiabile quartetto vocale solistico.
A cominciare da Ludovic Tézier, reduce dal trionfo personale nei panni di Rigoletto proprio sul palcoscenico del Teatro Politeama di Napoli (qui la recensione: Rigoletto), il quale conferisce nobiltà, morbidezza e incisività all’esortazione dei versi di Schiller. Il grande baritono francese colpisce per lo splendore degli acuti, l’omogeneità dei registri, il timbro ricco di armonici e, soprattutto, per la persuasività con la quale declama l’auspicio di Schiller/Beethoven.
Diana Damrau, incredibile dictu, debutta solo questa sera a Napoli: la forma vocale non è delle migliori, il timbro appare alquanto inaridito, ma, pur nella esiguità della parte, si scorge la caratura dell’artista.
Emissione morbida, voce dal bel timbro, registro acuto, sicuro e squillante, eccellente proiezione vocale sono le caratteristiche che rendono molto interessante la prova del tenore svizzero Bernard Richter che ci si augura poter riascoltare in futuro al Teatro San Carlo in ruolo ben più articolato rispetto a quella del tenore nella Nona sinfonia.
Completa il quartetto vocale il mezzosoprano Edna Prochnik, il cui timbro vocale sconta qualche ispessimento e aridità di troppo.
Al termine, il pubblico - non folto come ci si sarebbe aspettato dal richiamo della Nona; ma stasera su Napoli si è abbattuto un “tempo da lupi”! - accoglie gli interpreti con applausi convinti e prolungati.