Lampo, sogno, gioco
di Roberta Pedrotti
Dalla programmazione estiva principale il Rossini Opera Festival dirama ormai durante l'anno una serie di iniziative satellite come, quest'autunno, Cenerentola#25, che ricorda il quarto di secolo dal debutto del titolo al Rof. In programma un concerto con ex allievi dell'Accademia Rossiniana e un recital di Francesco Libetta.
PESARO 7, 8, 12 novembre 2023 - Il Rossini Opera Festival nasce con l'intento di restituire il “sommerso rossiniano”, intendendolo via via non solo come la mera riproposta dei titoli usciti dal repertorio e dimenticati – cosa che avrebbe potuto determinare uno sterile percorso a termine – ma soprattutto come una continua ricerca, nell'ottica di un vero e proprio laboratorio di musicologia applicata. Ecco perché il Rof non può avere senso come luccicante sfilata di divi, come scoperta e ostensione di voci: il Rof è un progetto di etica, estetica, pratica di ricerca e teatro musicale.
Bene: tuttavia può essere legittimo, allora, chiedersi cosa c'entri in tutto questo celebrare un'opera arcinota come La Cenerentola nei venticinque anni dalla sua prima apparizione nel cartellone del Festival. Alla prova dei fatti, le risposte sono molte. Una viene proprio dalla popolarità consolidata del titolo, che l'ha tenuta per quasi vent'anni lontana dal programma, come se il Rof dovesse attendere la maggiore età per affrontarla: talvolta è proprio quello che abbiamo costantemente sotto gli occhi, che siamo ormai assuefatti a vedere più che a guardare, che chiede di essere riscoperto. Anzi, teniamo ben presente che la ricerca, la riflessione non si arrestano mai, che nulla è scontato e che la missione di Pesaro va ben oltre la rassegna dell'inedito. L'incontro del 7 novembre fa della Cenerentola l'occasione per ripercorrere una parte della storia del Festival, con l'allora direttore artistico Luigi Ferrari, il critico Angelo Foletto e la direttrice scientifica della Fondazione Rossini Ilaria Narici a conversare su quella produzione del 1998 in tutti i suoi aspetti, inscindibili fra loro (perché la maestosa produzione di Luca Ronconi con Margherita Palli e Carlo Diappi aveva anche un senso musicale, tradotto in concretissima, artigianale e spericolata scenotecnica sulla scia del lavoro rivoluzionario e immane compiuto l'anno precedente da Stefanos Lazaridis con Graham Vick per Moïse et Pharon). Dal canto suo, il sovrintendente Ernesto Palacio ricorda anche come l'allestimento, venduto al Palau de les Arts di Valencia sia stato poi da questo distrutto: un peccato, sì, ma anche un monito sulla vita effimera anche della parte materiale del teatro. La storia, questa storia è e deve essere magistra vitae.
Infine, se in agosto Pesaro è la Mecca dei rossiniani, durante l'anno gli interlocutori da conquistare sono i pesaresi e la cosa non è scontata: “Rossini non è solo una pizza” è lo slogan con cui già anni fa Gianfranco Mariotti cercò di coinvolgere quei concittadini, che magari, oltre alla nota ricetta a base di maionese e uovo sodo, associano il nome del compositore alla fama della città, alla sua attrattiva per il turismo culturale, ma non ne sanno poi molto. Allora, anche durante l'anno, facendo leva sulle ricorrenze di nascita (29 febbraio) e morte (13 novembre) si può puntare a diffondere anche ciò che il melomane d'agosto dà per scontato, anche La Cenerentola. Il fatto che, ahinoi, i concerti dell'8 e del 12 novembre abbiano visto una partecipazione di pubblico davvero misera indica che c'è molto lavoro da fare e che non bisogna desistere, anzi. Il bicchiere mezzo vuoto significa l'opportunità di colmarlo e le opportunità sono tante in una città che vanta anche un bel polo culturale con strutture come la Sonosfera, per non parlare, ovviamente, del Museo Nazionale Rossini e della casa natale del compositore. Intanto, si incrementa il lavoro con le scuole, anche tramite la collaborazione con Indici opponibili per giochi e altre attività interattive.
Cenerentola in pillole
PESARO 8 novembre 2023 - La Cenerentola si sintetizza in un'ora e questo fa capire quanto è grande, dato che in questo ridotto lasso di tempo stanno due duetti e quasi tutte le arie, cinque di cui tre orbate dei pertichini. Manca, oltre all'assolo non rossiniano di Clorinda, la scena della cantina di Don Magnifico, presumibilmente sia perché il coro ha una parte troppo importante per potervi rinunciare sia perché con tre arie solo per lui, oltre al duetto con Dandini, il patrigno avrebbe finito per monopolizzare il programma. Di fronte a una Cenerentola in miniatura ci ritroviamo a constatare la complessità e l'ampiezza formale dell'ultima opera buffa rossiniana, nonostante la delicatezza poetica e la cura psicologica, la sottile malinconia suscitino sovente impressioni più tenere che monumentali. Ma, alla fine, a dominare sono sempre i grandi pezzi d'assieme e perfino disponendo di un cast quasi completo (cinque solisti su sette, assenti solo le sorellastre) sarebbe stato eseguibile in teoria solo il grande quintetto “Signor, una parola... Qui nel mio codice”.
Insomma, anche un'ora di Cenerentola è sempre un'occasione ghiotta di riflessione – oltre che di godimento musicale e vocale – per chi l'opera la conosce a memoria e l'ha vista e sentita mille volte. Per chi non la conosce – e dovrebbe essere uno degli obiettivi di quest'iniziativa – un bell'aperitivo per dischiudere poi le porte alla meraviglia della rappresentazione completa. Intanto, è anche un banco di prova per un cast tutto proveniente dall'Accademia Rossiniana, seppure con diversi livelli d'esperienza. Giovani, certo, ma già in carriera sono la protagonista Chiara Tirotta e Pietro Adaini, Don Ramiro. Il mezzosoprano calabrese dimostra di avere tutte le carte in regola per essere una perfetta Angelina, a partire dal sorriso luminoso come il colore della sua voce e il modo di porgere dolce e tenero anche nel canto di coloratura, preciso e fantasioso, fluido e vario. Il tenore siciliano pure conferma, in una parte con la quale ha evidente confidenza, il grande potenziale naturale, ma anche la sensazione che, per metterlo meglio a frutto, il passaggio all'acuto potrebbe essere perfezionato.
Don Magnifico è Giuseppe Toia, che impressiona per la chiarezza di articolazione perfino nel diabolico sillabato di “Sia qualunque delle figlie”, in cui ogni parola si intende nitida e ben delineata con giusta intenzione (e proprio per questo si consiglia di non optare in futuro per la libertà di distinguere e sottolineare “chi una cattedra e chi è un ciuccio”, che fa perdere l'identità fra l'ignorante patentato e l'aspirante docente per raccomandazione). Davvero riuscito risulta, per la qualità del recitar cantando, anche il duetto “Un segreto d'importanza”, con cui Toia trova un ottimo contraltare nel Dandini di Matteo Mancini, che merita pure una lode per la difficoltà della cavatina “Come un'ape ne' giorni d'aprile” affrontata in solitudine, senza interlocutori e pertichini. Giacomo Nanni, infine, completa il programma con la non meno impegnativa “Là del ciel nell'arcano profondo”. Al pianoforte, il pure giovane Alessandro Uva si presenta come un'altra valida promessa, buon sostegno al canto con tempi giustamente attenti alla corretta articolazione e non protesi a una folle corsa.
I presenti lasciano a buon diritto il Teatro Rossini con il sorriso sulle labbra, aspettando La Cenerentola completa che viaggerà per le Marche all'inizio del nuovo anno.
Rossini al pianoforte
PESARO 12 novembre 2023 - Alla vigilia della ricorrenza della morte di Rossini, prima dei concerti di Berlino e New York, il piccolo ciclo autunnale di appuntamenti dedicati alla Cenerentola si compie a Pesaro con il recital di Francesco Libetta. E già qui abbiamo motivo di esultare come ogni volta in cui un pianista concertista di vaglia affronta la produzione del Pesarese. Questi si sarà anche schernito definendosi “pianista di quarta classe”, ma visse a Parigi nello stesso momento di Chopin e Liszt, quanto quest'ultimo si sfidava con Thalberg e si fronteggiavano i paladini degli strumenti Erard o Pleyel (Rossini stava con quest'ultimo). E non fu testimone passivo, come dimostra la qualità delle sue pagine, che forse sarebbe ora di annoverare fra i contributi italiani più significativi alla letteratura per lo strumento dopo Clementi e, intendendo in senso lato lo strumento a tastiera, i grandi di XVII e XVIII secolo.
Il programma si apre con cinque pezzi rossiniani per poi proseguire con trascrizioni, omaggi e parafrasi. Ecco allora subito La pésarèse, Un petit train de plaisir (eseguito senza enunciare le didascalie, il che conferisce una prospettiva differente all'ascolto, reso meno teatrale), la delicata e toccante Una caresse à ma femme, l'irresistibile Petit Caprice style Offenbach (alto virtuosismo in cui la diteggiatura diventa gesto scenico e parte integrante della partitura, con i passi da eseguirsi solo con indice e mignolo per la fama menagrama dell'autore di Orphée aux Enfers), la Marce et réminiscences pour mon dernier voyage, che davvero commuove, specie alla vigilia del 13 novembre, per l'intima, nostalgica partecipazione che traspare da questa struttura quasi presaga dei Quadri di Musorgskij, con l'affiorare di frammenti dal Barbiere, da Tancredi, La donna del lago o Semiramide in una sorta di Promenade.
Seguono le Sei contraddanze su temi di Rossini di Pasquale Sogner (1793 – 1842), pezzi inevitabilmente meno interessanti, se non come testimonianze della diffusione in varie forme dell'opera del Pesarese, in questo caso da Demetrio e Polibio a Matilde di Shabran, passando per Mosé in Egitto, Il turco in Italia, Il barbiere di Siviglia e La Cenerentola. Si torna così all'opera cardine di questa costola autunnale del Rossini Opera Festival. Valerio Valeri (1790 – 1858) trascrive a memoria e varia il tema di “Non più mesta accanto al fuoco”, con esiti perfino sorprendenti proprio per la libertà rispetto all'originale. Lo stesso Rondò è rivisitato da E. C. Vernet (chissà se parente dell'Horace Vernet, pittore, che fu compagno di Olympe Pélissier prima che questa si unisse a Rossini?), mentre l'intera sinfonia è oggetto di una trascrizione di Libetta sulla base di quella di Friedrich Kalkbrenner (1785 – 1849). Il cerchio si compie passando dalla Cenerentola a Guillaume Tell nella versione pianistica della sinfonia approntata da Liszt, vale a dire dal campione del possente virtuosismo associato alla casa Erard rispetto al cantabile sfumato dei Pleyel rossiniani. Eppure, qui s'incontrano, ed è anzi gustoso confrontare questa versione davvero trascendentale con la reminiscenza che, invece, l'autore aveva fatto balenare pour son dernier voyage. La morbidezza di tocco, la cura del suono con contrasti calibratissimi e il virtuosismo disinvolto di Libetta sono il filo conduttore che permette di apprezzare ogni elemento del programma in rapporto con un discorso compiuto, fino ai due eloquentissimi bis che hanno gratificato i presenti: le trascrizioni del “Cujus animam” dallo Stabat Mater, quantomai sfaccettato, e, travolgente, della Danza, la celeberrima tarantella napoletana.