L'eleganza fra i tasti
di Roberta Pedrotti
Michele Campanella, direttore e solista con la Filarmonica marchigiana, offre una lezione di musicalità fra l'olimpico classicismo mozartiano, il romanticismo inquieto di Schumann e quello narrativo di Weber, per concludere con una piccola perla schubertiana.
MACERATA, 2 febbraio 2024 - Dal perlaceo, apollineo classicismo di Mozart all'inquietudine romantica di Schumann e alla suggestione narrativa di Weber: questo il viaggio al cuore dell'Europa e della prima affermazione e gloria del pianoforte nelle “geografie musicali” della stagione della Filarmonica marchigiana. Il Concerto n. 25 in do maggiore K. 503, il Konzertstück in sol maggiore op. 92 e il Konzertstück in fa minore op. 79 J. 282 rappresentano l'arco fra due sensibilità, dalla forma cristallina del Concerto al più vago e libero concetto di Stück, pezzo, da un equilibrio a un movimento, sia nel confronto fra le anime complementari di Eusebio e Florestano sia nel racconto d'atmosfera medievale. Cambia anche l'idea di suono, da un secolo all'altro, e qui lo si percepisce fisicamente, con un cambio di meccanica nell'intervallo, per dare, nello strumento curato da Roberto Valli, in Mozart una risposta più leggera, limpida, immediata; in Schumann e Weber una maggior profondità e densità. Se ci si fermasse qui, però, si rischierebbe di arenare il viaggio in un documentario didascalico, in un esercizio accademico: una gita di istruzione nozionistica e non un'esperienza completa. C'è di più, infatti, perché il programma è cucito su misura per Michele Campanella, che ha sollecitato con Valli l'elaborazione anche dello stratagemma tecnico, messo naturalmente al servizio della classe e della sensibilità dell'artista.
Saranno settantasette anni il 5 giugno (condivide il compleanno con Martha Argerich: evidentemente è una buona giornata per i pianisti e la longevità artistica!), ma non si sentono quando le dita scorrono sulla tastiera dipanando una musicalità squisita come la signorilità che trasmette il sorriso bonario del napoletano colto, ironico e affabile. Concertatore e solista insieme, cerca la complicità dell'orchestra, comunica un'idea musicale di condivisione affettuosa, che subito prende forma nel concerto mozartiano, limpido e luminoso come una fonte alpina nella lettura di Campanella. Il gusto nel legato, negli abbellimenti, nelle cadenze sembra attingere a un'immagine ideale, distillata ma non priva di delicatezza, in una franca, amabile sincerità espressiva. Un tutt'uno con la naturalezza del suono morbido e raccolto, ma anche nitido e quasi analitico della prima meccanica. Un filo conduttore, quello di un'eleganza cordiale e arguta, si connette tuttavia fluido alla più corposa e contrastante sostanza dei brani ottocenteschi, allorché nella partitura schumanniana dedicata all'amata Clara Wieck si trovano a dialogare il placido Eusebio e il focoso Florestano, la riflessione e l'azione. Un moto dell'anima che fa il paio con la rappresentazione invece teatrale e quasi visiva dell'avventura del crociato nel pezzo di Weber, a cui Campanella dona anche sapienti tocchi d'ironia, come se un'eco di una rappresentazione di pupi siciliani balenasse fra le pagine di un Walter Scott, o come se si prefigurassero le gaudenti avventure del Comte Ory rossiniano. Sempre con gusto e buon senso.
Infine, il concertatore cede tutto il campo al solista per il bis atteso dopo un programma atipico, che vedeva sempre il pianoforte al fianco dell'orchestra. Campanella prende nuovamente la parola, come aveva già fatto per spiegare il cambio di meccanica e introdurre la seconda parte della serata, e da buon padrone di casa e affabulatore propone un Momento musicale di Schubert: dalle parole si scivola nelle note come se nulla fosse, come in un salotto ottocentesco. Ancora una volta la meccanica del pianoforte sembra materializzarsi direttamente nella musica, l'avorio dei tasti delinea il cameo eburneo di finissima fattura, semplice e sincero. Insomma, un altro esempio di autentica signorilità musicale, senza fronzoli e maniera.