L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Spirito mistico

di Luigi Raso

La magnetica e musicalissima Barbara Hannigan con la preziosa collaborazione di Bertrand Chamayou, offre al pubblico del San Carlo un recital che spazia dalla spiritualità di Messiaen al misticismo di Skrjabin e alle tradizioni sciamaniche evocate da Zorn.

NAPOLI, 11 maggio 2024 - Conquista ed ipnotizza il San Carlo Barbara Hannigan; e con un programma non popolare, di quelli che, spesso con superficialità e prevenzione, si tacciano come “ostici”. Eppure la Hannigan, con l’apporto decisivo e determinante dell’ottimo Bertrand Chamayou al pianoforte, grazie al suo magnetismo, all’innata e strabordante musicalità impiega pochi minuti per ottenere, a composizione non ancora conclusa, il primo caloroso applauso.

Si incomincia infatti con ciclo dei Chants de Terre et de Ciel di Olivier Messiaen, del 1938: composizione grondante di profonda e genuina religiosità, nella quale - l’opera si compone di sei canti - Olivier Messiaen specchia le proprie intime emozioni legate alla gioia della paternità, dell’amore per la sua donna: ma sono il misticismo e la fede, filo conduttore e comune denominatore dei Chants, come evidenziato approfonditamente nel saggio di Dario Ascoli contenuto nel programma di sala, ad identificare la cifra connotativa della composizione. Il cattolicesimo di Olivier Messiaen è autentico e convinto: è l’autore, è noto, di una delle opere più intense e sentite degli ultimi decenni del Novecento, Saint François d'Assise, del 1983.Chants de Terre et de Ciel è partitura improntata a profonda spiritualità.

In questo magma sconcertante di parole, emozioni, misticismo, fede, ricordi, sensazioni, Barbara Hannigan si immerge, è proprio il caso di dire, con voce e corpo: canta, interpreta e “dirige se stessa”, tanto è evidente all’occhio il coinvolgimento e la compenetrazione della sua figura con il suo canto. La Hannigan, soprano raffinato e carismatico, interprete di riferimento della musica novecentesca e contemporanea, si affianca alla Hannigan direttrice d’orchestra: i suoi movimenti, perfettamente calibrati sul ductus del canto, rafforzano un’espressività vocale che indaga e dà suono ed emozione ad ogni cellula musicale.

Attenzione spasmodica ad ogni inflessione del testo francese e ad ogni accento, immersione totalizzante nello spirito, così complesso e vario, della composizione, unito alle indubbie doti vocali del soprano canadese - che, grazie al dominio tecnico, riesce a trattare la propria voce come uno strumento - rendono questa interpretazione dei Chants de Terre et de Ciel memorabile e carismatica. All’ottimo pianista Bertrand Chamayou va riconosciuto il merito, tutt’altro che secondario, di aver saputo dipingere per ciascun chant l’atmosfera sonora più adeguata e vicina alle intenzioni espressive della Hannigan.

Chamayou ha tocco nitido, sonoro, perfettamente timbrato, un’ampia gamma dinamica, denota spiccata aderenza stilistica: caratteristiche che si apprezzano ancor più nei successivi Poème-nocturne e Vers la flamme, composizioni pianistiche di Aleksandr Skrjabin dall’intensità rovente, nelle quali domina il cromatismo e una ricerca di un’espressività armonica seppur ancorata alla banchina della tonalità: di questi empito innovativo e dell’inteso lirismo dei due brani è magnifico interprete Bertrand Chamayou: le due pagine di Skrjabin diventano il canale emotivo attraverso il quale traghettare il pubblico verso l’ultima parte del recital (che viene eseguito senza interruzioni), Jumalattaret (del 2019) di John Zorn, compositore newyorkese nato nel 1953.

Jumalattaret, ciclo di canzoni in onore di nove divinità finlandesi dello sciamanesimo dei Sami, ha ottenuto il Premio Abbiati 2023 quale “Novità per l'Italia”: composizione indubbiamente accattivante per il pot-pourri digeneri musicali (vi si ascoltano echi di jazz, folk, minimalismo, ecc.), che strizza l’occhio al pubblico; dopo l’ascolto, tuttavia, resta il dubbio su quanto possa essere definito davvero “nuovo” questo ciclo: certo sperimentalismo vocale, che costituisce l’ossatura della composizione, è evocazione di ben più ardite innovazioni musicali già tentate, con esiti più interessanti, nella seconda metà nel secolo scorso. Tra sussurri, gorgheggi, spasimi, vocalizzi, sperimentalismo sonoro pianistico (anche questo già udito, in verità), John Zorn tiene saldo il collegamento con la tradizione melodica, tenuta in vita soprattutto dal ripetere di semplici schemi melodici affidati al pianoforte, qui strumento deputato a creare estatiche atmosfere sonore.

Jumalattaret è composizione concepita e scritta per le doti tecniche ed espressive della vocalità di Barbara Hannigan, che qui trova la possibilità di stupire e incantare con un uso ardito del proprio strumento-voce: sospira, geme, vocalizza, declama, sibila, sussurra in un saggio stupefacente di tecnica vocale. Ma la Hannigan artista è presente, con quel binomio perfetto di voce e corpo al quale si è accennato in apertura, in ogni piega della composizione, perfettamente coadiuvata nella ricerca ossessiva di suoni e sonorità insolite e percussive, pur al netto di un diffuso déjà vu, dal pianoforte di Bertrand Chamayou.

Successo convinto e caloroso da parte del pubblico per uno dei concerti più interessanti e “spiazzanti” degli ultimi anni.

Barbara Hannigan tornerà prestissimo sul palcoscenico del San Carlo: dal 24 al 30 maggio vestirà i panni di Elle nella Voix humaine di Francis Poulenc, che sarà preceduta dal Castello di Barbablù di Béla Bartók il cui cast schiera un’altra primadonna dei nostri giorni, Elīna Garanča.


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