Bruckner e la catarsi
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia accoglie in cartellone un ospite di lunga data, Semyon Bychkov, che dirige un’intensa Sinfonia n. 8 in do minore di Anton Bruckner.
ROMA, 24 maggio 2022 – L’Ottava di Anton Bruckner è certamente la sua sinfonia più celebre non solo per l’architettura monumentale, ma anche per l’intensità emotiva di molti momenti, über alles l’Adagio. Tanto complessa che l’autore l’ha modificata più volte e la tradizione esecutiva ne conosce, di conseguenza, più di una versione. Quella eseguita stasera da Semyon Bychkov è la versione del 1890, rivista da Robert Haas. Val la pena ricordare che l’ultima esecuzione dell’Ottava all’Accademia di Santa Cecilia fu quella, abbastanza recente, di Antonio Pappano nel 2019 (la recensione).
Il Bruckner di Bychkov è, già sulla carta, del massimo interesse. Semyon Bychkov assomma in sé la tradizione europea russa, coniugandola alle atmosfere americane, sincretiche, che ha sperimentato da ragazzo, quando vi emigrò in conseguenza degli screzi con il Partito Comunista Sovietico. In particolare, il direttore è un esperto del repertorio tardoromantico, di cui ha esplorato i compositori più rappresentativi. Non stupisce, dunque, che il concerto sia stato applauditissimo, anche dagli stessi orchestrali, che tributano un omaggio al direttore alla fine della lunghissima Ottava. Un omaggio, del resto, meritato. Fin dall’Allegro moderato si notano le doti di Bychkov: innanzitutto, una visione sintetica della partitura, netta, ma non rigida, ben assestata e centrata, direi; inoltre, la capacità di imprimere chiarezza ritmica ed agogica, senza mai sfibrare il suono, né per eccessiva accelerazione, né per eccessiva larghezza. Il I movimento, infatti, scorre ottimamente, netto nelle sue strutture più complesse, monumentali, nelle sue giganti campiture di suono (si sarà notata la poderosità del blocco degli archi), con gli ottoni che sovente svettano – Bychkov li tiene, in un certo senso, sempre a bada; ma l’Allegro moderato è composto anche, nel suo elefantiaco sviluppo, di zone più soffuse, dove legni ed archi intrecciano crepuscoli malinconici. Bychkov dà prova di sensibile tocco quando sfuma il finale del movimento, facendo evaporare delicatamente il suono. Lo Scherzo palesa un carattere svelto, energico e coreutico, pur nel tessuto ‘spesso’, oserei dire quasi ‘pesante’ del suono di Bruckner. In tal senso, Bychkov è magistrale nel dosare i volumi, i guizzi orchestrali e le verticalizzazioni, ricche di un’ironia, al solito, mai pienamente dionisiaca (e che dovrebbe, forse, evocare la figura, goffamente satirica, del deutcher Michel). Il trio riesce splendidamente, placido ed idilliaco. Il momento più alto dell’Ottava è, con ogni probabilità, l’Adagio. Qui la tenuta dell’orchestra, sempre ottimale per tutta la performance, raggiunge livelli impressionanti. Bychkov, pur fedele alla sua idea di austera nettezza agogica (che ben si sposa, peraltro, con l’ethos della musica di Bruckner), si profonde, lievemente, in qualche respiro più largo, per sottolineare l’intensità emotiva del brano, carico di una malinconia, di un carattere chiaroscurale di volumetrica densità. Gli archi disegnano l’ondeggiare dei pensieri, anche più neri, dell’animo umano, ma scolpiscono pure il tema principale, il quale, inargentato dagli accordi delle arpe, si addolcisce in venature sonore paradisiache. Bychkov è magistrale nel ripetere i blocchi strutturali di cui l’Adagio è costituito, rendendo chiara ed efficace la tipica struttura bruckneriana a ripetizione seriale, come se il compositore tentasse sempre, all’infinito, di arrivare a qualcosa che non riesce, comunque, ad afferrare. L’Ottava si chiude con un Finale maestoso, al solito, dove lo sviluppo si incardina in disegni illuminati dalla potenza degli ottoni, quasi sacralmente scanditi: nel finale, la riproposizione del tema del I movimento nella tonalità di do maggiore chiude la sinfonia in un’atmosfera di compiuta catarsi.