L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ratio e Streben

di Roberta Pedrotti

In sostituzione del previsto Daniele Gatti, indisposto, John Eliot Gardiner porta a compimento l'integrale beethoveniana dell'Orchestra Mozart con una lettura personale, e per molti versi interlocutoria, dell'Ottava e della Nona sinfonia.

BOLOGNA, 20 settembre 2024 - Vent'anni di vita dell'Orchestra Mozart, dieci anni dalla morte del suo fondatore Claudio Abbado, duecento anni dalla prima assoluta della Nona sinfonia: il 2024 doveva essere il coronamento dell'integrale beethoveniana intrapresa da Daniele Gatti con la compagine bolognese, ma purtroppo il destino ha bussato alla porta. Mentre l'attesa cresceva spasmodica e i biglietti andavano a ruba, un'indisposizione ferma il direttore designato già prima delle prove. Per cominciare il lavoro ci possono essere gli assistenti (e Matteo Parmeggiani, già allievo di Gatti all'Accademia Chigiana, è convocato immediatamente), ma per il concerto bisogna trovare una soluzione e senza indugi. La risposta arriva rapida e importante: sarà Sir John Eliot Gardiner a rilevare il podio per quest'ultima tappa: Ottava e Nona sinfonia. Non c'è che dire, una soluzione d'alto profilo, che cambia le aspettative senza renderle meno stuzzicanti.

E mentre si almanacca sul concerto che non c'è, vale a dire su cosa avrebbe fatto quel Gatti (a distanza di una ventina d'anni dal suo Beethoven con il Comunale) che ancora campeggia su programmi e locandine che non si è fatto in tempo a ristampare, si drizzano le orecchie verso quel che Gardiner ha concertato a tempo di record.

Non v'è dubbio che proprio il tempo non abbia giocato a favore del direttore inglese, per di più avvezzo a collaborare con complessi fidati, in collaborazioni continuative. Comprensibile e percepibile, pertanto, una relazione più laboriosa che naturale fra il suo gesto e l'orchestra, lasciando intendere che un respiro e un'intenzione comuni sarebbero più facilmente arrivati con ritmi di preparazione meno frenetici. Purtroppo, però, l'emergenza incombeva e ancora una volta si è ammirata la qualità dell'orchestra Mozart non solo per il valore dei singoli, ma soprattutto per la capacità di ascolto reciproco che resta valore fondante impresso da Abbado. E se tutti i soli delle prime parti meritano un elogio, una lode speciale va levata alla storica spalla Raphael Christ. È uno spettacolo da vedere oltre che da ascoltare, non solo per come suona, ma anche e soprattutto per come adempie al suo ruolo di guida e riferimento, carismatico ma non accentratore.

Si veleggia, insomma, sicuri ad alti livelli e l'esito della serata è già assicurato nella qualità strumentale, lasciando spazio alla riflessione sulla lettura di Gardiner. Al netto della situazione concitata, si avverte una visione verticale della partitura, poco incline a concedersi alle cellule melodiche, incalzate semmai nell'agogica. Il discorso del metronomo beethoveniano – inevitabile quando si parla dell'Ottava sinfonia, legata all'influenza dell'invenzione di Mätzel – può essere complesso, ma anche ozioso: il tempo giusto sarà semplicemente quello coerente prima di tutto con i tempi di emissione, articolazione e diffusione del suono per garantire la chiarezza del segno scritto e, quindi, con l'idea del concertatore. Il tactus di Gardiner è incalzante, né la cosa di per sé spiace, anche se talora manca un po' di respiro nella frase. Si va, viceversa, verso una scansione vigorosa, con accenti assertivi che sembrano delimitare blocchi e portare in evidenza voci anche secondarie. Ne è esempio palese il rilievo conferito al timpano (ricercando una certa durezza) e si potrà discutere non senza ragione se queste scelte siano sempre interessanti o non restino talora fini a sé stesse, oltre che portatrici di qualche squilibrio. Considerate le contingenze e le problematiche connesse, è comunque possibile soppesare la resa delle intenzioni di Gardiner, segnate dalla sua esperienza storicamente informata per quel che concerne non solo l'incedere dinamico e agogico, ma anche la concezione stessa del tessuto orchestrale, che guarda chiaramente a una radice barocca così impostata.

Oltre la contingenza del concerto, la riflessione sulla prospettiva di Gardiner abbraccia in senso più generale la natura stessa delle due sinfonie. L'Ottava è fulminea nella sua mezz'oretta scarsa di allegri e allegretti fra cui ricompare il settecentesco Minuetto che ormai sembrava aver definitivamente ceduto il passo allo Scherzo con trio. Questa leggerezza e vivacità diventa, però un'arma a doppio taglio, perché il concetto di scansione del tempo che la pervade (ispirata, è vero, dall'invenzione del metronomo, ma non così estranea allo spirito già dell'Andante della sinfonia n. 101 di Haydn, L'orologio, o alla Sinfonia dei giocattoli) può dar adito a qualche frenesia meccanica che rende compatta e omogenea una definizione agogica viceversa ben sfumata, senza dimenticare il rischio di qualche pesantezza nel terzo movimento. Se da un lato si apprezza la qualità smagliante dell'orchestra e l'energia del podio, dall'altro il pericolo d'esserne travolti non è del tutto scampato. Se poi l'Ottava si volge a una forma classica e mette in campo una visione scientifica e misurabile del tempo, in un Illuminismo razionale, applicato e concreto, la Nona è la Sinfonia “impossibile” in cui dell'Illuminismo di prende l'ideale rivoluzionario, lo slancio utopico e lo si porta alle estreme conseguenze. Difficile pensare a un pezzo, nella storia della musica occidentale, che abbia meglio incarnato l'idea di avanguardia (e ben prima che qualcuno pensasse di chiamare così un movimento artistico). Nulla di simile era stato tentato prima d'allora, qualcosa di totalmente nuovo e in così ampie proporzioni. Qualunque invenzione da lì in poi sarà debitrice della Nona e dovrà fare i conti con lei. Questo significa anche ci troviamo a un livello di sperimentazione tale da rasentare spesso l'eccesso, da non offrire punti di riferimento di fatto impossibili. E impossibile forse è venirne davvero a capo: si potrà semmai cercare di dar voce a questa sperimentazione estrema, mettersi al suo servizio, offrire un proprio tassello, un contributo nella visione dell'empireo. L'asserzione ritmica, il vigore degli accenti, le sottolineature inaspettate e il contenimento di ogni tentazione lirica e cantabile qui pervadono come l'Ottava anche la Nona e per ragioni diverse il risultato resta interlocutorio, fra elementi suggestivi o comunque intriganti e altri irrigiditi o più meccanici, fra dinamiche robuste che preferiscono contrasti definiti ai passaggi sfumati. Uno Streben vigoroso, spasmodico sembra lì a scompigliare le carte creando un continuo interrogativo nei confronti della materia (l'Ottava) e dello spirito (la Nona).

Per l'apoteosi finale all'Orchestra Mozart (sempre eccellente) si unisce validissimo il Coro del Comunale di Bologna preparato dalla sua direttrice Gea Garatti Ansini: fa piacere vederlo coinvolto in collaborazioni di questa importanza e speriamo possa essere costantemente valorizzato. Il quartetto dei solisti vede in prima linea il baritono Markus Werba con la sua entusiastica sollecitazione iniziale; il tenore Bernard Richter pare più a suo agio nello scandire la marcia che nell'alleggerire il canto; meritano una lode convinta il soprano Lenneke Ruiten e il mezzosoprano Eleonora Filipponi, cui sono riservate da Beethoven grandi fatiche e limitate soddisfazioni (se non quelle artistiche e intellettuali d'esser parte d'un tale monumento). Nell'iperbolica articolazione dell'inno – con le voci a farsi strumenti ma portatrici di parola, come se il logos infine nascesse dal magma ordinato del puro suono – la scansione di Gardiner resta serrata, tesa, mirando però più a una solennità di stampo oratoriale che all'akmé travolgente di uno spirito faustiano. Un epilogo che sono in apparenza stupisce, ma è in realtà coerente con la forza massiccia, percussiva il direttore dato dal barocco legge il limite estremo dell'illuminismo beethoveniano. Se poi la coerenza dell'idea corrisponda a una realizzazione in tutto convincente, è questione su cui si potrà nutrire ancora qualche dubbio; tuttavia, la sala nel suo complesso dubbi non sembra averne e gli applausi si protraggono a lungo entusiastici.


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