L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Maestri cantori mediterranei

di Luigi Raso

Con la luminosa concertazione di Pablo Heras-Casado, la prova eccellente dei complessi stabili, un cast equilibrato e convincente, la regia fluida e curata di Laurent Pelly, Die Meistersinger von Nürnberg al Real di Madrid sono coronati da un meritato successo.

MADRID, 14 maggio 2024 - Los maestros cantores de Nùremberg,la traduzione in castigliano, ovviamente limitata al solo titolo dell’opera, dei Meistersinger von Nürnberg che si legge sulle locandine del Teatro Real di Madrid spiazza alquanto. Suona desueto, oggi, vederlo nella lingua del paese in cui si dà lo spettacolo. Eppure, assorbito lo stupore iniziale, la traduzione è rivelatrice della cifra di lettura, nonché il punto di partenza per le considerazioni su questo spettacolo, indubbiamente il più impegnativo della Temporada (ultimo termine in castigliano) 2023 - 2024 del Teatro Real di Madrid per un titolo assente da ventidue anni dalla capitale spagnola.

Da un teatro di un Paese “latino”, qual è sicuramente la Spagna, si attende una lettura dei Meistersinger von Nürnberg sicuramente diversa da quella attesa da un teatro di area germanica. Senza scomodare allusioni sterili (e idiote) alla categoria, tanto in voga, del “sovranismo musicale”, è innegabile che l’esecuzione della musica di Wagner riceve diverse declinazioni esecutive, per la sensibilità e le caratteristiche dei complessi artistici, a seconda del luogo in cui viene seguita: si vuole soltanto dire che Wagner, così come si esegue a Madrid, in Italia, Portogallo, ecc, sarà diverso da quello che si ascolta in Germania o Austria.

Stasera la concertazione di Pablo Heras-Casado è, sin dal Preludio all’Atto I, orientata alla ricerca di una cantabilità mediterranea, di una morbidezza nell’articolazione orchestrale, di sonorità, come meglio si dirà in seguito, vellutate, a tratti quasi cameristiche e trasparenti. Giusto per limitarsi a un esempio, il suono degli ottoni, così presenti nel citato Preludio, appare smussato, ingentilito; ma è tutta l’opera ad essere condotta con garbo e passo antiretorico. L'andaluso Heras-Casado dà la sensazione di aver ben chiaro che Die Meistersinger von Nürnberg è una commedia, e come tale la tratta, benché contenga considerazioni di ordine estetico e disquisizione sull’arte: qui Wagner narra innanzitutto una storia di uomini, prima ancora che di idee, archetipi e simboli.

Concertazione, quindi, concreta, dal passo teatrale rapido, attenta a mettere in evidenza la articolata e dottissima trama contrappuntistica che regge l’impalcatura dei Meistersinger von Nürnberg; precisa, dal tratto spedito, ma sempre attenta a non sottrarre ai solisti e al coro gli ampi territori di cantabilità che la scrittura di Wagner pretende. L’esecuzione della fuga che conclude l’atto II - rischiosissima per la tenuta generale - è condotta con sicurezza e perizia tecnica: tutto si ingrana tra le tortuose volute contrappuntistiche della pagina.

È una lettura dei Meistersinger von Nürnberg, quella di Pablo Heras-Casado, che per nitore e colore dà l’impressione di voler riversare sulle grigie stradine di Norimberga la luce abbacinante che flagella gli stretti e bianchi vicoli dell’Albayzín di Granada.

E poi c’è da lodare l’ottimo accompagnamento che Heras-Casado riserva al canto: si ascoltano frequentemente passi quasi cameristici per quanto il suono strumentale è alleggerito, calibrato sui cantanti e sul coro. Si percepisce un perfetto equilibrio fonico tra palcoscenico e orchestra, compagine, quella del Teatro Real, in forma davvero smagliante in tutte le sue sezioni. Molto caldo il suono degli archi, pulito quello degli legni, morbido quello degli ottoni, sicure le percussioni.

In una partitura così complessa e vasta la clemenza sarebbe d’obbligo nei confronti di qualche cedimento o sbandamento: invece l’Orchestra del Teatro Real si dimostra attenta, affidabile e duttile; e, in più sfoggia un colore caldo, luminoso, traduzione sonora delle intenzioni del direttore.

Restiamo alla maestranze artistiche per lodare l’impegno e il palpabile entusiasmo del Coro del Teatro Real, alla cui guida, da otto mesi, c’è José Luis Basso. Ben consapevole del ruolo di assoluto rilievo che in quest’opera Wagner assegna alla compagine corale, si resta stupiti per l’ampiezza della gamma dinamica, che va da precisi e perfettamente tenuti pianissimo al poderoso fortissimo dell’apoteosi sonora che chiude l’opera. Così, il corale che apre il primo atto è di una compattezza stupefacente: un monolite sonoro che sprigiona suoni rotondi, tutti perfettamente tenuti sul fiato.

La declinazione “mediterranea” della lettura dei Meistersinger von Nürnberg di Pablo Heras-Casado trova una solida sponda nella preparazione del Coro da parte di José Luis Basso: quella morbidezza che si ritrova nell’orchestra del direttore andaluso, la si ritrova, quasi speculare, nel Coro dell’argentino José Luis Basso. È, infatti, precisissimo e puntuale nella frastagliatissima articolazione della fuga della rissa a conclusione dell’atto II: le diverse voci si sovrappongono perfettamente alle sezioni orchestrali alle quali sono “abbinate” da Wagner stesso, creando così una sintesi nitida, precisa e coinvolgente. Poderoso, una vera e propria detonazione catartica di entusiasmo, è il Coro nell’intero atto III: qui si apprezzano lo spessore sonoro, le dinamiche, i bei e vari colori, il perfetto amalgama creato dai ben centododici coristi chiamati a fare da colonna portante di questa eccellente, coinvolgente e garbata esecuzione dei Meistersinger von Nürnberg.

È anche merito della concertazione di Pablo Heras-Cassado se le quasi sei ore dello spettacolo (nel computo sono compresi i due intervalli) danno la sensazione di scorrere rapide: la qualità dell’esecuzione musicale non ha cedimenti grazie alla qualità espressa dall’orchestra e dal coro del Teatro Real.

Nel complesso eccellente ed equilibrato è il cast vocale, che vede in Gerald Finley un Hans Sachs raffinatissimo, introspettivo, fine cesellatore di frasi musicali, attore pregnante. La vocalità del basso-baritono canadese non ha probabilmente il peso specifico e la robustezza che la parte (soprattutto nel finale) richiederebbe, però supplisce a questa mancanza con una linea sempre corretta, con una fraseggio analitico ed elegante. Artista intelligente, musicale e attento, Gerald Finley scolpisce un Sachs nobile nella rinuncia, elegante e, soprattutto, umano.

Nicole Chevalier è un’Eva molto credibile scenicamente, la voce tuttavia non ha quella freschezza che la parte della giovane richiede (qualche forzatura e asprezze di troppo increspano il colore e la linea di canto), ma di lei si apprezza l’intelligenza musicale e l’interpretazione costantemente espressiva.

Tomislav Mužek nei panni di Walther von Stolzing ha, in primo luogo, il merito di giungere al termine di una parte sfiancante in ottime condizioni vocali: e ciò, per la complessità e per lo sforzo fisico che richiede, è un dato tutt’altro che secondario. Poi ha dalla sua un timbro vocale luminoso e giovanile; una maggiore robustezza vocale, unita a suoni del passaggio tra registro medio e acuto più fluidi e smussati, avrebbe giovato alla sua interpretazione, comunque lodevole per gli affondi cantabili ed elegiaci e la cura del fraseggio. Scenicamente dipinge un Walther credibile e convincente.

Leigh Melrose impressiona per come scolpisce la figura di Sixtus Beckmesser: le sue doti d’attore restituiscono, con dovizia di particolari, tic, e gestualità affettata e caricaturale, l’immagine di una persona ottusa e meschina. Dal punto di vista vocale il baritono inglese non è da meno: raffinato, attento al fraseggio, alle inflessioni. Convince e rende ben poco simpatico il ridicolo personaggio

Efficace, malgrado qualche forzatura di troppo nel registro acuto, è la Magdalene di Anna Lapkovskaja. Jongmin Park èVeit Pogner, basso dalla voce solida, abbastanza cupa, piena e pastosa; sta in scena perfettamente, con posa autorevole. Molto espressivo e ottimo attore è il David di Sebastian Kohlhepp.

Die Meistersinger von Nürnberg, è noto, richiedono una folta schiera di ruoli secondari, essenziali, nel raffinatissimo ordito di incastri musicali concepito da Wagner, per una buona esecuzione dell’opera: in questa produzioni i ruoli minori sono tutti eccellenti, e adeguatamente inseriti nel meccanismo interno dello spettacolo.

Per dovere di cronaca e per dar merito ai singoli artisti che hanno reso possibile la realizzazione di questa eccellente produzione si elencano: convincono il pellicciaio Kunz Vogelgesang di Paul Schweinester, lo stagnaio Konrad Nachtigal di Barnaby Rea, il fornaio Fritz Kothner di José Antonio López, il fonditore Balthasar Zorn di Albert Casals, il droghiere Ulrich Eisslinger di Kyle van Schoonhoven, il sarto Augustin Moser di Jorge Rodríguez-Norton, il saponaio Hermann Ortel di Bjørn Waag, il calzettaio Hans Schwarz di Valeriano Lanchas, il calderaio Hans Foltz di Frederic Jost, il guardiano notturno dell’ottimo Alexander Tsymbalyuk.

A rendere estremamente godibile lo spettacolo, tanto da non determinare alcun cedimento dell’attenzione nel corso della maratona musicale, contribuisce, e significativamente, la regia sapiente e garbata di Laurent Pelly che rilegge la commedia seguendo e percorrendo la drammaturgia di Wagner, ma soprattutto curando la recitazione dei protagonisti fin quasi al manierismo.

È un racconto poetico, garbato e sarcastico quello che Laurent Pelly dà dei Meistersinger von Nürnberg, ambientato in una Norimberga (la scenografia è firmata da Caroline Ginet, mentre i costumi, con rimandi anche all’800, dallo stesso Pelly e da Jacques Delmotte, le luci da Urs Schönebaum) circoscritta in uno spazio angusto: pareti sbilenche, con innesti di vetromattone, delimitano lo spazio teatrale, che assume le sembianze ora dell’interno di una cattedrale, ora di abitazione e bottega di Hans Sachs. Le caratteristiche case con i tetti spioventi di Norimberga sono di cartone: voleranno furiosamente nella baruffa del finale dell’atto II, probabilmente un’allusione alla distruzione della città bavarese da parte dei bombardamenti degli Alleati. Pochi colori nei primi due atti, un fondale che ritrae le Alpi bavaresi ravviva il cromatismo durante la tenzone poetica e che sarà stracciato cedendo il passo a minacciosi nuvoloni proprio quando Hans Sachs esalta l’arte tedesca nell’inquietante peana finale.

Colpisce la cura della recitazione che Laurent Pelly chiede (e ottiene) da cantanti: magistrale è la rappresentazione della pedanteria dei Maestri cantori; perfettamente distribuite le folte masse artistiche sul palcoscenico, sapiente la gestione dei loro movimenti. La regia si propone di raccontare, seguendo la drammaturgia di Wagner, una commedia, prestando molta cura alle interazioni tra i personaggi: a Pelly può rimproverarsi, semmai, di non aver evidenziato i significati estetici espressi nella sintesi tra tradizione e innovazione contenuta nel retorico appello di Hans Sachs, ma il rischio, in un’opera smisurata come DieMeistersinger von Nürnberg, di perdere il bandolo della narrazione e dell’analisi è sempre in agguato. Il regista probabilmente sceglie di non addentrarsi nella polpa della drammaturgia dell’opera, nel groviglio della sua estetica. La sua narrazione è sempre funzionale, curata e improntata a perseguire una diffusa teatralità che fa evaporare l’oggettiva prolissità di alcune pagine.

Dopo quasi sei ore di spettacolo la sala gremita del Teatro Real non registra defezioni; anzi, Die Meistersinger von Nürnberg e tutti i protagonisti dello spettacolo, malgrado la tarda ora (ma si è pur sempre a Madrid, e ciò non costituisce un problema!), sono salutati da applausi interminabili e, soprattutto, calorosissimi: un bel vedere e un bel sentire a chiusura di uno spettacolo interessante, godibile e molto ben costruito.


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