L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La vittoria di Liù

di Irina Sorokina

Dopo il galà televisivo della sera prima, la stagione areniana si apre con una Turandot senza sorprese in cui spicca Mariangela Sicilia come Liù.

VERONA, 8 giugno 2024 - Non c’è nulla di nuovo sotto i cieli di Verona, verrebbe ad esclamare scorrendo con gli occhi il cartellone del Festival areniano: la maggior parte delle produzioni sono nate tanti o addirittura tantissimi anni fa. Solo la messa in scena della Bohème è una novità, per il resto ai melomani tocca assistere a ben conosciute e collaudate produzione degli anni passati quali la storica Aida (oggi, in presenza al suo fianco dell’Aida firmata da Stefano Poda, viene chiamata Aida 1913), Turandot, Il barbiere di Siviglia, Carmen, Tosca. Dalla lista dei titoli in cartellone si capisce anche che si va sul sicuro, si punta agli allestimenti ben fatti, firmati da solo due grandi personaggi del mondo della lirica, Franco Zeffirelli e Hugo De Ana. La sempreverde Turandot (la prima nel 2010) ha aperto ufficialmente il centunesimo Arena di Verona Opera Festival.

Forse, non tutti ricordano chequattordici anni fa, nel 2010, la direzione del Festival areniano decise di fare una specie di regalo all’anziano scenografo e regista, storica figura del teatro e del cinema italiani. Il regalo stava nel far tornare in scena tutte le sue produzioni per Arena di Verona, cinque in tutto. Tra loro solo Turandot avrebbe potuto pretendere di chiamarsi “nuova”, ma in realtà fu una specie di sintesi tra le messe in scena al Teatro alla Scala di Milano, nel 1983, e al Metropolitan Opera di New York, nel 1986.

Uno dei più belli e riusciti allestimenti di Zeffirelli dopo tanti anni conferma la sua straordinaria vitalità. Tutto è stato detto sulla sua bellezza, la quale non è danneggiata più di tanto della mania d’affollamento del regista fiorentino. Nel primo atto dominavano lo spazio stretto e i colori sobri, il grigio e il viola, alludendo alle misere condizioni di vita del “popolo di Pechino”. Ma nell’atto centrale la passione di Zeffirelli per l’oro e l’opulenza in generale trovava il suo sfogo; il sipario nascondeva la reggia dell’imperatore cinese creata allo scopo di abbagliare letteralmente gli occhi degli spettatori. E funziona ancora; tutte le volte che si assiste ad una rappresentazione dell’opera postuma pucciniana in Arena, molti si fanno scappare un sospiro.

Sul palcoscenico areniano un buon cast, stavolta capitanato non da Anna Netrebko (annunciata ma non apparsa nella serata esclusiva il giorno prima) ma da una cantante bielorussa, Ekaterina Semenchuk, nota sia al pubblico del Bol’šoj di Mosca e del Mariinskij di San Pietroburgo sia al pubblico europeo. Il suo nome in locandina suscita qualche dubbio, perché la cantante è conosciuta come mezzosoprano, ma questa volta la troviamo in un ruolo sopranile. Una cantante dalla forza espressiva che supera l’immaginazione, dalla grande varietà di sfumature, disegna la “principessa di gelo” che rimane scolpita nella memoria di chi la vede, ma non convince del tutto sul piano vocale. Nella parte pensata per un soprano drammatico, la voce, pur sempre importante, perde lo smalto, diventa opaca e se nei centri è sicura e corposa, negli acuti è assottigliata e tesa.

Yusif Eyvazov riesce a stupirci anche stavolta. Si conosce bene una voce tenorile che, anche con tutto l'affetto possibile, non può essere riconosciuta bella. Mancano il timbro indimenticabile e lo smalto, cose che normalmente rendono questo registro così amato e applaudito, ma in compenso la natura gli ha donato l’intelligenza, la tenacia e la voglia di lavorare. Ecco perché nel giorno d’oggi la sua uscita in proscenio suscita grandi applausi e grida “bravo” all’infinito, soprattutto dopo “Nessun dorma” che non viene bissato come accadde due anni fa.

Con tutte le parole lodevoli spese per Yusif Eyvazov, la più grande ammirazione e il più grande successo vanno a Mariangela Sicilia che interpreta il ruolo della piccola dolce schiava Liù. Compie davvero miracoli, il soprano, dalla voce bella, morbida, lucente, affiancata da tecnica solida e grande sensibilità musicale. Tocca le corde più delicate dell’animo, pronuncia le parole con sincerità disarmante e canta con grande cuore: il risultato è una vera catarsi.

Il perfetto affiatamento degli interpreti di tre maschere è una delle tradizioni della Turandot areniana e Youngjun Park (Ping), Riccardo Rados (Pang), Matteo Macchioni (Pong) non fanno eccezione; sono corretti Riccardo Fassi (Timur), Carlo Bosi (l’imperatore Altoum), Hao Tian (un mandarino) e completano il cast Eder Vincenzi (il Principino di Persia) e Grazia Montanari e Mirca Molinari (le ancelle di Turandot).

Sul podio il giovane Michele Spotti, vivace nell’atteggiamento ed elegante nel gesto, dà il suo meglio per trasmettere la propria energia ai professori d’orchestra che gli rispondono con correttezza, ma con poco calore. Il coro areniano preparato da Roberto Gabbiani, è una vera eccellenza; indispensabile il Coro di voci bianche A. d’A. Mus. diretto da Elisabetta Zucca.


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