L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Rose e farfalle, smorfie e sorrisi

di Irina Sorokina

Torna all'Arena e continua a divertire Il barbiere di Siviglia firmato da Hugo De Ana.

VERONA, 12 agosto 2024 - Gli anni passano così velocemente che sembrano i giorni; si ha l’impressione che Il barbiere di Siviglia con la regia e le scene di Hugo De Ana avesse fatto il suo debutto in Arena l’anno scorso o un paio di anni fa, ma, volendo rinfrescare la memoria e consultando gli annali, si ricorda che il fortunato allestimento andò in scena nel 2007 ottenendo grande e meritato successo. Sono passati diciassette anni e la colorata e divertente messa in scena conserva la sua freschezza: lo ha dimostrato la ripresa dell’opera rossiniana l’anno scorso [leggi le recensioni dei due cast: Verona, Il barbiere di Siviglia, 24/06/2023; Verona, Il barbiere di Siviglia, 22/07/2023]. Il barbiere ritorna anche quest’anno e per l’ennesima volta ribadisce la propria vitalità: del resto, ha soltanto diciotto anni!

Definiamo spesso la produzione firmata De Ana uno dei diamanti nella corona degli allestimenti areniani più degli ultimi vent’anni, farebbe parte di un “albo d’oro” composto dall'Aida storica, da alcuni spettacoli di Franco Zeffirelli quali Carmen e Turandot e dalla Tosca del regista, scenografo e costumista argentino. Tuttavia, il caso del Barbiere è speciale: è l’unica opera buffa che si sia ffermata sul palcoscenico areniano. Quindi, in attesa di godersi la commedia, non ci rimane che accomodarci sulle poltroncine scomode dell’anfiteatro per trasferirci un’altra volta nel giardino in stile rococò ideato da De Ana, in cui cespugli dal color verde un po’ velenoso e rose rosso acceso servono da ambiente naturale a farfalle grandiose. I personaggi, in sintonia con cespugli, rose e farfalle, indossano costumi coloratissimi e lussuosi che fanno venir in mente le collezioni di porcellana di Meissen che onorano dalla loro presenza molti musei europei. A proposito, De Ana figura un vero demiurgo del fortunato Barbiere areniano, firma la regia, le scene, i costumi e le luci.

Il palcoscenico gigantesco spinge De Ana a una soluzione di regia comprensibile, i sei personaggi non potrebbero riempire lo spazio così enorme e chiama aiuti che si materializzano in un piccolo esercito di mimi e danzatori. Con l’aiuto di Leda Loiodice, esperta di movimenti scenici, risolve il problema: mimi e comparse sono impegnati in gags, fanno da spalla ai protagonisti, ballano. Sono sempre eleganti e divertenti, ma il disegno scenico sa d’esagerazione.

La forza e il fascino di questo Barbiere fanno venire in mente i versi del Aleksandr Puškin che da giovane per volontà dello zar fu esiliato a Odessa a causa dei suoi versi. Nella fiorente città della Crimea fondata nel maturo Settecento dal favorito più importante dell’imperatrice Caterina la Grande, Grigorij Potemkin, esisteva l’opera italiana e Puškin ne fu un assiduo frequentatore: innamorato della musica di Rossini. Chiamava il genio marchigiano “beniamino d’Europa, Orfeo”.

Si ricordano i versi puškiniani ogniqualvolta si parli delle messe in scena delle opere del Pesarese, rischiando di risultare ripetitivi se non noiosi, ma nel caso si tratti della produzione areniana, questo ricordo si è ritenuto necessario, perché le celebri parole sembrano riferite all’ormai vecchia produzione firmata De Ana. “Giovani baci”, “dolcezza”, “il fuoco d’amore” paragonati al flusso della sciampagna dorata che spruzza dalla bottiglia appena stappata, sono i concetti perfettamente applicabili alla storica messa in scena del demiurgo argentino che firmò regia, scene, costumi e luci.

Il 12 luglio ha calcato il palcoscenico areniano il cast che sembrava aver applicato le parole di Puškin ai propri personaggi: il baritono e il tenore, il mezzosoprano e due bassi, gli interpreti dei ruoli di contorno hanno cantato in maniera eccellente con una recitazione spumeggiante, strappando dei bellissimi sorrisi al numeroso pubblico. Non vorremmo compiere un'ingiustizia proclamando il migliore: nella recita di venerdì tutti sono risultati migliori. Non si aspettava altro da Nicola Alaimo nel ruolo di Figaro, che ha letteralmente travolto il pubblico nella parte conclusiva di “Largo al factotum della città” , senza parlare della bellezza del timbro e dell’arte sublime dei recitativi secchi. Questo barbiere correva con la velocità della luce e quasi si moltiplicava. Anche il personaggio del conte d’Almaviva ha avuto nella persona del tenore russo Dmitry Korchak, un esperto del repertorio rossiniano, storica presenza al Rossini Opera Festival. Come Alaimo, Korchak non ha pensato di risparmiarsi e ha fornito un’interpretazione da manuale, nella quale il bel timbro dell’autentico tenore di grazia si è unito all’arte sublime dei recitativi secchi e delle agilità vertiginose, affiancati da un senso d’umorismo che strappava in continuazione larghi sorrisi. “Pace e gioia” è stato letteralmente esilarante e tratti perfino troppo grottesco. Non tutto è stato miele, viste alcune frasi “belanti” e soprattutto delle difficoltà nel registro acuto, comunque, per il momento, perdonabili. Perfetta compagna dell’avventura amorosa del simpatico conte è stata la Rosina interpretata da Vasilisa Berzhanskaya, che ha donato alla furbetta rossiniana una bella voce di mezzosoprano dal timbro scuro e mieloso e agilità senza macchia e senza paura, oltre a fornire l’ennesima conferma di un bel talento d’attrice. Misha Kiria è stato il Don Bartolo perfetto nella musicalità e nei sillabati, anche se un pochino troppo caricaturale, mentre il personaggio di Don Basilio ha trovato nel basso Aleksandr Vinogradov un interprete ideale; la voce profonda e morbida – si direbbe “come una volta”, ricordando alcuni leggendari bassi russi delle generazioni precedenti – e una grande capacità di stare in scena. Completavano il cast Marianna Mappa, una frizzante Berta, e Nicolò Ceriani nei ruoli di Fiorello e Ambrogio e Domenico Apollonio in quel di un ufficiale.

Sul podio il direttore greco George Petrou ha condotto l’orchestra della Fondazione Arena dalla mano precisa e leggera, con gradita eleganza, cogliendo perfettamente la sostanza della musica rossiniana e mostrandosi portato a sottolineare il suo spirito ironico; purtroppo, il volume della celebre sinfonia è risultato troppo basso. Il coro areniano preparato da Roberto Gabbiani ha dimostrato per l’ennesima volta la sua bravura. È stata una serata decisamente bella nell’Arena gremita del pubblico.


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