L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il ritorno dell'Aida "di cristallo"

di Irina Sorokina

Si impongono le prove di Clémentine Margaine (Amneris) e Igor Golovatenko (Amonasro) nella ripresa dell'Aida firmata da Stefano Poda

Il Festival lirico veronese in corso vede il ritorno dell’Aida firmata interamente da Stefano Poda, è lui che cura regia, scene, costumi, luci e addirittura coreografie. Un anno fa il debutto di questa produzione produsse opinioni differenti e parecchie polemiche, chi l’elogiò e chi non l’accettò affatto. A distanza di un anno gli animi sono placati e si può parlare di quest’Aida con la dovuta calma.

Parlando della sua veste scenica, due parole non si possono evitare: “tanto” e “troppo”. Troppo grande e opprimente la mano che sale e scende, come se volesse prendere qualcuno per non lasciarlo mai andare, esagerata la quantità delle altre mani sul palcoscenico, più piccole, troppa gente in scena. Nonostante la messa in scena di Aida firmata Poda venisse annunciata come nuova, in sostanza il vero cambiamento non è avvenuto. La parola kolossal ha espresso bene la sostanza della produzione del regista-scenografo-costumista etc. che si è distinta dalle versioni sceniche areniane precedenti per l’uso delle tecnologie più moderne se non azzardate. Ma la vera natura della nuovissima produzione ha annunciato la sua presenza in ogni angolo: le scenografie ingombranti facevano chiaro riferimento ai simboli della civiltà egizia familiari anche ai ragazzi di scuole medie. Detto questo, ci rimane a parlare del cast.

Un anno dopo, i ruoli che erano della (ex) coppia d’oro della lirica formata da Anna Netrebko e Yusif Eyvazov sono andati alle due “vecchie” conoscenze dei frequentatori dei teatri dell’opera, il soprano Maria José Siri e il tenore Carlo Ventre, entrambi uruguaiani di origini italiane, entrambi professionisti affidabili. Da sempre si parla della Siri come la cantante solida, una garanzia, sotto certi aspetti, ma non dotata del carisma necessario per impersonare le eroine come Aida o Tosca. Nello spettacolo veronese il soprano non fa che confermarlo: sfoggia una voce grande e ben proiettata, è libera da ogni problema, ma ci vorrebbero più personalità e sensibilità d’interprete. La sua Aida è priva di fascino personale, non è certo “il fiore di Nilo”, ma una donna matura, come matura la sua interpretazione di “O cieli azzurri”, dalla ricca varietà di colori e dai filati raffinati.

Carlo Ventre, ascoltato per molte volte in Arena, figura dignitosamente nel ruolo di Radames; gli è consono l’aspetto eroico del personaggio e gli acuti sicuri aiutano, senza dubbio, a renderlo molto credibile. Risulta un po’ troppo monolitico, ci vorrebbero più sensibilità nei momenti quali il duetto del terzo atto, ma lo si ringrazia per la perfida romanza “Celeste Aida” cantata bene e per gli sfoghi lirici nel finale.

La vittoria “vocale”, se così si può dire, non va alla coppia degli innamorati, cioè al soprano e al tenore, ma alla rivale e al padre, agli interpreti di Amneris e Amonasro, rispettivamente la francese Clémentine Margaine e il russo Igor Golovatenko, che conquistano, sorprendono e fanno battere i cuori di chi li ascolta. La Margaine rivela un’Amneris nobile e fiera, follemente innamorata e dura, ma capace di slanci di compassione e generosità: insomma, dipinge un ritratto multicolore della figlia dei faraoni. La voce vola liberamente e riempie la cavea enorme dell’antico anfiteatro. Igor Golovatenko sembra il suo sosia al maschile, anche lui è uomo di teatro autentico e anche a lui la natura ha fatto il dono di una voce dal bel colore lucente e dal “volo” facile. Il selvaggio Amonasro appare come per magia dentro le mura dell’Arena, in una miscela di fierezza, patriottismo e viltà.

Marco Mimica si conferma Re perfetto, dalla voce importante, mentre Rafal Siwek è un Ramfis dignitoso, ma non sufficientemente incisivo. Riccardo Rados, un messaggero dalla voce squillante e dalla dizione scultorea, e Francesca Maionchi, una sacerdotessa dal canto etereo, sono presenze fisse ormai nell’Aida areniana.

Alvise Casellati alla guida dell’orchestra della Fondazione Arena di Verona non fa che confermare la sua reputazione. Alla sua lettura della partitura verdiana manca un concetto personale; abbiamo una tenuta sufficientemente professionale, mentre l’orecchio sogna qualcosa di più eccitante e colorato. Il coro areniano preparato da Roberto Gabbiani conferma per l’ennesima volta la propria altissima reputazione: la resa perfetta, il bell'equilibrio interno, il suono di bello smalto.


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