L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Un pomeriggio con Joan e Richard

di Gina Guandalini

Nel decennale della scomparsa (10 ottobre 2010) della grande Joan Sutherland, un documento ormai storico: la conversazione con Gina Guandalini e Richard Bonynge alla vigilia della Lucrezia Borgia portata in scena all’Opera di Roma.  Questo “incontro a tre voci”, avvenuto in lingua inglese, approfondisce lati seri e frivoli della carriera della grande australiana e lascia ai lettori di oggi molte acute considerazioni di Bonynge e consorte, di cui possiamo fare ancora tesoro.

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Non ho mai creduto che le dive siano “alla mano”: le dive sono quasi sempre diffidenti, difficili da avvicinare, col tempo contato, diviso tra prove, privacy e sonno. Sentirmi chiamare al telefono da Joan Sutherland alle nove di mattina, sentirla sollecitare addirittura l’intervista, sentirmi confidare un numero superprivatissimo di una villa nei colli romani, onde prendere accordi più precisi nel pomeriggio, sono esperienze che vale quindi la pena di raccontare. Posso anche vantarmi di essere forse l’unica persona al mondo ad avere udito la grande australiana completamente senza fiato, avendo la suddetta villa – come ha raccontato lei stessa ansimando – tante stanze da rendere problematico rispondere in fretta al telefono.

A proposito delle recite romane di Lucrezia Borgia, iniziate pochi giorni dopo la nostra intervista, si sono lette anche alcune notevoli cattiverie, tra cui quella scontatissima del “passo di canguro” (risale, credo, a Beniamino Dal Fabbro – di recente l’amico Marco Guardo dell’Accademia dei Lincei mi ha permesso di constatare che nel 1980 se ne servì Michelangelo Zurletti ). Mettiamo le cose in chiaro: la Sutherland in scena si muoveva non meno agilmente di altre celebrate belcantiste; la sua figura era del tutto credibile nei panni di una madre di figlio perlomeno ventenne ( ed era qui ulteriormente ingoffita dai costumi di Michael Stennett); le lacrime al cospetto di Gennaro e l’ira contro Alfonso si sono giovate di espressioni facciali a mio parere del tutto efficaci; e se infine il suo atteggiamento nell’emettere suoni accentua certi tratti fisici come la quadratura delle spalle e l’ampiezza del mento, i risultati appunto sonori sono stati ancora tali da ricompensare straabbondantemente i presenti in sala. Insomma, non posso fare a meno di sospettare, davanti alle recensioni spinose o addirittura distruttive di certi quotidiani, una punta di invidia verso il teatro che è riuscito a riportare la Sutherland in Italia dopo il Maggio Fiorentino del ’68. Tanto più che il giudizio più equilibrato è venuto dal “romanizzato” Teodoro Celli.

Come cantava la Sutherland nel 1980? Premetto che per forza di cose i miei ascolti diretti si limitavano al recital romano del gennaio ’72 (postato su YouTube nel 2018) e a una discussa Traviata londinese del marzo ’75. Premetto inoltre che quando nel corso dell’intervista ho citato il concerto di Asolo del ’79, la Sutherland e Bonynge hanno fatto smorfie e sussulti di orrore, quasi a chiedere scusa. Io ad Asolo non c’ero, ma posso riferire che a Roma la voce era pressochè intatta per colore ed estensione (il Mi bem alla chiusa del terzo atto ha scatenato un pandemonio), l’agilità sempre superlativa, l’espansione nella grande sala entusiasmante; nonostante il rodaggio abbia richiesto qualche minuto e i tempi di Bonynge nelle fioriture abbiano causato un’occasionale sgranatura. Ma per essere esauriente dovrei riferire l’andamento di tutte e sette le recite, che non ho potuto ascoltare. Cantare così, a cinquantaquattro anni, è da pochi, forse da nessun’altra.

Ho chiesto di incontrare marito e moglie insieme, prima di tutto perché desideravo conoscere il parere di Bonynge su alcune questioni, e poi perché immaginavo, a ragione, che la presenza di lui avrebbe messo la Sutherland anche più a suo agio. Sono arrivati all’hotel Quirinale pressochè puntuali, scusandosi dei cinque minuti di ritardo, elogiando i miei scritti che devono avere pazientemente decifrato e attaccando a chiacchierare come se si fossero trovati con una vecchia amica nella tea-room di Fortnum & Mason, nonostante una forte allergia al polline opprimesse l’eloquio di Bonynge.

Avevo letto che la Sutherland aveva il terrore dei fotografi, ma non capisco perché: è straordinariamente fotogenica. Da vicino la mascella è anche più vasta, gli occhi anche più piccoli: ma così chiari e attenti da darle un’aria simpatica, come il vestito di un vistoso verde pisello. Tra i convenevoli e le chiacchiere che hanno preceduto l’accensione del registratore ho colto la loro ferma intenzione di lavorare senza distrazioni pur nell’atmosfera di scioperi del Teatro dell’Opera di Roma. La semplicità e il ferreo professionismo di questi due artisti non sono stati inquinati da anni di frequentazione dei melodrammi più appassionatamente mediterranei, pensavo; fotografie e indirizzi privati mi sono stati elargiti senza convenevoli e senza atmosfera “di camerino”.

La nostra chiacchierata è qui, riferita con pochissimi aggiustamenti, nel suo intersecarsi a tre voci. Non abbiamo pronunciato una sola parola italiana.

SUTHERLAND. Lei è interessata alla vocalità, ecco perché siamo venuti.

GUANDALINI Quale direbbe che sia l’età media dei suoi ascoltatori ?

SUTH In gran parte i teenagers e gli appena ventenni; sei d’accordo?

BONYNGE Sì.

GUA. Allora lei spera che, negli anni ’80, l’opera abbia un pubblico?

SUTH. Certamente!

BON. Oh, sì!

SUTH. Ci sono ascoltatori sempre nuovi. È strano: ho cantato Lucia per la prima volta nel ’59, e ora appaio in una produzione australiana che risale al ’65: è un pubblico completamente nuovo a volermi sentire.

BON. Per quelli dell’80 è una novità.

GUA. A che cosa dobbiamo il vostro ritorno in Italia? C’erano stati problemi di date, finora?

BON. Spesso ce lo chiedono troppo tardi. Si è parlato molte volte di fare Les contes d’Hoffmann a Firenze e poi è sempre successo qualcosa.

GUA. Una domanda trita: qual è la differenza tra il pubblico italiano e quello inglese?

SUTH. Non credo che ci sia molta differenza, veramente…

GUA- Strillano a Londra come a Roma, insomma.

SUTH. Oh, sì, come no!

GUA. Qui urleranno come invasati e certi torneranno per sette repliche.

SUTH. e BON. Davvero ?!?

GUA. Quali sono i vostri prossimi progetti? Tornerete in Italia?

SUTH. Ci sono stati dei contatti. Io però sono già impegnata fino all’84.

BON. Ne stiamo parlando in questi giorni. Io però non posso dire niente finchè tutto non è deciso.

GUA. Comunque tornereste volentieri?

SUTH. Non è mai stato un problema il voler tornare. Il problema grave sono le date, perché mio marito è direttore del Conservatorio di Sydney, dell’Opera Australiana, e deve stare là almeno cinque mesi all’anno; questo crea il problema, in quanto neanche l’estate è libera.

GUA: Quali nuovi ruoli sta preparando adesso? Avrà realizzato tutti i personaggi che voleva, ma ci sono sempre sogni…

SUTH. Quasi tutti, sì… Soprattutto sono cose che mio marito vorrebbe che facessi! (ride)

BON. Quest'anno lei farà I Masnadieri per la prima volta, un ruolo verdiano molto bello.

GUA. Un ritorno a Jenny Lind ?

SUTH. Esatto, appunto.

BON: Non la eseguono spesso, e per me è un’opera meravigliosa, ne siamo entusiasti.

GUA. Alcuni autorevoli esperti vocali hanno attaccato la vecchia scuola direttoriale rappresentata da Serafin. Voi avrete da dire la vostra.

SUTH. Io non attaccherei mai Serafin! Ho un grosso debole per lui, era un voice-lover, un amante delle voci.

GUA. Non lo definirebbe quindi un Kapellmeister?

SUTH Non trovo proprio niente di tedesco in Serafin! Abbiamo studiato insieme Lucia, Puritani, Sonnambula, si parlava di Traviata. Oh, ho imparato un’immensa quantità di cose da lui!

GUA. Non era quindi dannoso per i cantanti, come si sente dire?

SUTH. Non per me!

BON. Non per Joan! Non capisco queste accuse... Dipende forse da quali opere dirigeva, ma in quelle che abbiamo fatto noi era meraviglioso. Per esempio, a dirigere Haendel non ha mai provato ! Ma la sua Norma è ancora validissima…

SUTH Meravigliosa! Non c’era niente di errato nel modo di dirigere di Serafin, secondo me. Forse tutto questo è perché la Callas ha lavorato moltissimo con Serafin, Gui e Votto, e nel suo caso particolare i risultati di questa combinazione hanno causato delle riflessioni. Io ho lavorato con tutti e tre; non posso dire di essere stata d’accordo su tutto; ma non posso proprio dire che fossero dei distruttori di voci.

GUA. Le lamentele riguardano anche i tagli operati sulle opere.

SUTH. Oh, ma quello faceva parte dell’epoca. Erano uomini della loro epoca, erano già anziani quando ho lavorato con loro.

GUA. Comunque le accuse principali riguardano il fraseggio, la libertà concessa ai cantanti.

SUTH. Quella non è una critica che farei!

BON. Serafin concedeva una grande libertà a Joan. Una volta gli chiedemmo qual è il tempo giusto della scena della pazzia nei Puritani perché non ne eravamo sicuri, e lui rispose “E’ il tempo a cui la signora riesce a cantarla meglio”.

SUTH Diceva che ogni cosa è individuale, il che è verissimo per quanto riguarda la voce: è uno strumento umano, non è una cosa che puoi andare a comprare nei negozi. Bisogna ascoltarla attentamente, e qualunque idea di tempo va adattata ad essa.

GUA. Lei deve avere problemi quando canta con altri direttori.

SUTH Non canto più molto spesso con altri direttori! (ride) Certo che ho dei problemi! Ma me la cavo.

BON. Be’, lei sta per cantare Desdemona (di Verdi) con Cillario, nel febbraio prossimo. Ma lui capisce molto bene le voci, ne ha molta considerazione. Però problemi con i direttori Joan ne ha avuti.

SUTH In qualche caso: quando il direttore era estremamente inflessibile. Non è questo il modo in cui sono stata educata. Con Serafin mi era stato detto che il maestro era disposto magari a cedere qua e là, ad aiutare la voce che stava accompagnando.

BON. Vede, il lavoro operistico in teatro deve essere basato sulla cooperazione, bisogna cedere da un lato e dall’altro. Nessuno è il capo, se una persona dà gli ordini e gli altri sono sottoposti, allora non funzione più nulla.

GUA Signora Sutherland, lei è una delle pochissime cantanti che ascoltano i dischi altrui: anni fa scrisse che ammirava soprattutto Irene Abendroth e Margarethe Siems.

BON. Certo, e la Ponselle.

GUA. Pensa che i giovani abbiano ancora molto da imparare da loro?

SUTH. Penso che oggi sia difficile ascoltare certi vecchi dischi e capire veramente come era la voce, a causa della particolare tecnica con cui venivano incisi. Oggi, una come me è veramente fortunata a poter lasciare una riproduzione così fedele della propria voce; è una cosa incredibile, che mi toglie il fiato, la perfezione tecnica delle mie incisioni.

BON. Rivela anche tutti i difetti, però! (ridono). La grande tragedia è che non c’era la HI-FI quando incisero la Abendroth e la Siems.

GUA Nell’affrontare recentemente Wagner ha ascoltato altre cantanti o ha optato per il suo proprio Wagner?

SUTH. Oh, ho cantato come canto sempre; è lo stile della scrittura vocale che è diverso, non la produzione della voe.

BON. Wagner amava Bellini, il belcanto.

GUA I tedeschi preferiscono dimenticare questo fatto.

BON. Infatti: è verissimo!

SUTH. Non è che una questione di stile diverso.

GUA. Dunque l’ascolto dei dischi è stato solo una fase, e ora non li ascolta più?

SUTH. Non ho mai ascoltato molto le altre cantanti, confesso, ma in gran parte è per mancanza di tempo (ride). PUò ESSERE PERICOLOSO. Gli studenti di canto ascoltano un po’ troppo i loro cantanti preferiti, al giorno d’oggi. L’ho fatto anch’io, in misura minore; ma oggi la gente ascolta i tuoi dischi e canta esattamente come te.

BON. E non copiano le qualità, copiano i difetti!

SUTH. Esatto !

GUA. Però io ho conosciuto degli studenti di canto ai quali è stato assolutamente proibito di ascoltare alcun cantante, e su questo non sono d’accordo.

SUTH. No, neanche io sono d’accordo.

BON. No, è un errore.

GUA. Conosco un giovane contralto che mi diceva ‘Oh, come vorrei ascoltare la Horne, ne sento dire mirabilia e sto studiando un suo ruolo, ma non posso, non ne ho il permesso!’

BON. Questa è una stupidaggine. Bisogna ascoltare; non copiare servilmente. Non ascoltare dischi è un’esagerazione.

SUTH. Allora non si dovrebbe più andare a nessuna recita! È assurdo.

BON. Ogni grande cantante deve avere un’influenza sui cantanti che vengono dopo.

GUA. Una domanda per Mr. Bonynge: che fine ha fatto il soprano drammatico tradizionale, la grande voce tipo Cigna o Nilsson ?

BON. Ah, bene: ho una mia teoria, ma non so se è esatta. Io credo che tutte le cantanti giovani, specialmente se da giovani sono brave, e soprattutto se sono anche belle, vengono buttate in scena troppo presto, e a causa della scarsità di voci vengono loro assegnati troppi ruoli pesanti. Vede, una Flagstad non ha cantato ruoli drammatici fino a quarant’anni.

SUTH. La Nilsson…

BON. Birgit Nilsson ha cominciato la carriera molto tardi, i ruoli pesanti li ha affrontati anche lei verso la quarantina.

SUTH. E non avevano il jet!

BON. Naturalmente; non correvano per il mondo come oggi.

GUAN. Vedo che Mrs. Sutherland ha qualcosa contro il Jet!

BON. Oh, sì, lei odia il jet e gli aerei.

SUTH. Vede, la gente è in grado di cantare a Parigi e a New York senza pause; per me è una cosa ridicola, io non potrei.

GUAM. Posso chiedere quante recite fa in un anno, grosso modo?

SUTH Cerco di non farne mai più di due e mezzo alla settimana

BON. Di solito ne fai due.

SUTH. Qualche volta faccio solo prove; magari per tre settimane provo soltanto una nuova produzione e così per tre settimane non canto in pubblico. Non ho mai fatto un calcolo esatto.

BON. Non credo faccia più di 60-70 recite all’anno. Ed è un bel po’: vorrebbe cantare di meno.

GUA Mr. Bonynge, pensa di avere già degli epigoni tra i giovani direttori ?

BON. Penso che il repertorio che sta venendo di moda abbia un grosso ascendente su tutti i giovani direttori. Per me, il fatto che oggi molti direttori si interessino alle voci fa sì che di interessati ne sorgano sempre di più! E credo che il fatto che il pubblico ama udire la voce umana – basta andare a una buona esecuzione di un’opera belcantistica, a una serata di grandi voci per sentire che effetto ha sul pubblico, se è data bene! – fa sì che certi giovani direttori che la ascoltano ne siano profondamente influenzati. Credo proprio che di nuove leve direttoriali che amano e studiano le voci ce ne siano. Non sono abbastanza, ma ce ne soono.

GUA- E studiano le cadenze e le provano e le adattano ai singoli cantanti come fa lei?

BON. Ci stanno provando, stanno cominciando. Io ho fatto moltissima pratica, non sono più tanto giovane. Dategli tempo.

GUA. Signora Sutherland, aveva ascoltato il nastro della Callas in Armida prima di affrontare Semiramide nel ’62?

SUTH. No.

BON. Veramente non credo che lo abbia sentito a tutt’oggi. Ne ho avuto una copia di recente, ma viaggiamo molto e lei non lo ha mai potuto ascoltare. Armida è un ruolo magnifico.

GUA. Posso chiedere perché non ha cantato di più Rossini?

SUTH. Non è triste?!? Ma dal lato fisico non sono Rosina: sono alta, grossa. L’ho cantata in televisione, solo brani, otto anni fa. Abbiamo fatto una serie di trasmissioni per bambini.

GUA. Ma Rossini non è richiestissimo al momento?

BON. Sì, ma si fa sempre Cenerentola o L'italiana, ruoli di mezzosoprano. Ma faremo qualcosa! Ci sono già stati contatti. Affronteremo presto un nuovo ruolo rossiniano. Rossini lo abbiamo trascurato troppo.

SUTH. È solo un problema di “chi allestisce che cosa”, capisce? Non basta che io dica “Voglio cantare questo e quello”.

BON. Sa, abbiamo dovuto combattere tanto per portare in scena Esclarmonde e Le roi de Lahore. Lotte tremende, e non ci piace lottare.

GUA. Ha mai pensato a cantare Adalgisa? O non le è mai stata proposta?

SUTH. E BON. Non ci è mai stata offerta Adalgisa, veramente.

GUAN. Lo riterrebbe offensivo, magari?

SUTH. Niente affatto! È che amo tanto Norma (ride)

BON. Be’, Adalgisa la si immagina molto più giovane, e Joan ha molto più l’aspetto di Norma.

GUA. Lo chiedo perché lei ha affrontato vari ruoli solo in disco…

SUTH. Mica poi tanti! Solo L'elisir d’amore e Turandot.

GUA. È facile oggi per i giovani studenti di canto ricevere un insegnamento adeguato per quanto riguarda l’emissione?

(gemiti corali) BON. A parte il fatto che i buoni insegnanti sono pochissimi, nessuno studente ha la pazienza sufficiente, vogliono tutti essere star prima di cominciare.

GUA. Signora Sutherland, crede che un giorno potrebbe insegnare canto o non le interessa?

SUTH. Ah, non sono sicura. Ricky dice che forse non avrei la pazienza necessaria. Non so neanche se i cantanti siano gli insegnanti migliori. Per me, sostanzialmente, la base dell’apprendimento del canto è molto più semplice di quello che leggo nei manuali. Mi fanno paura! Raccontano tante cose, che io mi confondo! Mi hanno avvicinata per chiedermi di dare lezioni, ma è impossibile quando si è attivi come me. Per insegnare bisogna essere costantemente accanto agli allievi.

GUA. Qual è la situazione delle voci negli anni Ottanta?

BON. Io spero sempre che un’altra grande voce salti fuori. È interessante notare che le grandi voci non sono quelle più conosciute. C’è una inglese, Rita Hunter: certo lei la conosce. Se è nel ruolo giusto, se è in voce, fa un belcanto incredibile. Ho fatto Nabucco con lei…

GUAN. Strano, io la associo a “Turandot” e “Aida”…

SUTH. A causa del suo fisico!

BON. È una splendida Leonora del Trovatore, e credo possa fare ruoli anche più leggeri: la voce è molto agile e ha un ottimo RE bememolle acuto.

GUAN. Ha sentito nuove leve che siano molto promettenti?

BON. A Londra ho sentito dei giovani molto buoni: stranamente gli uomini erano migliori delle donne. Poi c’è un giovane mezzosoprano inglese veramente ottimo. Io non voglio essere pessimista.

SUTH. Si dice sempre in ogni epoca che non ci sono più cantanti, che il canto è morto…

BON. Negli ultimi vent’anni sono apparse troppe voci veramente splendide (non ho bisogno di dirle i nomi) che hanno fatto troppo e troppo presto. Però prendiamo l’altro lato della medaglia, la Caballè, che ha cantato anni e anni in Germania, ha fatto questo e quello, ma una volta divenuta famosa è stata in grado di proseguire, la voce è meravigliosa. Probabilmente, direi, canta troppo (tutti lo fanno) ma sa come si canta.

GUA. Una domanda frivola: come facevano le prime donne del passato a cantare con quei busti stretti?

SUTH. Lo porto anch’io!

BON Lei lo porta altrettanto stretto!

SUTH. Be’, non lo stringo poi tanto, ma tutti i miei costumi sono fatti con stecche e stringhe. Credo che i vecchi dagherròtipi fossero ritoccati ai lati! (ride) Mi sento meglio quando sono ben stretta nel busto. Poi ho una schiena capricciosa e ho bisogno di stecche dietro.

GUA. Signora Sutherland, è vero che sa imitare le colleghe celebri?

SUTH (risate divertite) Sì qualche volta lo faccio !

BON. Ha un ottimo orecchio e sa imitare molto bene.

SUTH. Non vorrei dire chi è che imito, forse si offenderebbero. O magari ne sarebbero lusingate, non so. Anche Marilyn (Horne) sa fare ottime imitazioni: le facciamo insieme.

GUA. Ecco, lei e la Horne avete mai progettato di fare altre opere insieme?

SUTH. Facciamo Norma insieme nell’82.

GUA. Voglio dire opere nuove.

SUTH. Ci piacerebbe, è tutta questione di tempo.

BON. Lei ci chiede sempre di fare Tancredi. Ma vede, mia moglie non ha una buona memoria, è difficile per lei imparare nuovi ruoli…

SUTH. Non ci riesce più neanche Marilyn! Lo trova sempre più difficile anche lei! Invecchiando ci riesce sempre più faticoso.

GUA. So che la Horne ha in progetto La donna del lago e Otello nel ruolo di Otello…

BON. Be’, non mi sorprende, con me ha fatto Semiramide nel ruolo maschile.

GUA. Signora Sutherland, ma com'è in realtà il suo italiano? Quanto ne conosce veramente?

SUTH. Oh, ho un vocabolario molto vasto, ma è la grammatica che mi manca… L’altra sera ho provato a vedere quel film di Hitchcock in televisione, Lady Considine, ma non riuscivo a seguirlo…

E, tuttavia, la difficoltà nell'impadronirsi della lingua italiana, non ha impedito a Joan Sutherland di diventare una pietra miliare nella storia del belcanto, dell'interpretazione di Bellini e Donizetti e dei grandi operisti "del bel paese dove il sì suona".


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