Puccini amò profondamente questo atto unico: più degli altri due – Il tabarro e Gianni Schicchi – inclusi nel Trittico, di cui Suor Angelica è il pannello centrale.
L’amore è il tema peculiare, qui vissuto come privazione: Suor Angelica è diversa dalle protagoniste delle altre opere pucciniane. E’ diversa da Manon, che vive un amore colpevole, è diversa da Cio-Cio-San, che non comprende, anzi fraintende, l’amore; loro soffrono, ma in qualche modo, per come hanno gestito l’amore, decidono del proprio destino. Angelica no. Lei non può amare, non le è permesso; rinchiusa tra le mura di un convento per espiare la propria colpa giovanile, ha soltanto il suo istinto (e il suo amore) di madre – seppur lontana – che la tiene in vita. Fino alla tragica rivelazione e allo scioglimento finale.
Dedicata ad un cast interamente femminile (a parte il coro finale, durante la visione), Suor Angelica è un capolavoro di orchestrazione, basato su giochi timbrici abbinati a personaggi e situazioni, su equilibri sonori delicatissimi, su dinamiche perfettamente studiate. E pure capolavoro di intensità espressiva - che tocca il vertice drammatico con “Senza mamma”, la straziante aria della protagonista – e di introspezione psicologica.
Il Trittico debuttò il 14 dicembre 1918 al Metropolitan di New York: l’opera comica, il Gianni Schicchi, riscosse da subito grande successo, mentre le altre due vennero accolte freddamente dal pubblico, specie proprio Suor Angelica.
Eppure questo lavoro pucciniano – un unicum nel teatro europeo d’allora – ha un equilibrio perfetto: una successione di episodi contrastanti studiata ad arte. Interessare, sorprendere e commuovere o far ridere bene: questa era tra le massime di Puccini. Ecco allora la violenza espressiva e “sorprendente” del Tabarro, il dramma intimo e “commovente” di Suor Angelica, l’allegria (un po’ macabra, in verità) “divertente” di Gianni Schicchi.
In una indissolubile unità.