L’Ape musicale

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L’opera

Giovanna d’Arco, che sarà presentata alla Scala nell’edizione critica curata da Alberto Rizzuti per Ricordi / University of Chicago Press, è la settima opera di Giuseppe Verdi e la quinta scritta per la Scala. Il libretto di Temistocle Solera è liberamente tratto dal dramma di Friederich Schiller Die Jungfrau von Orléans (1801) che servirà da spunto anche per la versione di Čajkovskij del 1881. Verdi tornerà a Schiller per il soggetto di ulteriori tre opere: I masnadieri (da Die Räuber), Luisa Miller (Kabale und Liebe) e Don Carlos.

Giovanna d’Arco va in scena al Teatro alla Scala il 15 febbraio 1845 e il caloroso successo di pubblico è testimoniato dall’elevato numero di rappresentazioni, 17, e dalla popolarità del valzerino intonato dagli spiriti maligni, che diventa un tormentone degli organetti da strada milanesi. Gelida è, al contrario, la stampa. La prima Giovanna è una primadonna dalle grandi qualità belcantistiche, Erminia Frezzolini, già artefice del successo vocale della prima de I Lombardi alla prima Crociata alla Scala due anni prima. L’opera resterà sempre un cavallo di battaglia per grandi soprani.

Nonostante la buona accoglienza del pubblico, Giovanna è il casus belli che segna il divorzio tra Verdi e la Scala. Dopo i successi scaligeri di Nabucco e dei Lombardi il compositore aveva cominciato a ricevere offerte da altri teatri: Ernani era andato in scena a Venezia, I due Foscari a Roma, Alzira sarebbe stata rappresentata a Napoli pochi mesi dopo. Si fanno intanto più difficili i rapporti con l’impresario Merelli, accusato di scarsa cura nelle messe in scena, e con l’editore Ricordi: quando Merelli appresta scenografie inadeguate per Giovanna d’Arco e accetta di far pubblicare l’opera da Ricordi a condizioni sfavorevoli per Verdi, questi tronca i rapporti. Se con Ricordi si troveranno per le opere successive nuovi accordi più vantaggiosi per il compositore, la Scala dovrà attendere il 1887 per veder rappresentata una prima verdiana: Otello.

Giovannad’Arco torna alla Scala due volte: nel 1858 per 7 rappresentazioni e nel 1865 con rinnovato successo: altre 17, come alla prima. Per quest’ultima apparizione scaligera Verdi indica come protagonista Teresa Stolz, cantante da lui ammiratissima e causa di formidabili gelosie domestiche, destinata a essere la prima Aida alla Scala e la prima interprete assoluta del Requiem. Per riascoltare Giovanna d’Arco i milanesi dovranno attendere il 1951, quando Alfredo Simonetto dirige una leggendaria esecuzione in forma di concerto con l’Orchestra della RAI, solisti Renata Tebaldi, Carlo Bergonzi e Rolando Panerai. La fortuna ottocentesca dell’opera è alterna, anche perché la censura è allarmata da una possibile interpretazione risorgimentale ma soprattutto dal tema religioso: Giovanna è una figura controversa, processata per eresia, e sarà proclamata santa solo nel 1920. Si aggiunga la scabrosa ossessione del libretto per l’illibatezza della giovane, cui il padre chiede con insistenza “pura e vergine sei tu?”. Nelle riprese a Roma e Napoli la vicenda è anticipata di due secoli e il titolo è mutato in un’improbabile Orietta di Lesbo. Inoltre il pubblico è disorientato: il titolo sembrava promettere le grandiosità di un affresco storico sulla scia di Nabucco e dei Lombardi ma l’opera, nonostante le scene di massa che guardano a Meyerbeer, punta con decisone sul dramma familiare portando in primo piano il rapporto padre-figlia che nel Nabucco era rimasto all’ombra delle scene corali. Certo Verdi, scrivendo a Piave dopo la prima, non mostrava incertezze: “La mia opera migliore, senza eccezione e senza dubbio”. Tanta sicurezza appartiene certo all’atteggiamento risoluto sempre assunto da Verdi di fronte alle riserve sulla sua opera, ma tradisce evidentemente un’affezione autentica e il riconoscimento di un ruolo speciale. Giovanna d’Arco è, tra i titoli dei cosiddetti “anni di galera”, il più gravido di futuro, una partitura sperimentale che fa da cerniera tra le esperienze giovanili e la “trilogia popolare”. L’orchestrazione, curatissima, includefisarmonica, campane, sistri, arpe, un cannone e, nell’ultima romanza di Carlo, un sorprendente accompagnamento di corno inglese e violoncello solo. Ma soprattutto nella Giovanna troviamo prefigurati temi e personaggi del Verdi a venire: il rapporto tormentato tra padre e figlia tornerà in Rigoletto, mentre il personaggio di Carlo VII, irresoluto e impari al compito assegnatogli dalla Storia, prefigura il Don Carlos dell’opera eponima. Dal punto di vista musicale, sono numerosi gli spunti che troveremo sviluppati nel Verdi successivo: ricordiamo almeno l’attacco dell’Atto II che contiene in nuce il Dies Irae del Requiem, mentre il duetto d’amore che conclude lo stesso Atto prefigura il duetto di Un ballo in maschera. La marcia del III Atto è una prova generale delle scene trionfali di Don Carlos e Aida; il IV Atto si apre con una situazione drammatica che ritroveremo ne Il trovatore e prosegue con una battaglia che ha un forte parallelismo con quella de La forza del destino. Infine la tinta della morte di Giovanna (“S’apre il ciel”) tornerà decenni più tardi in “O terra addio”, il duetto finale di Aida.

(Nota: Verdi divise l’opera in 4 Atti, ma nell’edizione a stampa venne invece introdotta la partizione in un Prologo e tre Atti. L’edizione critica ripristina la lezione originaria in 4 Atti. L’opera si darà con un solo intervallo tra il secondo e il terzo Atto).

Un’opera sconosciuta?

Se al Teatro alla Scala manca dal 1865, Giovanna ha goduto negli anni di una buon numero di esecuzioni, spesso legate al nome di grandi soprani. Abbiamo già ricordato l’esecuzione milanese del 1951, diretta da Alfredo Simonetto con Renata Tebaldi, Carlo Bergonzi e Rolando Panerai; la Tebaldi aveva debuttato nel ruolo poco prima a Napoli, nell’ambito delle celebrazioni per il cinquantenario della morte di Verdi, e lo riprenderà tra l’altro all’Opéra di Parigi. L’opera viene registrata in studio per la prima volta nel 1972, ed è una folgorazione: negli studi di Abbey Road si trovano Montserrat Caballé, Plácido Domingo e Sherrill Milnes, la London Symphony è diretta da un ventinovenne James Levine. Nello stesso anno il Teatro La Fenice fa debuttare nella parte Katia Ricciarelli con la direzione di Carlo Franci, mentre Maria Chiara incide l’aria “Sempre all’alba” con Nello Santi nel 1973. Riccardo Chailly

dirige Giovanna per la prima volta a Bologna nel 1989 con la regia di Werner Herzog e un cast formato da Susan Dunn, Vincenzo La Scola e Renato Bruson. Tra le esecuzioni degli anni successivi ricordiamo almeno quelle del Covent Garden nel 1996, con Daniele Gatti, la regia di Philip Prowse e June Anderson protagonista; del Carlo Felice di Genova nel 2001 con Nello Santi, la regia di Wener Herzog e Mariella Devia; del Regio di Parma nel 2008 con Bruno Bartoletti, la regia di Gabriele Lavia e Svetla Vassileva; e infine quella del Festival della Valle d’Itria di Martina Franca nel 2015 con Riccardo Frizza, la regia di Fabio Ceresa e Jessica Pratt. Al Festival di Salisburgo l’opera è stata presentata con grande successo nel 2013 in forma di concerto con la direzione di Paolo Carignani e Anna Netrebko, Francesco Meli e Plácido Domingo: la serata è stata registrata in un CD Deutsche Grammophon.


 

 

 
 
 

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