L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il Rosenkavalier di riferimento

 di Francesco Lora

Alla Semperoper di Dresda, Thielemann completa il proprio anno straussiano con una lettura di assoluta maturità. Lo circondano l’eccellenza della Staatskapelle e di quattro prime parti incontornabili: Harteros, Karg, Koch e Rose.

DRESDA, 14 dicembre 2014 – Nel centocinquantesimo della nascita del grande operista, per Christian Thielemann è stato un anno pieno di Richard Strauss: Elektra a Dresda e Berlino, Arabella a Salisburgo [leggi la recensione] e Dresda, Ariadne auf Naxos a Vienna [leggi la recensione], Capriccio a Dresda e – a mo’ di coronamento, ancora nella Semperoper della capitale sàssone – tre recite del Rosenkavalier (7, 14 e 21 dicembre). Per quest’ultimo capolavoro, dalle promesse della locandina fino agli esiti della recita, ecco una lettura di riferimento. La presiede, in Thielemann, l’appassionato interprete straussiano montato in cattedra ormai da un quarto secolo, e oggi giunto a un grado di maturità che non teme la competizione di altro maestro: lo si coglie nella cura maniacale del dettaglio scevro tuttavia da ogni calligrafismo, con una visione d’assieme sfumata e insieme coesa, senza rimpianti se si passa oltre questa o quella occasione di sentimentalistico compiacimento; così, quanto nel sublime terzetto finale delle tre donne si insinua un singolo indugio agogico, quel piccolo gesto tenuto in serbo e concesso all’ultimo momento tortura d’improvviso orecchio e cuore, e vale assai più delle studiose sottolineature disseminabili a piacere nelle precedenti tre ore d’ascolto.

Dominano dunque un mirabile senso della misura espressiva e un inarrivabile dominio tecnico della partitura, mentre intorno a raccoglierli v’è la Sächsische Staatskapelle: massiccia come l’oro eppure leggera come un pastello, elegante e traslucida come la porcellana, orchestra teatrale prima che sinfonica e dunque sollecita ad avvolgersi fluttuante intorno al canto senza mai volerlo sovrastare. Ciò va tutto a vantaggio di quella che potrebbe a buon diritto dirsi la miglior lista di cantanti per un Rosenkavalier. Anche qui si trovano i soliti inevitabili: sembra impossibile, oggi, andare in scena senza l’Octavian di Sophie Koch e l’Ochs di Peter Rose.

Il discorso sulla prima, a forza di recensire allestimenti differenti del Rosenkavalier, è sempre aperto, travagliato e forse vieppiù nitido. Ideali sono la figura fisica che suggerisce la sensuale attrattiva e la dolce intraprendenza dell’adolescente, il colore ambrato che si presta a contrastare con quello di ogni Marescialla e di ogni Sophie, nonché la ricchezza di risorse della fraseggiatrice che ormai conosce ogni piega dell’opera. Di difficile digestione è per contro l’inclinazione a strafare, calligrafando il giovane nobile e caricaturando il suo travestimento, così da sospendere per lunghi tratti la seducente spontaneità del personaggio e da sostituirla con le prevedibili concessioni della cantante manierata, assuefatta, non più di primo pelo e dunque radente il grottesco.

Non si potrebbe invece immaginare un Ochs meglio calzato che da Rose: egli ne possiede innanzitutto ogni nota, e in secondo luogo lo spirito gradasso, l’esuberante volgarità e le simpatiche debolezze, sapientemente centellinate nella singola sillaba o fatte brillare fin nella muta controscena. Eccellente è a sua volta la Sophie di Christiane Karg, inappuntabile nella filata virginalità del canto, ma nel contempo attrice peperina e scoppiettante: una cantante degna del concerto ma disinibita sulla scena, ovvero un personaggio che dismette la bambola e rivela la giovane donna.

Quanto all’ultimo tassello del quartetto di prime parti, v’è da prostrarsi: attiva in tanto Verdi, Wagner e Strauss, Anja Harteros frequenta la Marescialla del Rosenkavalier con la stessa sporadica ciclicità delle altre parti in repertorio. Eppure, in pochi altri casi si potrebbe trovare un più tangibile vantaggio scambievole tra interprete e personaggio: l’arcobaleno del timbro, la fluidità dell’emissione e la franchezza dei modi evocano con sbalorditiva immediatezza la malinconia della donna, la filosofia del vivere, la sintesi di educazione aristocratica e semplice bontà d’animo. Come spesso accade alle voci con fascinosa copertura del suono, talvolta le note più acute tendono a schiacciarsi, opacizzarsi e calare d’intonazione; ma pare cosa di poco conto se in quelle stesse frasi prende forma questa Marescialla così vivace e giovanile, umana e presente, dapprima colma di sferzante autoironia nell’immaginarsi vecchia in un tempo lontano, e infine incredula e ammutolita e svuotata allo scoprirsi esclusa dalla generazione di Octavian e accolta in quella adulta del padre di Sophie. Lontana dalla zuccherosa affettazione della Fleming e dalla senescenza vispoteresoide della Isokoski, ecco la più moderna, completa e attendibile Marescialla del tempo presente.

Valido il resto della compagnia, dal Faninal di Adrian Eröd, depauperato nell’antico smalto ma ancora prestante come caratterista, al Cantante di Yosep Kang, generoso fino al vero e benvenuto esibizionismo tenorile di chi deve cantare nel canto, fino all’Annina di Christa Mayer, maestra di disinvoltura scenica e sfarzo canoro in una parte spesso limitata a macchietta. Quanto all’allestimento scenico, la regìa di Uwe Eric Laufenberg, le scene di Christoph Schubiger e i costumi di Jessica Karge agiscono sul testo con mano leggera: la trasposizione in una Vienna del secondo dopoguerra, con vista sulla camera ingrigita di un frusto palazzo Werdenberg, o dall’alto di un moderno e lussuoso attico Faninal, non sfiorano didascalia e tanto meno la sostanza del libretto originale. A dare il colpo d’ala verso una sempreverde attualità, d’altra parte, provvedono tanta musica e tali musicisti.

Foto Matthias Creutziger


 

 

 
 
 

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