Otello nella patria di Vinay
di Joel Poblete
In virtù della gloriosa storia locale, il ritorno di Otello sulle scene del Teatro Municipal di Santiago del Cile è inevitabilmente oggetto di trepidanti aspettative. Grazie a una perfetta simbiosi fra musica e teatro, il successo è stato pieno per la produzione finora più convincente della stagione. Da notare, nel cosiddetto Elenco Estelar, il debutto nel ruolo del titolo di José Azócar, primo Otello cileno dopo Ramon Vinay.
In ogni teatro lirico che includa nella sua programmazione quello straordinario capolavoro che è l'Otello di Verdi, è inevitabile che sorgano molte aspettative nel pubblico. E il debutto di sabato 2 agosto della nuova produzione che ha segnato il suo ritorno al Teatro Municipal di Santiago, dopo otto anni di assenza e come quarto titolo della stagione lirica, non ha fatto eccezione. Per cominciare, poiché l'ultima volta che andò in scena al Municipal, nel 2006, ha lasciato un amaro ricordo, non essendo andate in scena tutte le recite previste a causa della crisi interna che aveva colpito il teatro in quel periodo. E poi, l'opera stessa era molto attesa, e fortunatamente i risultati hanno superato le aspettative: considerando nel complesso gli aspetti musicali e teatrali, è stato senza dubbio lo spettacolo più riuscito offerto finora dalla stagione 2014 del principale teatro lirico cileno, dopo Kat'a Kabanova, Puritani e Lakmé.
A prima vista, quel che più colpisce nella produzione è la forza e la vitalità della proposta scenica. Il talentuoso regista Pablo Maritano, una delle più celebrate figure dell'attuale scena lirica in Argentina, già aveva raccolto elogi lo scorso anno al Municipal per la sua visione di un altro classico verdiano, Il trovatore, e oggi ha superato se stesso con un risultato ancora maggiore, considerando che si trattava di una delle principali tragedie di Shakespeare e che grazie al lavoro congiunto di Verdi e del suo librettista Arrigo Boito, Otello è una delle opere teatralmente più potenti dell'intero repertorio. Si può dire si sia trattato di un omaggio emblematico al grande autore inglese nel 450° dalla sua nascita, con l'idea di Maritano concretizzata in un abile dispositivo circolare che si apre, si chiude, si muove, sempre presente in tre dei quattro atti dell'opera ed evoca il celebre Globe Theater dove nacquero molti drammi del Bardo, fra cui, appunto, Otello. Anche se in principio, nel primo atto, si poteva temere che questa idea, reiterata, avrebbe potuto risultare ripetitiva e ridurre lo spazio e le possibilità sceniche per i solisti e il coro, alla fine si è confermata una solida base per questa vicenda profonda e dolorosa di gelosia, tradimento e morte.
Il regista ha potuto contare sulla complicità del disegnatore, pure argentino, Enrique Bordolini, le cui scene e luci d'effetto si sposavano alla perfezione con i costumi assai belli e colorati dell'italiano Luca Dall'Alpi, creando quadri di plastica bellezza, come nel sublime duetto "Già nella notte densa", o in momenti di "teatro nel teatro" ideati per i primi due atti.
Dall'intensa scena della tempesta che apre l'opera fino al colpo di scena che la chiude, nella sua regia Maritano non si è concentrato solo sulla resa estetica e sulla superficie, ma ha sapunto valorizzare al massimo ognuno dei numerosi dettagli e delle risorse teatrali di una partitura che funziona come un meccanismo drammatico perfetto; questo è parso evidente tanto nei grandi momenti solistici - fra tutti il memorabile "Credo" di Jago - quanto in quelli che talora vengono trascurati, come il quartetto del secondo atto. E soprattutto ha potuto contare su cantanti che non solo hanno saputo affrontare le numerose esigenze musicali dei rispettivi ruoli, ma che si sono anche messi in gioco come attori.
Se si pensa che la storia esecutiva di Otello ha visto sfilare a Santiago, nel ruolo del protagonista, nomi illustri come quello di Carlo Cossutta o dei cileni Renato Zanelli e Ramón Vinay - quest'ultimo in sei distinte occasioni fra il 1948 e il 1969, incluso il suo addio al personaggio - fino al più rinomato interprete degli ultimi decenni, Placido Domingo, che ne ha cantato estratti in concerto in questa stessa sala, non è una responsabilità da poco ricoprire i panni del Moro al Municipal. Sempre, in ogni teatro del mondo, è una fortuna immensa incontrare un buon Otello. E, nell'Elenco Internacional, con il suo debutto latinoamericano, il lituano Kristian Benedikt, che ha già incarnato il Moro di Venezia in importanti teatri europei, è stato veramente un grande Otello: benché occasionalmente alla prima abbia dato l'idea di star superando un'indisposizione, Benedikt ha saputo controllare e gestire in maniera eccellente una voce salda e ben timbrata, che forse potrebbe trovare una maggior proiezione in sala, ma ad ogni modo è stata capace di superare tutti gli scogli della parte, inclusi gli acuti più esposti; come attore è stato assolutamente credibile ed emozionante, sia nei monologhi sia nei duetti con Desdemona e Jago.
Tre anni dopo un'impressione già positiva destata con il debutto in Cile in un'altra opera verdiana, Simon Boccanegra, il soprano statunitense Keri Alkema è tornata per incarnare per la prima volta nella sua carriera Desdemona. La sua resa è stata splendida, sia per la presenza scenica sia soprattutto per la voce, ricca e calda, di buon volume e potenza, assai adatta ai ruoli verdiani, brillando in particolare nel quarto atto, con una commuovente Canzone del salice e Ave Maria. Da parte sua, il baritono azero è stato uno Jago sorprendente e implacabile, pieno di energia, cantato con forza e convinzione, plasmando un memorabile malvagio che compie le sue trame fuori da ogni cliché e caricatura, risultando perfettamente complementare all'Otello di Benedikt.
Oltre alla rotonda voce del basso russo Alexey Thikhomirov nella sua breve apparizione come Lodovico - personaggio che incarna nelle due diverse compagnie impegnate al Municipal -, accanto ai tre protagonisti l'ottimo cast annoverava artisti cileni, fra cui si distingueva il tenore Sergio Járlaz, un Cassio molto ben cantato, con buon volume e proiezione oltre che disinvolto sulla scena,mentre una volta di più il mezzosoprano Evelyn Ramírez si è rivelata una presenza luminosa, questa volta come Emilia, un ruolo che normalmente passa in secondo piano e che qui ha trovato maggior rilievo.
Il merito della buona fusione fra musica e teatro che contraddistingue questa produzione con l'Elenco Internacional non risiede solo nel team registico e nei cantanti, ma anche e soprattutto nella direzione musicale del maestro italiano Antonello Allemandi, a capo della Orchesta Filarmonica di Santiago. Questo noto direttore aveva già concertato buone recite in passato al Municipal, con con due popolarissime commedie donizettiane, Don Pasquale nel 2011 e lo scorso anno L'elisir d'amore; oggi, volgendosi al dramma verdiano, si è confermato musicista sensibile e intelligente, attento ai dettagli e al'equilibrio fra buca e palcoscenico. E come ormai d'abitudine, il Coro del Teatro Municipal, diretto da Jorge Klastornik, è stato solido ed efficace nei suoi interventi, in Otello brevi e circostanziati, ma assai esigenti, come l'inizio del primo atto e il grande concertato del terzo.
La seconda compagnia, detta Elenco Estelar, ha debuttato mercoledì 06 agosto e suscitava a sua volta vive aspettative, soprattutto per il protagonista. Da quando il tenore cileno José Azócar ha debuttato come solista sulla scena nel 1988, proprio al Teatro Municipal di Santiago, molti melomani immaginavano o profetizzavano che un giorno avrebbe potuto arrivare ad abbordare l'arduo ruolo di Otello. Eppure, pur avendo intrapreso una carriera internazionali affrontando alcune delle più impegnative parti tenorili - continuando a risiedere in Cile ha cantato in paesi come Argentina, Uruguay, Brasile, Spagna, Stati Uniti, Inghilterra e Germania -, non aveva ancora incontrato questo personaggio. Ora, un quarto di secolo dal debutto, lo fa in una produzione che in più sensi si può definire una pietra miliare non solo della sua carriera, ma anche della scena lirica locale: dopo il leggendario Vinay nessun tenore cileno aveva affrontato il Moro, e se oggi qualcuno avesse potuto interpretarlo, quello sarebbe stato Azócar. Naturalmente non era consigliabile debuttare in Otello nei primi anni di carriera, ma il colore scuro della sua robusta voce, la potenza e la sicurezza degli acuti sembravano predestinarlo a interpretare il Moro almeno una volta, soprattutto con l'esperienza maturata in più di vent'anni di palcoscenico.
E benché il risultato non possa definirsi del tutto straordinario, non demeritava ed è stato salutato da applausi entusiastici la sera del suo debutto: nonostante i suoi 53 anni e i segni, come per il suo collega dell'Elenco Internacional, di una qualche indisposizione - ha tossito in più occasioni nel corso della recita -, la sua prova è stata convincente. Sempre sostenuto dall'efficace ma non troppo incisiva direzione di José Luis Domínguez, a capo della Filarmonica de Santiago, e senza rinunciare ad alcuni suoi tipici "tic", come il rimanere fisso a guardare il direttore, sempre presenti nonostante la chiara volontà di dissimularli, ha offerto la sua interpretazione del Moro con il massimo impegno e ardimento; la voce continua a essere forte e luminosa negli acuti, mentre la recitazione resta convenzionale e schematica e si chiede decisamente di più per affrontare un ruolo come quello di Otello. Ad ogni modo ha messo in luce un'idea teatrale più accurata che in altri ruoli. Considerando che questo a rigore era il suo debutto, il risultato è degno di nota e, con più rodaggio e una maggior frequentazione dell'opera, è possibile che il suo Otello possa crescere. Comunque già questa può essere considerata la consacrazione della sua vita artistica, se si pensa che per molti tenori il personaggio rappresenta l'apice della carriera.
Desdemona in queste recite era il soprano Paulina González, uno dei talenti lirici di maggior potenziale emersi negli ultimi anni in Cile, come ha già confermato negli ultimi anni quale Juliette nell'opera di Gounod e Fiordiligi in Così fan tutte, per la quale fu riconosciutoa come la migliore interprete nazionale 2013 dal Círculo de Críticos de Arte de Chile. La prima impressione, considerate la sua vocalità e la carriera che sta intraprendendo negli ultimi anni con un preciso indirizzo di repertorio, è che questo personaggio verdiano sia un impegno un po' prematuro, essendo, sì, Desdemona affrontata anche da giovani soprani lirici, ma contemplando pure momenti che esigono peso e colore di maggior spessore; fortunatamente, González ha saputo superare le difficoltà gestendo la sua voce con intelligenza, plasmando una credibile protagonista, che, come c'era da aspettarsi, è emersa soprattutto nella sua bella e melanconica scena dell'ultimo atto, specialmente in un malioso e sentito "Ave Maria".
Come nel caso dell'Elenco Internacional, questa recita ha potuto contare su uno Jago assai convincente, il baritono argentino Fabián Veloz, voce accattivante e canto verdiano ricco di sfumature - più ancora che nel Brindisi o nel "Credo" ha colpito in "Era la notte"-, talora più sottile e misurato del suo collega dell'altra compagnia, ma sempre implacabile, perfetto contraltare vocale e teatrale per l'Otello di Azócar. Il tenore Leonardo Navarro è stato un Cassio disinvolto e giovanile, di voce gradevole, mentre Emilia, normalmente mezzosoprano, era appannaggio del soprano Paola Rodríguez, sicura e carismatica sotto ogni punto di vista, soprattutto nell'ultimo atto.