L'ombra di Wagner su Vienna
di Roberta Pedrotti
R. Wagner
Wesendonk-Lieder
A. Berg
Sieben Frühe Lieder
G. Mahler
Rückert-Lieder
soprano Anja Harteros
direttore Valery Gergiev
Münchner Philharmoniker
CD BR Klassik 2021, MPHIL0024
Si parla spesso, non senza valide ragioni, di scuole italiane e tedesche, di Wagner (e dintorni) teutonico o mediterraneo. Ogni generalizzazione o categorizzazione deve però fare sempre i conti con la varietà degli artisti in carne ed ossa. Prendiamo Anja Harteros, tedesca della Renania, padre greco ma formazione tutta in Germania prima di intraprendere la carriera internazionale, Wagner, Verdi e Mozart, con un pizzico di Strauss, Puccini e Giovane Scuola (forse la migliore Maddalena di Coigny in attività, di certo sul podio) i cardini del repertorio. Il che significa una perfetta idiomaticità del canto nella sua lingua madre, tale da apparire evidente anche a chi non la mastichi, tanto è naturale ed espressiva la fonetica. Significa anche che la presunta durezza del tedesco tale non è, se l'artista intelligente e scaltrito sa cantare sulla parola, come suono e come senso, al pari di Anja Harteros, la cui emissione è morbida e duttile in senso lirico ma, lo sappiamo bene da tante recite dal vivo, con proiezione e resistenza che le consentono di affrontare senza problemi parti più decisamente spinte. Potremo forse definire “tedeschi” il suo riserbo, la misura elegante dell'espressione stilizzata rispetto a latini calori melodrammatici? Si faccia pure, ché l'intensità della sua “Mamma morta” o di “Pace mio Dio” parlano da soli. Lo ribadisce come liederista, specie in un programma come questo, che l'organico per voce e orchestra rende inevitabilmente più teatrale.
Teatrali, inevitabilmente, per il loro legame con il Tristan e per la vocazione drammaturgica dell'autore sono i Wesendonck-Lieder di Wagner, la cui ombra si allunga sulle generazioni successive, sul giovane Berg dei Sieben Frühe Lieder e sul Mahler quarantenne nel pieno della maturità creativa dei Rückert-Lieder, composti fra la Quarta e la Quinta Sinfonia. Harteros non corre il rischio di caricare di tinte troppo forti questa teatralità, bensì la esprime in una varietà minutissima e fluidissima di sfumature. Coglie lo stile wagneriano, che conosce a menadito, e lo declina nella dimensione del Lied, con sapiente quanto trepido e accorato lavoro sul testo cantato; nondimeno, ne declina i tratti crepuscolari e ambigui nella Vienna sulle soglie del nuovo secolo, in cui l'articolazione può anche alleggerirsi in inflessioni liliali quando non liete, quasi brillanti (basti ascoltare “Blicke mir nicht in die Lieder” di Mahler, cui la voce acuta rispetto alla destinazione originaria non sembra inadatta). Sempre, nella voce di Harteros, resta poi quella patina di mistero nel timbro e nell'inflessione che ben si piega a esaltare il fascino e la peculiarità di ogni ciclo, in accordo con la concertazione di Valery Gergiev. Si parlava di scuole italiane e tedesche? Nel mezzo ecco la tradizione russa, che del suono bavarese sopraffino dei Münchner Philharmoniker trae un tappeto morbido e levigato capace di alleggerirsi all'occorrenza e far emergere colori e dettagli strumentali preziosi, con sonorità sempre ricche e avvolgenti.