Le rivali assediate
di Andrea R. G. Pedrotti
Risplendono le voci femminili di Anita Rachvelishvili, perfetta Amneris, e Maria José Siri, raffinata Aida, nell'opera verdiana all'Arena, seppur costrette nell'azione negli spazi paradossalmente angusti concessi dall'ingombrante apparato zeffirelliano e musicalmente inserite in un contesto poco convincente, in primis per la concertazione zoppicante - e contestata - di Andrea Battistoni.
Leggi la recensione della recita con cast alternativo diretto da Omer Meir Wellber
VERONA, 20 giugno 2015 - Grandi code fuori dall'Arena, ma poche candeline all'interno. Probabilmente, l'idea di portarsi a casa un piccolo ricordo di cera scalda i cuori dei turisti molto più dell'effetto visivo della moltitudine delle fiammelle accese. Come il giorno precedente su Verona si è abbattuto un notevole acquazzone, non troppo violento, ma, comunque, fastidioso.
Aida torna di scena all'Arena quasi ininterrottamente da 93 edizioni del festival estivo, ma il fascino dell'opera verdiana resta immutato nell'immaginario dei molti accorsi da tutta l'Italia, dall'Europa, dal mondo. Infatti abbiamo avuto il piacere di riscontrare un gran numero di presenze all'interno dell'anfiteatro; decisamente un buon risultato visti i tempi di crisi e il fatto che questa fosse una produzione ampiamente ripresa.
Quella a cui abbiamo assistito sabato 20 giugno è, probabilmente, la messa in scena peggio riuscita di Franco Zeffirelli per l'Arena di Verona. La costruzione centrale è una grande piramide rotante, con immagini fin troppo caricate. Siamo completamente distanti dalla maniera di De Bosio: quella era una cartolina, Zeffirelli, al contrario, carica di continuo elementi, anche dove questi non servirebbero a nulla. Il monumento nel mezzo della scena è ampiamente sproporzionato per il palco scaligero e soffoca qualsiasi possibilità di movimento che non sia essenziale. I cantanti sono costretti in spazi ristrettissimi, risultando ampiamente limitati nella recitazione; inoltre, l'ingombrante presenza della piramide, non consente effettivi cambi di scena, con III e IV atto molto simili al primo. Siamo lontani dalle meraviglie scenografiche della reggia di Turandot, vista sempre in Arena e recensita lo scorso anno [leggi la recensione]. Un maggior margine d'azione è stato assegnato al corpo di ballo, poiché, grazie a un'apertura centrale, si è riusciti a costruire una coreografia, cosa non realizzata compiutamente nelle edizioni precedenti del medesimo allestimento. Dei balletti principali, abbiamo sinceramente preferito quelli del Trionfo. La scena del tempio è, infatti, apparsa divisa in due tronconi, a causa della direzione d'orchestra di Andrea Battistoni. La sacerdotessa entrava in scena dal centro, assieme a degli uccelli dal piumaggio del colore delle acque del Nilo, tuttavia ci è sembrato visivamente più d'effetto quando il complesso areniano era schierato sul palco e il coreografo Renato Zanella ha sfruttato la sua nota vena narrativa con suggerimenti cromatici fra chiaro, scuro (forse i mori e le sacerdotesse) e colori sgargianti di notevole impatto. Molto fluidi e coinvolgenti i ballabili del II atto, dalla danza della schiava, fino all'assieme - sempre segnato da un'idea narrativa - che fa capire quanto il concetto fosse differente rispetto al gala televisivo di giugno, di cui abbiamo scritto a suo tempo [leggi la recensione].
I costumi, conformi al resto dell'allestimento, erano a cura di Anna Anni.
Note liete vengono dal versante femminile del cast: Anita Rachvelishvili è un'Amneris straordinaria. Il giovane mezzosoprano ha la voce perfetta per cantare in Arena, ineccepibile scenicamente doma la parte con sicurezza e interpretazione disarmanti. La proiezione del suono è morbida e ampia. Peccato che dalla buca non sia giunto il necessario pathos nella scena del giudizio, ma - grazie alla sua arte - il personaggio è emerso magnificamente.
Ottima anche l'Aida di Maria José Siri, morbida nel canto e brava attrice. La cantante veronese d'adozione ha interpretato ormai diverse volte il ruolo in Arena, ma si dimostra, una volta di più, professionista raffinata, elegante e mai eccessiva.
Non sugli stessi livelli il Radamès di Carlo Ventre, che parte molto male con un “Celeste Aida” completamente censurabile e con grandi problemi in tutte le parti cantabili. Nel resto dell'opera non fa troppi danni, anche se -spesso- ci si scorda persino della sua presenza, forse oscurato dallo splendente carisma della Siri e della Rachvelishvili. Elemento più debole del cast è l'Amonasro di Leonardo López Linares, mai in parte, anonimo scenicamente e piatto nel fraseggio. Nulla in lui traspare del monarca etiope e, complice la regia statica, la prova risulta deludente.
Bene gli altri, fra cui Giorgio Giuseppini (Il Re), Raymond Aceto (Ramfis), Francesco Pittari (Un messaggero) e Stella Zhang (Sacerdotessa).
Gli impeccabili primi ballerini erano, come sempre, Alessia Gelmetti, Teresa Strisciulli, Evghenij Kurtsev e Antonio Russo.
Non è apparso in gran forma il coro, con tempi troppo slegati e un notevole sfasamento fra le sezioni. Il consueto amalgama vocale è venuto meno e non ha soddisfatto nemmeno la scena del tempio, che sarebbe uno dei maggiori punti di forza del complesso areniano.
Molto va imputato alla concertazione disastrosa di Andrea Battistoni. Non è possibile salvare il maestro veronese in nessuna parte dell'opera: il gesto appare avulso dalla partitura, che viene perennemente maltrattata. I tempi sono fantasiosi all'eccesso e Battistoni dilata le pause, con stacchi di ampiezza smisurata, scollando vistosamente le parti di coro e orchestra. L'equilibrio con il palco è una pura chimera, poiché non esiste alcun tipo di coordinazione nemmeno nei terzetti. Lasciamo immaginare, dunque, che cosa sia accaduto nei concertati e nelle scene d'assieme, con attacchi errati e mai eseguiti all'unisono. L'orchestra da una delle sue prove peggiori - non per colpa dei professori, ovviamente - risulta pertanto anodina nel fraseggio, ma notevolmente rumorosa. Molto strepito per nulla: il titolo della splendida commedia di William Shakespeare funge bene da sunto dell'effetto che Battistoni ha conferito alla partitura verdiana, che sicuramente meriterebbe miglior interprete.
Fortunatamente il pubblico dell'Arena - anche alle prima - ascolta senza pregiudizi, positivi o negativi che siano, e giudica il risultato. Il risultato di Battistoni merita una bocciatura senza appello, anche considerate le svariate occasioni che il direttore veronese ha avuto, e viene salutata da alcune, meritatissime, contestazioni all'inizio del II Atto.
foto Ennevi