Gardiner: la koiné del madrigale
di Roberta Pedrotti
Il festival Incontri in Terra di Siena inaugura la sua edizione 2015 con un un superbo concerto di sir John Eliot Gardiner e della sua Accademia Monteverdiana. Una serata perfetta, che nulla potrebbe incrinare.
Il concerto di Ian Bostridge per gli Incontri in Terra di Siena
SARTEANO (SI) 25 luglio 2015 - Ci sono meraviglie che si rinnovano senza che sia possibile abituarvisi, stupori che si ripetono anche se, ormai, non ci dovrebbero più sorprendere. Non sorprende la bellezza del paesaggio toscano, eppure la varietà di quel piccolo miracolo geologico che è il trascolorare di dolcezze e asprezze fra il Chianti, le Crete e il monte Amiata, nel Senese, non cessa di incantare. Non sorprende la delizia di ogni borgo, anche il più piccolo e trascurato dalla storia e dagli itinerari turistici, eppure ogni volta ci si sofferma sullo scorcio di una vista, di una piazza, di un vicolo. Non sorprende trovare anche in questi centri microscopici il teatro che la comunità, un mecenate, una qualche accademia o consesso intellettuale decise di edificare e animare, ma quando una saletta all'italiana di si e no un centinaio di posti fra platea e palchi si schiude in un insospettabile palazzo il cuore ha, sempre, un sobbalzo.
E non stupisce che un gentiluomo inglese appassionato di campagna prenda casa qui, ma quando questo gentiluomo è Sir John Eliot Gardiner e lo incontri a Sarteano nel delizioso teatrino degli Arrischianti (rinata accademia su modello antico il cui motto Per più ricca tornar sfida i perigli, a circondare una nave nello stemma, piace molto nella sua accezione, ovviamente, metaforica, culturale e spirituale), quando dirige madrigali di Monteverdi con un ensemble di formidabili giovani musicisti, allora il brivido scorre davvero lungo la schiena.
La serata nasce sotto i migliori auspici, ma ancor superiori sono i frutti della collaborazione fra il festival Incontri in Terra di Siena e l'Accademia Monteverdiana (splendidi esempi di mecenatismo anglo-italiano rappresentato rispettivamente dalla famiglia Origo-Lysy e da Michael Cioffi). Difficilmente, infatti, sarà possibile individuare modello migliore di espressione dell'altezza e della complessità raggiunta dalla letteratura madrigalistica, del suo spirito poetico, della sua stessa dimensione fisica e metafisica.
I cantanti sono tutti solisti, e in qualche caso ci piacerebbe parlare di astri nascenti o già sorti, se il canto rinascimentale e barocco schiudesse fama e allori paragonabili – fossanche a parità di studio, dedizione, soddisfazioni e risultati – a quelli connessi al repertorio che va da Mozart in poi. Chi, però, frequenti lidi limitrofi a Monteverdi, riconoscerà gradito e familiare più di un nome fra quelli dei soprani Francesca Aspromonte, Francesca Boncompagni e Silvia Frigato, del mezzosoprano Esther Brazil, del contralto Adriana Di Paola, del controtenore Raffaele Pè, dei tenori Francisco Fernandez-Rueda e Fernando Guimarães, del baritono Renato Dolcini, del basso Lisandro Abadie. E chi non è ancora famoso – almeno nella cerchia della musica antica e barocco – lo diventerà, c'è da scommetterci. Perché alle loro voci Gardiner ha ben affidato l'alchimia di una poesia in musica che, questa sera, ci pare splendere nella sua più alta espressione, e non sembra casuale che più della metà siano italiani, la quasi totalità latini, una sola anglofona. Il lavoro sulla parola, sull'articolazione del suono, sulla metrica e sulla prosodia ha una raffinatezza, una cura e insieme una naturalezza seducenti, frutto della familiarità dei madrelingua che pare irradiarsi in una privilegiata koiné musicale, sublimata, si direbbe, dallo sguardo analitico di un direttore di classe superiore e non italofono di nascita che analizza l'idioma con l'acribia dello studioso e la passione dell'innamorato, ma anche dallo scrupolo entusiasta e ricettivo del giovanissimo mezzosoprano statunitense.
Così, se c'è la parola, il senso profondo del testo e della sua intrinseca sonorità, c'è già Monteverdi, e la precisione musicale cristallina, la qualità dell'emissione, sempre plasmata sull'affetto del pezzo, sembra venire quale inevitabile conseguenza. E non c'è virtù maggiore, per un artista, di quella che trae forza da uno “studio matto e disperatissimo” per farlo poi scordare all'ascoltatore, cui tutto appare semplicemente naturale e necessario.
Così godiamo di quelle voci che sono una sola, come una sorta di prisma emotivo che concentri o rifranga la luce poetica negli spazi delle architetture polifoniche, mai come in questo caso vivo teatro dell'anima. Ora le voci si raccolgono in una compattezza quasi monodica, ora si fanno personaggio e dialogano realisticamente, ora si aprono nell'astrazione di mille frammenti di dolore o furia, di mille declinazioni di sensualità e gioia.
L'intimità del teatro degli Arrischianti favorisce la dimensione cameristica di un genere nato fra gli eletti consessi cortigiani, espressione della nobiltà umanistica di spirito e d'intelletto, ma ne asseconda la vocazione già teatrale, che tutto risolve nell'identità profonda fra poesia e musica, fra polifonia e psiche. Fra tutti dovremmo citare almeno la melanconica ironia di Ohimè, se tanto amate – magnifica sintesi di humor britannico e latino –, il caleidoscopio emotivo e drammatico dei lamenti di Armida (Vattene pur, crudel, con quella pace) e Arianna (Lasciatemi morire), l'esuberanza gioiosa della ciaccona Zefiro torna, e di soavi accenti e il sofisticato mascheramento da idillio pastorale di Presso un fiume tranquillo, in cui Monteverdi rende Marino insospettato fratello di Teocrito e Virgilio.
Il cembalo di Antonio Greco e i liuti di Evangelina Mascardi e Ivano Zanenghi coronano il sogno musicale officiato da Sir John Eliot Gardiner.
Un difetto? L'idea di intercalare i madrigali cantati con versi recitati in qualche modo consonanti sarebbe stata eccellente, soprattutto nel caso della continuità fra le ottave del canto XVI della Gerusalemme Liberata, ma Ivano Marescotti non è stato decisamente all'altezza della situazione e di Guarino, Tasso, Petrarca. Non infieriamo sulle insufficienze nell'espressione o nella resa di strutture metriche e sintattiche, sulla resa pleonastica di ogni riferimento al pianto con inflessioni querule e lacrimose; dato il livello della serata diremo piuttosto che, se non abbiamo goduto di un elettrizzante intreccio fra voce cantante e recitante, l'altissima qualità musicale ha ben compensato e, anzi, reso utile e perfin grato il calo di tensione. Al contrario la prova di attori non professionisti come Esther Brazil e, a sorpresa, lo stesso Gardiner alle prese con sonetti di John Donne ha favorito una piacevolissima atmosfera di amichevole familiarità e di scambio di stimoli e suggestioni fra anglofoni e italofoni nativi.
Una koiné d'arte che vorremmo fosse d'esempio per il nostro mondo contemporaneo.
foto ©Paul Flanagan