L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Cielo e terra

di Michele Olivieri

Torna alla Scala il Galà Fracci in memoria della grande étoile milanese: una parata di stelle con il Balletto della Scala e un ricco programma che ricordava sotto varie angolazioni l'arte e la vita di "Carlina".

MILANO – Come avvenuto alla prima edizione, anche questa nuova serata ha riunito il pubblico delle grandi occasioni (con una nutrita partecipazione straniera), per continuare a celebrare il nome di Carla Fracci nel Gala ideato dal direttore Manuel Legris. L’eccellente Balletto della Scala ha onorato con solida preparazione l’attitudine delle sue giovani stelle. Al loro fianco quattro ospiti di primissimo piano: Alessandra Ferri, Roberto Bolle, Davide Dato, Jacopo Tissi. Presenti in platea Oriella Dorella, Luciana Savignano, Julio Bocca, Manuel Legris, Amedeo Amodio, Luigi Bonino, Tatiana Nikonova, Anna Maria Prina, Fréderic Olivieri, Maurizio Vanadia, Anna Maria Grossi, Luisa Spinatelli, il Sovrintendente Dominique Meyer e tanti altri protagonisti scaligeri, oltre ad un nutrito numero di addetti ai lavori.

Il nuovo Gala Fracci ci racconta ancora della divina e della sua straordinaria carriera nel luogo ove tutto ebbe inizio. Si poteva leggere la musica nei suoi occhi. Ogni balletto da lei interpretato era sacro, nelle sue interiorizzazioni si sentiva l’inneggiare alla vita, perché la danza la percepiva anche come una preghiera (a riprova di ciò è bello ricordare la tradizione meneghina delle danzatrici della Scala che prima di un debutto, deponevano un fiore davanti all’immagine della Madonna del Latte, detta Madonna “dei Torriani”, nella soprannominata “Cappella delle Ballerine” in San Fedele; tra loro a rendere questo omaggio anche la giovane Fracci). Carla, all'anagrafe Carolina, si avvicinava a ciascun titolo in maniera differente, poiché i ruoli che doveva interpretare erano essi stessi differenti. Possedeva l'innata capacità di dimenticare sé stessa per identificarsi, il più possibile, con un altro personaggio, non solo attraverso il costume e il trucco, ma soprattutto mediante il portamento, il gesto, l’intenzione. La danza era per la Fracci tra le forme culturali più ricche. Tutti i sentimenti: tenerezza, amore, odio, gioia e dolore sono in effetti ben presenti. È riuscita a comprendere un largo ventaglio esegetico e la gioia che esso produceva nel coinvolgere lo spettatore. Sapeva unire l’espressione all’azione, perfezionando gli stili senza mai l’impressione che fossero algidi. Ha dimostrato a ogni nuova creazione che il vocabolario accademico sopravviverà alle mode passeggere, alle manie, alle tendenze. L’eredità che ci ha lasciato è preziosa. Lei viveva nell’anima di ogni donna che danzava.

La serata si è rivelata all’altezza del suo lavoro, e soprattutto si è tenuto vivo il fuoco che aveva acceso fin da giovanissima. Carla Fracci era un ballerina di forte ispirazione e stile. La sua danza non era ornata, ma piena di grazia e integrità nobile, il suo stato d’animo apparteneva alla poesia. Il programma concepito da Legris ha miscelato con cura importanti rimandi, ad esempio quelli ai leggendari Ballets Russes di Diaghilev, con una sfilza di interessanti titoli (oggi poco rappresentati), tra classico e contemporaneo, che hanno visto la ballerina milanese (simbolicamente o idealmente) protagonista indiscussa al fianco di grandi nomi, tra cui Erik Bruhn, Rudolph Nureyev, Vladimir Vassiliev, Antonio Gades, Paolo Bortoluzzi, Mikail Barishnikov, Gheorghe Iancu.

Sul podio il maestro americano Kevin Rhodes, impeccabile nel trascinare l’illustre Orchestra del Teatro alla Scala. Dopo un riassunto del Gala 2022, una raffinata mise en place con introduttive immagini della Fracci firmate da maestri della fotografia come Erio Piccagliani, Lelli e Masotti, Andrea Tamoni, Mario Brescia, Rudy Amisano (video proiezioni di Balázs Delbó). Occasione propedeutica per illustrare i brani in programma, permettendo di ammirare nuovamente una delle più grandi ballerine del XX secolo in produzioni che fanno già parte della storia del balletto mondiale.

A dare il via alla serata Letizia Masini e Jacopo Tissi inLe Spectre de la rose nella coreografia di Michail Fokin. Su musiche di Carl Maria von Weber, ai tempi risultò innovativo per la cura dell’espressività e per gli insoliti ports de bras; ha posto in luce il virtuosismo del sentimento. È una danza fatta di trasparenze in cui le braccia, ben appunto, tralasciano la purezza dell’accademismo per trovare nuove traiettorie nello spazio, affrescando la scena con gestualità ornamentali, tratteggiando linee che ben colloquiano tra loro. Tissi ha restituito un’immagine traboccante di sincera trepidazione, dimostrando una viva luminosità, e un’elevazione ad ampio volo. La Masini ha consegnato alla platea sembianze sognanti e toccanti, ricche di passione nel cogliere figurazioni al di là del presente. Per Carla Fracci questo è il titolo che ha segnato il suo passo d’addio, un tempo usanza obbligatoria alla Scuola di Ballo della Scala, per i giovani allievi che avevano concluso il periodo di formazione e raggiunto il diploma. Era la vetrina in cui venivano esposti i gioielli forgiati in una delle più antiche scuole coreutiche, affinché il pubblico li ammirasse fin da subito sul palcoscenico del Piermarini. Il 3 marzo del 1955, nella stessa serata in cui Maria Callas interpretava la Sonnambula di Vincenzo Bellini con la regia di Luchino Visconti, la giovane Fracci ballava Lo spettro della rosa al fianco del futuro primo ballerino e coreografo Mario Pistoni. Da non dimenticare anche la sua interpretazione al fianco di Paolo Bortoluzzi, entrambi così trascendenti nei rispettivi ruoli.

A seguire un passo a due da Le Loup di Roland Petit (con la supervisione coreografica di Luigi Bonino) musica di Henry Dutilleux. Il lupo (Marco Agostino), con le sembianze di un giovane, riesce a far credere alla sua neo sposa (Martina Arduino) di essersi trasformato nell'animale. In effetti, lei si trova accanto un vero lupo, convinta che sia il marito trasformato da una zingara e da un saltimbanco presenti alla cerimonia nuziale. La sposa riuscirà, passo dopo passo, ad apprezzare le doti dell’animale fino all’estremo sacrificio di entrambi. Questo lavoro di Roland Petit fu presentato nel 1963 alla Scala con Amedeo Amodio (lo zingaro), Vera Colombo (la zingara), Roberto Fascilla (il giovane sposo), Carla Fracci (la giovane sposa) e lo stesso Roland Petit (il lupo). A partire dal 1975 il balletto è stato inserito anche nel repertorio dell’Opéra di Parigi, e proprio dall’istituzione francese ci è giunto al Gala Fracci nel suo allestimento. Le Loupoffre una variante tragica di La bella e la bestia, con tensione drammatica carica di mistero e meditazione filosofica sull’essenza dell’essere. La creazione di Petit non è altro che la contrapposizione tra l’universo del bene e quello del male. La coppia Arduino-Agostino ha trasmesso con convinzione l’ampia gamma dei sentimenti tratteggiati dal coreografo francese, lasciando libere le loro anime e valorizzando l’energia in una ottima esecuzione, che incarna senza titubanze lo sviluppo drammaturgico.


A seguire una entusiasmante interpretazione di Linda Giubelli e Nicola Del Freo per Le Papillon su coreografia di Pierre Lacotte da Maria Taglioni, l’unico balletto creato dalla leggendaria artista considerata la prima grande ballerina romantica, musica di Jacques Offenbach, supervisione di Manuel Legris): un Grand pas de deux dal gusto “agée”, inteso quale accezione più singolare per finezza e delicatezza, unendo gioiosamente balletto e musica. La coppia di interpreti ha disegnato un mondo di linee armoniose, di tecnica d’acciaio e d’intensità figurativa. La Giubelli si è distinta per le sue caratteristiche di leggerezza e di spiritualità, il suo gioco di gambe è una meraviglia di chiarezza con cui mostrare i talenti di piedi veloci e manierismi amabili. Mentre Del Freo ha donato un cameo non solo per la qualità della sua danza, ma anche per la rara visione offerta dalla tradizione del balletto francese, grazie alla ripresa di Pierre Lacotte che ha ritrovato filologicamente la purezza dello stile con un vocabolario ricchissimo e una miscela ancorata alla tradizione. Gli applausi generosi e convinti sono stati la dimostrazione che l’essenza storica deve essere sempre e comunque riproposta a futura memoria. Le Papillon inoltre ha tratteggiato l’artista Carla Fracci, così moderna e al contempo espressione tangibile dell’ideale di ballerina romantica.

Terzo pezzo in scaletta il passo a due dal secondo atto di La Dame aux camélias con Nicoletta Manni e Roberto Bolle, a ricordarci l’allestimento di Beppe Menegatti che aveva messo in scena per Carla Fracci e Gheorghe Iancu, su musica di Carl Maria von Weber, nella coreografia di Alberto Méndez, senza dimenticare inoltre il film di Mauro Bolognini La storia vera della signora dalle camelie interpretato da Isabelle Huppert, Gian Maria Volonté, Bruno Ganz, Fernando Rey, Fabrizio Bentivoglio e Carla Fracci nel ruolo dell’Attrice, sulla musica di Ennio Morricone. Per l’omaggio scaligero, la coreografia e la regia sono state quelle di John Neumeier, musica di Fryderyk Chopin con il maestro Takahiro Yoshikawa al pianoforte. Manni-Bolle hanno creato, attraverso la plasticità del movimento e il suo incessante fluire, un profondo quadro d’epoca con una varietà di sfumature che sviluppa teoricamente l’ossatura scenica dell’intera opera per riportarla alla sua primigenia intensità.


A chiusura del primo tempo, Verdi Suite, componimento con estratti dai ballabili del compositore di Busseto con Alice Mariani, Maria Celeste Losa, Claudio Coviello, Federico Fresi, Mattia Semperboni, Caterina Bianchi, Gabriele Corrado e il Corpo di Ballo su coreografia di Manuel Legris. Quest’ultimo ha trasposto lo stile della grandeur francese, in aggiunta a un ideale tributo alla tradizione scaligera e alla mai dimenticata interpretazione di Carla Fracci (alias Giuseppina Strepponi) nello sceneggiato televisivo Verdi diretto da Renato Castellani. La coreografia è una miscela effervescente di stile nella trasmissione da Maestro ad interprete. Esecutori irreprensibili per classe e portamento hanno posto particolare attenzione alla morbidezza delle linee, ma anche alla virtuosità tecnica, alla velocità di attuazione, senza tralasciare una eleganza mai scontata. Su tutti ha brillato il primo ballerino Claudio Coviello, sempre pronto a porsi in uno spirito di continua ricerca e perfezionamento, tratteggiando una coloritura esecutiva.

Nella ripresa, dopo l’intervallo, si è visto L’Après-midi d’un faune sulla coreografia di Amedeo Amodio (supervisione coreografica di Cristina Amodio e Alessandro Molin) con Agnese di Clemente e Domenico Di Cristo, musica di Claude Debussy. Una creazione perpetuamente moderna e libera, non plateale ma ricca di suggestiva teatralità che si rifà allo stile icastico di Nižinskij, interiorizzando la musica in forme che si rifanno alle leggi dell’armonia. I due impeccabili interpreti hanno donato una prestazione come sospesa da fili invisibili, secondo una filosofia coreutica intesa come disciplina che assume il fondamento di tutte le altre arti.Il balletto (nella versione di Nižinskij) fu interpretato anche da Gheorghe Iancu nel ruolo del Fauno e da Carla Fracci in quello della ninfa. Questo titolo leggendario ci ricorda inoltre un’altra interpretazione cinematografica della Fracci nel film Nijinsky (nel ruolo di Tamara Karsavina) per la regia di Herbert Ross. Quasi fosse un parallelo tra ieri ed oggi, un altro Omaggio a Carla Fracci andò in scena alla Scala nel 1985 ideato da Beppe Menegatti con numerosi artisti del gotha internazionale a fare da corona alla divina, tra cui Serge Lifar, Bianca Gallizia, Luciana Novaro, Rosella Hightower, Yvette Chauviré, Ghislaine Thesmar, Richard Cragun, Marcya Haidée, Fernando Bujones, Eva Evdokimova, Monique Loudière. In quell’occasione Carla Fracci e Gheorghe Iancu interpretarono L’Apres-midi d’un Faune con la partecipazione straordinaria di Valentina Cortese impegnata nella lettura di alcuni tra i più bei versi di Mallarmé per questo Fauno debussyano e nižinskijano, accompagnati al pianoforte da Elisabeth Cooper, con la coreografia realizzata da Lydia Sokolova e Milorad Miskovitch.

A seguire, Le Pavillon d’Armide, con la coreografia, scene e costumi di John Neumeier, su musica di Nikolaj Čerepnin. Applauditissimo Davide Dato, étoile presso il Wiener Staatsballett, al suo felice debutto sul palcoscenico della Scala. Nell’Olimpo dei fuoriclasse e dei danzatori che portano alto il nome dell’Italia nel mondo, Dato ha mostrato appieno il suo insito talento, meritando un posto ai massimi livelli quale artista tra i più dotati e carismatici del panorama internazionale, tale è la sua sicurezza, accompagnata da una qualità limpida della danza, in grado di padroneggiare le sfumature del ruolo con duttilità avvolgenti, segnalandosi inoltre per virtuosismo e autenticità interpretativa. Nella Danse siamoise - pezzo di rara bellezza - Dato è magnetico, seducente e intrepido, con la netta capacità di rendere eloquente la gestualità. La sua solida tecnica e le abilità artistiche sono risultate le vere rivelazioni del Gala Fracci. Le Pavillon è una coreografia di straziante e tormentosa contemplazione, uno struggente capolavoro in cui viene narrata la dissennatezza di Vaclav Nižinskij. Il titolo debuttò nel 1907 al Teatro Mariinsky di San Pietroburgo sulle coreografie di Michel Fokine e le scene di Aleksandr Benois, a sua volta geniale collaboratore della Scala nella prima metà del Novecento. Questo balletto fu portato da Sergej Diaghilev al Théâtre du Châtelet di Parigi nel 1909, per la stagione inaugurale dei Ballets Russes. Vaclav Nižinskij ne fu l’interprete per eccellenza. Durante i festeggiamenti del centenario dal debutto parigino, il direttore del Balletto di Amburgo Neumeier ne ha allestito questa personale rievocazione che sale dal cuore, lontana dal libretto originale, ma in grado di focalizzare la narrazione quale affascinante ossequio a “le dieu de la danse”.

Andando avanti con il nutrito programma, il direttore Legris ha scelto un estratto dal terzo atto del Lago dei cigni nella coreografia di Rudolf Nureyev da Petipa-Ivanov (indimenticabile l’interpretazione negli anni Settanta di Fracci-Nureyev), qui con Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko (nuovi testimonial della “Federazione Italiana per la Ricerca sull’Artrite” succedendo così a Carla Fracci, esemplare nel sensibilizzare l’opinione pubblica), Christian Fagetti, Francesca Podini, Gabriele Corrado, Alessandra Vassallo, Gioacchino Starace e il Corpo di Ballo impegnato nella danza spagnola e nella mazurka. La coppia protagonista (Manni-Andrijashenko) ha strappato ripetuti applausi a scena aperta unitamente a Rothbart (Christian Fagetti). Esibizione per tutti di luminosa chiarezza grazie all’abilità fondamentale in un tale capolavoro. La Manni ancora una volta ha mostrato la sua tecnica sicura, entusiasmando per i trentadue fouettés en tournant eseguiti con maestrìa, senza spostarsi di un centimetro (singolo-singolo-doppio fino alla fine). Andrijashenko ha mostrato innate doti di signorilità e portamento. I danzatori tutti, preparatissimi per competenza, hanno appassionato il pubblico con l’autentico caposaldo del grande repertorio accademico dai caratteri ben marcati.


Alessandra Ferri e Robello Bolle hanno presentato il passo a due (per la prima volta alla Scala) tratto da After the Rain con la coreografia di Christopher Wheeldon, musica di Arvo Pärt eseguita da Takahiro Yoshikawa al pianoforte e da Alfredo Persichilli al violoncello. Un pas de deux creato da Jock Soto e Wendy Whelan che il coreografo sintetizzò come “una lettera d’amore, una poesia per entrambi gli artisti”. Il pezzo possiede, al di là della singola tecnica, numerose angolature nella sua apparente semplicità ed è al contempo un inno all’amore. La coppia di étoile lo ha interpretato con naturalezza, senza mai “recitarlo” laconicamente, lasciando così venire a galla l’impulso del sentimento. Questa è senza ombra di dubbio la chiave di volta coreografica.

In chiusura di gala, il Pas classique hongrois dal terzo atto diRaymonda, su coreografia di Marius Petipa nella ricostruzione filologica e messa in scena di Sergej Vikharev, con la musica di Aleksandr Glazunov e la partecipazione di Takahiro Yoshikawa al pianoforte. Interpreti Martina Arduino, Navrin Turnbull, Gaia Andreanò e il Corpo di Ballo. La bellezza della musica, la concatenazione dei passi, la sognante narrazione, la costruzione articolata hanno fatto ritrovare allo spettatore i sentori di un’epoca ormai lontana, ma ancora vivida. Martina Arduino, assoluta protagonista di una creazione nata per la “prima ballerina” in senso lato, è abile ed esemplare dal punto di vista tecnico, con istintività unisce leggerezza e soavità espressiva. Dalle notazioni coreografiche archiviate ad Harvard, dai preziosi disegni originali custoditi al Museo e alla Biblioteca Teatrale di San Pietroburgo si è così messo il sigillo finale sul glorioso periodo dei “balletti imperiali”. Ottimo per tutti i danzatori il mantenimento delle posture con un articolato senso dello spazio e della percezione euritmica. Nel 1976fu realizzata una nuova versione per la regia di Beppe Menegatti con interpreti Carla Fraccie Burton Taylor.

Da segnalare l’insigne lavoro di squadra del coordinatore del Corpo di Ballo Marco Berrichillo, della Maître principale Laura Contardi, dei Maîtres Lara Montanaro e Massimo Murru (già étoile della Scala ed interprete diChéri in coppia con Carla Fracci nel 1996 a festeggiare i suoi sessant’anni di vita e i suoi cinquanta di danza sul palcoscenico del Piermarini), del primo ballerino scaligero e maître sulla produzione Antonino Sutera e del Professeur ospite Julio Bocca, étoile argentino di caratura internazionale, direttore di compagnia, coreografo e già ospite di spicco all’American Ballet Theatre che lo ha visto protagonista sui palcoscenici dei teatripiù importanti come il Bolshoi di Mosca, l’Opéra di Parigi, il Kirov di San Pietroburgo, la Zarzuela di Madrid, il Royal Ballet di Londra e la Scala di Milano, danzando con le prime ballerine più talentuose dell’epoca quali Natalia Makarova e ben appunto Carla Fracci.

Nei saluti finali, tra scroscianti applausi e acclamazioni, tutti gli interpreti hanno fatto da cornice a un vigoroso ritratto fotografico della musa ispiratrice, la ballerina che ha cambiato prospettiva all’idea della danza, sviluppando così la sua unicità. Grazie al Maestro Manuel Legris per aver confezionato l’imperdibile seconda edizione del Gala, impreziosita da nuovi invitati, stelle e volti sempre amati, e da una Compagnia “di meglio in meglio”. La tecnica si è inchinata all’arte più umana.


 

 

 
 
 

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