L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sogno ad occhi aperti

di Michele Olivieri

Dopo nove anni di assenza è tornata alla Scala la lettura di Rudolf Nureyev nel capolavoro di Čajkovskij. Il pubblico rapito dalla tragica storia d’amore ha tributato il meritato successo ai protagonisti ospiti e all’intero corpo di ballo, tra candidi cigni, virtuosismi, e una caratterizzazione di matrice psicoanalitica.

MILANO 26 settembre 2023 – Nureyev nella sua versione del Lago creata per l’Opéra di Parigi nel 1984, seguendo il tracciato tradizionale di Petipa e Ivanov, ha posto l’accento su una profonda rilettura psicoanalitica per infondere maggiore introspezione ai personaggi, con l’aggiunta di complesse legazioni per i ruoli di Siegfried e Wolfgang/Rothbart (questi ultimi insolitamente speculari). Pensando a sé stesso e alla sua storia, ha contrassegnato l’allestimento con il tema della ribellione. Ad apertura di sipario, nel prologo, Siegfried dorme sul trono. Le scenografie firmate da Ezio Frigerio, si discostano totalmente dall’ideale del celebre balletto, costruendo una maestosa struttura rettangolare che riporta alla mente una cornice con l’aggiunta di colonne e gradini e due fondali dipinti. Questa cornice sta a rappresentare l’insicurezza che il principe vive, e la ricerca di un sostegno a cui aggrapparsi per un qualcosa che gli sta scivolando via. Sradicato dal passato acquisisce controvoglia la consapevolezza dei doveri regali, in primis quelli del matrimonio.

Il principe Siegfried sogna ad occhi aperti il giorno prima del suo compleanno lasciando entrare nella mente la visione del lago incantato. Il soggetto del suo sogno è una bellissima principessa tormentata da un malefico volatile, che alla fine la rapisce, volando letteralmente via con lei. Il tutore del principe lo sveglia e gli rammenta che deve continuare con i preparativi per il compleanno, tra cui l’accoglienza degli ospiti che arrivano per il ballo. Anche sua madre, la regina (interpretata da Francesca Podini), gli ricorda che il giorno successivo dovrà scegliere una sposa tra diverse candidate. Siegfried, è uno di quei principi che desiderano un matrimonio d’amore, e si rivela fin da subito infastidito dalle regole prestabilite. Il tutore gli sovviene i suoi doveri a discapito dei sogni e proprio per questo Siegfried idealizza un altro da sé in reazione alle imposizioni. Da quel momento in poi è come se il principe rimanesse ammaliato dalla sua proiezione onirica. Ciò lo fa apparire distratto, disinteressato. E qui Jacopo Tissi è perfetto nel far risaltare questa apatia lasciando trasparire in lui una luce sbiadita, caratterizzata da anomalie emotive e comportamentali. A differenza del tutore (interpretato con vigore dal bravo Gabriele Corrado), il quale appare intenzionalmente più sicuro. Proprio sul tutore o precettore che dir si voglia, emergono i riferimenti alla non meglio definita sessualità di Siegfried. A conferma di ciò, Nureyev ha coreografato un pas des deux in cui i due ballano lasciando intravedere da parte del precettore un invito al principe di allontanarsi dalla principessa per convergere le attenzioni su di lui. Subito dopo il principe viene svegliato da alcune giovani e con esitanza si unisce ai festeggiamenti. Il prologo non è altro che una manifestazione delle emozioni represse del protagonista. Tutto ciò che accade dopo è semplicemente la realtà. Siegfried si manifesta piatto, relativamente privo di emozioni, forza un sorriso solo quando gli obblighi di corte lo costringono. Il suo personaggio è diviso e combattuto quanto lo sono stati il coreografo e il compositore nella loro esistenza terrena. Anche i momenti introspettivi da solista vengono eseguiti volutamente con mancanza di passione. Questo va tenuto in assoluta considerazione se si vuole comprendere al meglio la ieratica esibizione di Tissi, così come creata da Nureyev, e qui ripresa magnificamente dalla supervisione di Manuel Legris in collaborazione con Laura Contardi, Massimo Murru, Lara Montanaro e Antonino Sutera. Ad arricchire il quadro dei maestri nelle vesti di coach per i ruoli principali, un nome d’eccezione: Isabelle Guérin che nel 1985 venne nominata proprio da Rudolf Nureyevdanseuse étoile del balletto dell’Opéra di Parigi dopo una rappresentazione del Lago dei cigni nella versione di Vladimir Bourmeister. Il classico duetto Odile/Siegfried è sostituito da un pas de trois in cui il presenzialista Rothbart li controlla severamente entrambi. Questa rilettura è assai più complessa di quanto possa apparire a una prima e semplice visione. Mentre le celebrazioni del compleanno stanno per concludersi, le figure femminili scompaiono, e sono solo quelle maschili a danzare la “Polonaise”, fornendo un’esecuzione poderosa. Quindi, sebbene il Lago dei cigni di Nureyev non sia un balletto completamente al maschile, è sicuramente un Lago dei cigni con un punto di vista maschile e sulle relazioni maschili sovente represse.

Per quanto riguarda i solisti e la compagnia scaligera sono apparsi al meglio della forma, qua e là solo qualche piccolo errore di poco conto come certamente può accadere in una produzione così complessa. Effervescenti, hanno catalizzato costantemente l’attenzione del pubblico. A livello tecnico tutto appare appagante nella difficoltà esecutiva per un’opera elegante, a partire dai raffinatissimi costumi firmati da Franca Squarciapino. Gli atti bianchi evidenziano il corpo di ballo e la perfezione della sua scuola. Il finale è un capolavoro di estetica. La coreografia è ordinata, pulita, rigorosa, le diagonali appaiono nella loro lucentezza, i movimenti evocano l’agitarsi delle acque del lago, e gli intrecci delle ballerine rimandano alle palpitazioni del volo e alle dinamiche evoluzioni degli stormi. Il balletto si conclude con la straziante fine di un sogno che è l’emanazione stessa dell’anima di Siegfried. Un finale che ben si discosta dalla tradizione in quanto è palese il sentimento di commiato e rinuncia, lasciando i due protagonisti come giunchi in balìa delle onde. È un Lago affascinante, oscuro (anche nelle luci), ricco di contenuti ma che si discosta dall’innaturalità che lo ha reso tra i titoli più amati della storia della danza.

Applausi convinti sono giunti da un teatro gremito in ogni ordine di posto, per le variazioni in scena, per le sontuose strutture dell’atto bianco dominato dalle Willi, per l’adorabile passo a quattro dei cignetti (troppo spesso estrapolato dal suo naturale contesto) per gli struggenti pas de deux, per l’affiatata e ben calibrata coppia formata da Tissi-Smirnova (attualmente primi ballerini al Dutch National Ballet di Amsterdam, lui di fresca nomina, lei in carica dal 2022).Olga Smirnova è spontanea, possiede una padronanza tecnica capace di modellare al meglio l’arco narrativo. Non è una ballerina, bensì la danza. La sua linea eccelle, l’armonia cesellata dei virtuosismi coglie il sentimento poetico di Odette e quello malvagio di Odile. La sua Odette è una miscela magistrale di autorità, fragilità e vulnerabilità, di gravità lirica, immediatezza e coerenza stilistica. La Smirnova ha trasmesso lo spirito della nobile arte tersicorea, grazie all’atmosfera e alla metodologia della Scuola di balletto di San Pietroburgo che l’ha formata, ma al contempo con una modernità che mai si discosta dai più rigorosi canoni. E qui viene doveroso l’omaggio all’esimio Professore decano dell’Accademia Vaganova, Vadim Desnitsky, pedagogo russo tra i migliori al mondo venuto a mancare inaspettatamente il giorno prima di questa rappresentazione.

Sul podio il maestro Koen Kessels a dirigere l’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala: l’esecuzione è risultata corretta ma non altrettanto felice il rapporto con il palcoscenico, con alcuni scollamenti fra musica e coreografia.

In platea ad assistere alla nona rappresentazione due principi del balletto internazionale, l’étoile Roberto Bolle e il già primo ballerino Maurizio Vanadia, attuale vicedirettore della Scuola di Ballo della Scala.

Michele Olivieri


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