Tardivo amore
di Michele Olivieri
Il balletto Onegin è un allestimento sempreverde in cui appare preminente il valore del Corpo di Ballo della Scala e dei suoi maggiori interpreti, riproposto nel cinquantesimo della scomparsa del celeberrimo coreografo, maestro dell’estetica teatrale.
MILANO, 19 novembre 2023 - Tanto si è scritto, tanto si è detto, ma mai abbastanza per lodare il capolavoro di Cranko. Il suo Onegin è una perpetua poesia che contiene numerosi livelli di significato che a ogni alzata di sipario ne svela di nuovi. Al centro della storia c’è Onegin, che è un attraente giovane aristocratico russo viziato, il quale trascorre il proprio tempo frequentando balli, bevendo e flirtando con belle ragazze. Non ha ambizioni nella vita se non quella di soddisfare i propri piaceri. Quasi fosse una sorta di Dorian Gray che rinuncia a ogni cosa, anche all’anima, pur di ottenere ciò che desidera più al mondo: la mondanità, il vizio e la conquista senza trasporti sentimentali. Nel momento in cui suo zio muore e gli lascia una tenuta in campagna, Onegin decide che è stanco dello stile di vita fin qui condotto e si ritira. Si chiude in sé stesso e assume una visione cinica della società; il suo unico amico è un giovane poeta di nome Lensky.
La scelta creativa di Cranko elimina quest'antefatto che apre il romanzo da Puškin e, seguendo in sostanza la linea dell'opera di Čajkovskij, fa iniziare il balletto con le sorelle Ol’ga e Tat’jana intente a trascorrere gioiosamente il loro tempo quotidiano.
Cranko inserisce una gestualità ricca di dettagli e di intenzioni per sottolineare ogni personaggio, rivolgendosi abilmente alle emozioni del pubblico. Questa particolare traduzione in danza fa comprendere la profondità e l’intelligenza della storia e dei suoi temi sono senza tempo: l’orgoglio e l’egoismo, la crudeltà umana e quella del destino.
La compagnia della Scala non resiste alle sirene di Onegin, e ne è prova lampante questa ripresa (seppur con qualche dispersione immediatamente perdonata dall’incantevole trasporto) che è stata anche la felice occasione per nominare in palcoscenico – per la prima volta nella storia scaligera – Nicoletta Manni ad étoile del Teatro alla Scala per volere del direttore del corpo di ballo Manuel Legris e del sovrintendente Dominique Meyer, dinanzi al pubblico e alla compagnia nonché a Roberto Bolle suo partner nella prima delle quattro rappresentazioni di novembre 2023 da loro danzate.
Onegin reclama un’interpretazione suggestiva, ancor prima della pura tecnica accademica, richiedendo quattro ferrei ballerini principali e una compagnia preparata soprattutto sul piano esegetico che diventa la principale essenza di tutto il balletto (al di là dei bellissimi pas de deux e delle danze d’insieme che permettono di manifestare al meglio la simbiosi tra la musica di Čajkovskij nell’orchestrazione di Kurt-Heinz Stolze e la coreografia di Cranko). Vittoria Valerio, assume il ruolo principale. Mentre l’ensemble si esibisce ordinatamente (finezze femminili e brio maschile), lei dirige il dramma con il corpo, lo sguardo, l’impalpabilità dei cenni e una netta concentrazione. Audace e timida, estasiata e denigrata, infantile e matura, la Tat’jana della Valerio acquista forza passo dopo passo. L’Onegin di Marco Agostino palesa una eleganza glaciale e una superiorità snobistica come ben si confà al ruolo; il Lensky di Claudio Coviello brilla per impeto lirico; Gioacchino Starace nei panni del Principe Gremin mostra equilibrata duttilità; Agnese Di Clemente è una arguta Ol’ga.
Le scenografie estremamente funzionali disegnate da Pier Luigi Samaritani e i mirabili costumi firmati da quest’ultimo in tandem con Roberta Guidi Di Bagno continuano a esercitare il loro immutabile fascino, senza tralasciare le luci di Steen Bjarke a coronamento dell’allestimento. A dirigere l’Orchestra del Teatro alla Scala il maestro Simon Hewett assicura il coordinamento tra buca e palco.
Grande entusiasmo nel finale, ripetute chiamate alla ribalta per una coreografia di John Cranko (ripresa con la supervisione di Reid Anderson) che nella sua opera d’arte in tre atti non si è limitata a creare un affresco storico, ma bensì a dipingere un imperituro quadro di preziosa armonia.
Michele Olivieri