L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

In tempo reale tra musica e danza

di Michele Olivieri

A conclusione dell’incessante crescendo di Veneziaindanza il coreografo Mauro Astolfi traslittera con successo la lingua del corpo sul genio rivoluzionario di Vivaldi, ponendo in luce il talento e la capacità di reinventare, nella sua epoca, la musica barocca.

VENEZIA – Il Festival Veneziaindanza, giunto alla sua XV edizione, ha registrato tre serate da tutto esaurito, confermando la regola secondo la quale, se la proposta artistica e culturale è di spessore, il pubblico accorre numeroso. Tre proposte diverse tra loro, per stile, per scuola, per contenuti, ma accomunate dall’interesse di conoscere nuovi linguaggi, in questo caso creati sull’arte del movimento. La prestigiosa rassegna ideata dalla Compagnia Točnadanza - nelle persone della direttrice artistica Michela Barasciutti e del direttore organizzativo Stefano Costantini, in collaborazione con il Teatro La Fenice - ha invitato i differenti dizionari di cui il nostro presente si nutre nel campo tersicoreo. L’offerta al Teatro Malibran durante la serata conclusiva (dopo Giselle e altre storie... che ha aperto la kermesse e la felice ripresa di Io Maria, Lei Callas) ha optato per Vivaldiana con la Spellbound Contemporary Ballet sulle coreografie firmate da Mauro Astolfi.

Mai come in questo balletto la musica e la danza rivelano espressioni di somiglianza che le tengono unite. Interagiscono e si incontrano. Il movimento in rapporto al suono non sempre trova coincidenze. Due grandi maestri, come Merce Cunningham e John Cage hanno teorizzato l’assoluta autonomia di danza e musica, concetto già espresso in precedenza dall’accademico Serge Lifar che in uno dei suoi numerosi libri sosteneva la necessità di “liberare la danza dal giogo della musica, ossia da un rapporto di dipendenza”. Per lui fu un atto perentorio che non ammetteva replica o discussione. Lifar presto si allontanò da quella musica che strizzava l’occhio unicamente alle proprie norme e regole obbligando i danzatori a ballare variazioni lunghe o con tempi complicati. Rifuggiva ciò che tarpava la spontaneità e l’efficacia a causa dell’insistenza su motivi arzigogolati. Decretò l’autonomia - e in taluni casi la secessione - della danza capovolgendo i rituali cicli di espansione coreutica. La musica, non dovendo condizionare il ballo sull’espressività e nemmeno sull’andatura del passo, bisognava scriverla solamente a coreografia terminata lasciando così libero il creatore danzante. Esempio emblematico è stato il balletto Icare, in cui Lifar realizzò la coreografia prima di scegliere la musica, imponendo addirittura la conformazione ritmica affinché musica e danza fossero alla pari nella medesima essenza.

In Vivaldiana Astolfi (con assistente Alessandra Chirulli) si è lasciato ispirare dal compositore veneziano, adattando ciò che ha preso in prestito dalla storia, rendendo quasi impensabile che la musica di Vivaldi non sia stata scritta per questa coreografia e per i nove complici danzatori (cinque ballerine e quattro ballerini con i costumi di Mélanie Planchard e il disegno luci di Marco Policastro), per una creazione in cui si prediligono le forme pure e simultanee dell’oggi.

Cinquanta minuti appassionati scorrono con frequenti alternanze di tempi e con marcati cambiamenti di registro riccamente ornati da poetiche sospensioni. Astolfi da tempo decostruisce il lessico della danza, trasformandolo in un personale linguaggio coreografico che dà vita a un'equivalente visione dei suoni. In Vivaldiana usa la musica e la danza come entità autosufficienti che trovano un punto d’accordo: le dinamiche e la lunghezza coincidono, ma né la danza né la musica sono un’illustrazione dell’altra. Si completano a vicenda, lasciando l’interpretazione emotiva allo spettatore. I passi, gli intrecci, le sospensioni, i virgulti sono ricchi di elementi melodici che vengono dispiegati in modo non tradizionale. Le gestualità sono riconoscibili. La danza in senso lato è contraddistinta da forti contrasti. In ogni sequenza e in ogni modulo c’è un procedimento differente che ritrova sempre la via. L’influsso della musica di Vivaldi trova la connessione tra platea e palcoscenico. L’ascolto, come la visione del movimento, è personale, tanto da rendere impossibile l’esecuzione di due movimenti identici. Ciò perché i corpi sono differenti e hanno differenti modi di percepire e interpretare la musica. Dal mio punto di vista Vivaldiana si lega al Sacro come un lavoro evocativo di ricerca e consapevolezza, abitando al meglio il corpo per favorire una reale convivenza tra musica e danza.

Durante i generosi applausi finali il coreografo ha giocato con il “teatro nel teatro” mescolando la finzione scenica così da strappare un sorriso e spezzare la quarta parete tra danzatori e pubblico.

Michele Olivieri


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