Fedeli a sé stessi
di Michele Olivieri
Corpi agili e atletici affrescati dalle tonalità fantasiose dei colori scenici, si allungano, si dilatano, si impennano e si contorcono sotto tessuti fluttuanti e immaginifiche illusioni in un “meglio di” lungo più di quarant'anni.
MILANO – Back to Momix è il manuale più rappresentativo della compagnia teatrale di ballerini-acrobati, creata e diretta dall’americano Moses Pendleton, che accompagna gli spettatori di tutto il mondo da oltre quarant'anni. I Momix partono nel 1980 dagli Stati Uniti, ma presto sono applauditi in Canada, Spagna, Italia, Grecia, Francia, Inghilterra, Austria, Svizzera, Irlanda, Olanda, Portogallo, Argentina, Brasile, Russia, Australia e in tutto l’Oriente. A livello storico ho da sempre accostato i Momix alla danzatrice Loïe Fuller (autodefinatasi “madre della danza naturale”) che con fervida suggestione illusoria sulle arti del Novecento volteggiava nella luce come fosse una farfalla, un calice di fiori o delle nuvole iridescenti, nelle lunghe pieghe dei suoi strabilianti costumi di scena. La Fuller rivoluzionò la danza rafforzando il movimento del corpo con ampi tessuti colorati, bagliori e suoni che glorificavano la dinamicità e il gesto. Le sue coreografie a forte impatto visivo ed estetico mutarono il modo di danzare ma soprattutto diedero inedito impulso alla scenografia, alla costumistica e alla “mise en place”. I Momix sono idealmente i suoi continuatori “moderni” che possiedono come lei la grazia di trasfigurare la realtà giocando ad un’infinita creazione, traslitterando la bellezza e l’energia del miraggio. Nella tournée italiana, che ha toccato il Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano con numerose rappresentazioni ad alta affluenza di pubblico, lo spettacolo ha presentato gli estratti dei classici che hanno segnato la loro storia dimostrando immarcescibile freschezza e immutata vitalità. Lo show ha attinto dagli storici MomixClassics, Passion, Baseball, Opus Cactus, SunFlower Moon, Bothanica e Alchemy tra leggerezza, gravità, illusione, trasformismo. Precursori del pensiero ecologista pongono attraverso Moses Pendleton la natura al centro della loro filosofia, catturandone l’essenza e instaurandone un dialogo adatto a tutte le età. I nove validi danzatori - cinque artiste e quattro artisti - fondendo arte circense contemporanea, danza, teatro e musica coinvolgono i sensi. E lo fanno con spensieratezza e ironia, dimostrando che il corpo non possiede solo i canonici cinque sensi, ma molti di più come affermava Rudolf Steiner per il quale dovrebbero essere dodici: tatto, senso della vita, senso del movimento, senso dell’equilibrio, olfatto, gusto, vista, senso del calore, udito, senso del linguaggio, senso del pensiero e senso dell’Io. Ciò lo si percepisce immergendosi nelle esibizioni e nelle forme dove è facile lasciarsi trascinare dal piacere fisico dello slancio, della forza, della versatilità e della consapevolezza di regalare illusioni astratte (mai inespressive). A livello tecnico mostrano competenza e tenuta sorprendente, braccia e gambe d’acciaio, con una qualità ipnotica e una scultura corporea. Come del resto le coreografie non sembrano mai superate dal tempo. Per i Momix la “natura” emerge e si sviluppa: nasce, cresce, diventa un principio dinamico da portare sul palco grazie ad una formazione coreutica nel balletto accademico e nella danza moderna, passando per la ginnastica, l’atletica e l’acrobatica. Il lato debole in Back to Momix lo si ritrova solamente nella slegatura tra le diciotto coreografie tratte dal loro repertorio che a volte rischiano di apparire didascaliche. Il lato forte è invece quello di rivedere o ammirare per la prima volta alcune delle creazioni più innovative che hanno fatto la loro storia. L’approccio alla visione è la chiave di volta: essere consapevoli di assistere ad un “meglio di” quale celebrazione della Compagnia. Infatti Moses Pendleton (con la co-direzione artistica di Cynthia Quinn) ha saputo negli anni riscrivere il linguaggio della danza, sperimentando tecniche ed effetti scenici, diffondendo la propria cifra stilistica nel mondo.
Tra i migliori pezzi visti al Teatro Lirico è d’obbligo menzionare quello di apertura Solar Flares; il poetico Paper trails dove la carta è messa in primo piano con efficace inventiva; il suadente Baths of Caracalla; il magnifico Marigolds che utilizza costumi in stile Cirque du Soleil con enormi sbuffi di volant arancioni e rossi da dove sbuca un braccio, un viso, delle gambe, e danzando si trasformano in morbidi tutù in omaggio alla disciplina classica, per poi modificarsi in costumi da flamenco; Aqua Flora che mediante una serie di giri vertiginosi permette al sopracostume di volare in un vortice irrefrenabile che ricorda l’arte dei dervisci rotanti; l’intramontabile Table talk che è la storia di un uomo e del suo bizzarro rapporto con il tavolo, mentre ci danza sopra, sotto e intorno, nel finale viene inghiottito mentre diventa tutt’uno; il recente Red Dogs, con i cani gonfiabili, tratti dai Ballons Dogs di Jeff Koons (artista statunitense considerato l’erede di Andy Warhol) che fonde la cultura pop con i temi che plasmano la contemporaneità in un elogio all’infanzia, ai colori e alla spensieratezza. E in chiusura il giocoso If You Need Some Body sul Concerto brandeburghese n.2 in Fa maggiore BMW 1047 Johann Sebastian Bach che ha salutato il festante pubblico milanese per proseguire il tour italiano con le sue atmosfere “new age” dove la meditazione si fa correlazione tra universo intimo e potenza collettiva.