Donne come diamanti
di Irina Sorokina
Il balletto di Julien Lestel fa rivivere le eroine pucciniane in uno spettacolo emozionante in cui brillano le prove degli interpreti.
MODENA, 5 aprile 2018- Se pensassimo ai compositori che ebbero il dono di penetrare nei misteri dell’animo femminile, il Grand Prix verrebbe assegnato a Giacomo Puccini. Manon Lescaut, Mimì e Musetta, Tosca e Madama Butterfly, Minnie e Magda, Suor Angelica e la Zia Principessa, Giorgetta e Frugola e, alla fine, Turandot e Liù! Una galleria ricca e affascinante di ritratti femminili che risultano incredibilmente veritieri e convincenti e, come preziosi diamanti, mostrano sempre nuove sfaccettature a chi li sta ammirando. Incostanza e dolcezza, capriccio e fragilità, gelosia e freddezza, impulsività e spensieratezza, crudeltà e spirito di sacrificio celati nelle eroine pucciniane attirano inevitabilmente i soprani.
Il discorso è chiaro quando si tratta di soprani, ma cosa c’entrano le ballerine? C’entrano, c’entrano, lo ha voluto Julien Lestel, un talentuoso danzatore da una carriera iniziata all’Opéra di Parigi e continuata a Zurigo e Marsiglia, dove attualmente è il direttore artistico del proprio ensemble. Da tanti anni meditava un balletto dedicato alle eroine pucciniane e ha realizzato il suo sogno nel 2014. Ora la sua creatura è approdata al Teatro Comunale di Modena, protagonista l’étoile dell’Opéra di Parigi Eleonora Abbagnato. Il palcoscenico del Teatro Pavarotti risulta ben adatto a un progetto coreografico snello, con la partecipazione di pochi danzatori e quasi spoglio dal punto di vista scenografico.
È un compito arduo, creare un balletto sui brani più famosi del compositore toscano. Queste arie entrarono nell’immaginario collettivo, nella leggenda, e a volte l’orecchio porta l’ascoltatore da una parte, mentre l’occhio lo costringe a dirigersi da un’altra.
La creazione di Lestel appare asciutta, ma non per questo priva di passione, anzi: la passione prevale. Il balletto è strutturato per diciannove danzatori, compresa l’étoile, giovani appassionati e versatili. Comprende undici scene, le prime tre votate a fare entrare lo spettatore nel mondo pucciniano. La prima e la seconda si intitolano Puccini (Uomini anime), la terza Puccini eroine (anime). Il pezzo musicale d’apertura è una romanza intitolata A te che appartiene agli anni della formazione lucchese. I versi anonimi recitano: “Oh! Quanto t’amo e quanto/ in me forte è desio/ di stringerti al cor mio,/ di farti palpitar”. All’apertura del sipario, otto giovani uomini in bianco e nero, messi al centro di quadrati grigi creati dalle luci, si muovono in perfetta sintonia, esprimendo desiderio, speranza, angoscia. Le donne entrano in una competizione - volontaria o meno - con loro e dominano per la loro passionalità e lo spirito di sacrificio. Seguono otto scene ispirate da brani celebri di Madama Butterfly, Manon Lescaut, La rondine, Turandot, Gianni Schicchi, La bohème, Suor Angelica, alla fine, Tosca. Nel programma i personaggi pucciniani a volte sono indicati, a volte no.
Per la scena ispirata a Madama Butterfly Lestel sceglie due pagine celeberrime dell’opera, il coro a bocca chiusa e "Un bel dì vedremo"; la prima parte della coreografia, con la partecipazione delle fanciulle in calzamaglia chiara e dai capelli sciolti, con l’uso del fondale chiaro, accenna ad un’atmosfera quasi incantata, in attesa di qualcuno. E qualcuno arriva; sono i protagonisti della storia della povera farfalla e del suo marito temporaneo. Lui la veste (o copre, forse) con un abito geometrico, corto, traslucido. Sulle note del monologo pucciniano più famoso, Julie Asi/Butterfly con le sua braccia che somigliano alle ali spezzate di un volatile, con le cadute quasi violente del busto esprime tutto il suo amore incondizionato, la speranza incrollabile, il presentimento fatale, mentre Marco Vesprini/ Pinkerton rimane fermo immobile, girato di schiena. Nel finale aiuta la fanciulla alzarzi, in piena indifferenza. Un’autentica espressione dell’eterno antagonismo donna-uomo.
La scena ispirata da Manon Lescaut, sulla musica del famoso Intermezzo e dell’ultima aria "Sola, perduta, abbandonata", risulta una delle migliori del balletto. È un pas de quatre per una ballerina e tre ballerini, Manon e La Morte, che, attraverso i movimenti semplici e saggiamente dosati, riesce a raccontare non una storia, ma una condizione femminile. Manon, una strepitosa Mara Whitington, vestita in un abito fluente dalle sfumature panna-nero, è una bambola di pezza, passata tra le mani di tanti proprietari e ormai vicina all’essere buttata via. Sta compiendo il suo ultimo viaggio, la Morte (Marco Vesprini, Ivan Julliard, Gaёl Alamargot) gioca con lei, la issa, la pone sul pavimento. Alla fine sparisce, lasciandola da sola. Sola, perduta, abbandonata. Ne viene fuori un pas de quatre veramente toccante.
Nella scena La rondine, sulle note dell’affascinante aria di Magda "Chi il bel sogno di Doretta", una fanciulla scalza in camicia lunga (Zélie Jourdan) balla con la grazia sublime su un tappeto lungo steso da due uomini, che somiglia a uno specchio dalle sfumature lillà. Gli uomini sembrano ammirarla, uno (Gaёl Alamargot) la solleva, la gira, la loro danza crea la sensazione di un’estrema libertà, ma con un pizzico di amarezza.
La scena ispirata a Turandot è creata per due danzatori maschi, Marco Vesprini e Ivan Julliard che ballano sulle note di "Nessun dorma", trasmettendo la passione bruciante e la fede incrollabile nel trionfo dell’amore.
Torna la bravissima Julie Asi con l’assolo di Lauretta "O mio babbino caro" da Gianni Schicchi. Sembra la stessa fanciulla della Rondine e veste la stessa camicia lunga, ma non è lei. È una ragazza non proprio sensuale, la sua fiducia nella vita e il presentimento della felicità vengono espressi nel movimenti semplici che seguono la melodia ingenua dell’aria pucciniana.
La scena ispirata dalla Bohème sulle arie celeberrime del tenore e del soprano è un pas de deux di Mimì e Rodolfo, un pezzo tra i più riusciti del balletto. Nel suo assolo Mimì/Giorgia Calenda in abito scuro, con una gonna dalla lunghezza irregolare che cade con morbide pieghe lungo le gambe, sembra esprimere lo strepito giovanile, correre timidamente verso l’amore ignoto, che prende le sembianze di Rodolfo/Michele Satriano proprio sul suo “Sì”. Nel loro appassionato duetto i momenti di inseguimento si alternano con sequenze parallele, l’amore fanciullesco sboccia in tutta la sua bellezza. L’amore dura poco. L’amore vince.
Anche la scena ispirata a Suor Angelica è una perla della creazione di Lestel, evoca perfettamente le atmosfere mistiche della seconda parte del Trittico pucciniano, la meno popolare, ma capace di destare delle forti emozioni. Il corpo di ballo femminile, avvolto negli abiti lunghi color panna, appare sottile, delicato, tra le ragazze si trova qualche “infiltrato”, qualche giovane uomo vestito dello stesso colore, in pantaloni stretti. Sarà un sogno proibito femminile? Eleonora Abbagnato/Angelica, distinta dalle consorelle soltanto dal corpetto con la croce, balla sulle note del monologo struggente "Senza mamma" con una grande carica, con un’angoscia inesprimibile, cullando tra le braccia, che somigliano ai rami di betulla, un bimbo immaginario. Vuole staccarsi dalla terra, simile a un uccellino ferito. Due uomini la prendono in braccio, percorrono la diagonale, e lei crolla sul proscenio al culmine della musica.
Solo con un omaggio a Tosca poteva concludersi la creazione di Lestel. L’opera “romana” occupa un posto particolare nella lista dei capolavori pucciniani. Tutte le cantanti celebri prima o poi affrontano questo mitico e magico ruolo. Il compito artistico è davvero difficile se non arduo. Una brava cantante deve essere anche una bravissima attrice. Deve sapersi calare nei panni di una donna dotata di temperamento vulcanico, impulsiva e gelosa, un’amante passionale e una credente devota e, la cosa più importante, una cantante e un’attrice. Una diva, in poche parole. Una diva anche quando non calca le scene. Il personaggio di Tosca è quasi sempre presente sul palcoscenico e decisamente domina l’azione.
La scena si apre con l’assolo di Scarpia/Sebastian Melo Taveira, che nulla ha a che fare con il capo della polizia romana a cui siamo abituati. Un uomo giovane, vestito di nero, col codino, è sensuale crudele, esegue dei salti selvaggi, si butta spesso sul pavimento, come fosse in un parossismo. Segue il Te Deum, gli uomini e le donne, sempre in nero, assistono alla messa, l’odore dell’incenso riempie il palcoscenico.
Ed ecco a noi una grande étoile, Eleonora Abagnato, che si cimenta nel mitico ruolo. È una ballerina, non una cantante e, grazie a questo, come anche alla sua forte personalità, crea una Tosca diversa, liberata da tutto che è superfluo e lussuoso. Non una diva, protetta dalla regina, che veste gli abiti sontuosi e i diademi, che si muove sostenendo lo strascico di un vestito ricamato d’oro, ma semplicemente una donna, spogliata da tutto, tranne un lungo vestito rosso aderente, con i piedi nudi ed i capelli sciolti. Una donna che pone l’amore sopra di tutto e, forse, ha un presentimento della morte vicina. Assorta nell’implorare il suo carnefice, sulle note di "Vissi d’arte", Tosca/Eleonora parla, parla davvero, tramite i movimenti delle braccia lunghe e magre, sempre simili ai rami di una betulla, tramite i salti in parallelo, i giri vertiginosi, le sospensioni, la gesticolazione espressiva. Alla sua preghiera Scarpia/ Taveira rimane immobile e girato di schiena, uguale a Pinkerton della scena di Butterfly. Dopo il disperato assolo di Cavaradossi/Claudio Cocino, Tosca assiste all’uccisione dell’amato senza i fucili, attraverso i meccanici movimenti dei ragazzi del corpo di ballo, vestiti di nero, rimane con lui, steso sul pavimento nella posa del Cristo crocefisso. La piattaforma del Castel Sant’Angelo non serve: una convulsione, un grido finale delle braccia e crolla, morta.
La scena finale è decisamente tra le migliori dell’intero balletto, capace di far provare lo spettatore delle emozioni molto forti, se non una catarsi. Il merito va a Eleonora Abbagnato, Sebastian Melo Taveira , Claudio Cocino e al corpo di ballo maschile.
Il successo meritato del balletto va soprattutto agli artisti, mentre le coreografie di Julien Lestel si presentano piuttosto monotone. Il coreografo francese pretende dai corpi la massima flessibilità, soprattutto del busto, ama i piedi nudi, in parallelo, usa spesso i salti ritmati in plié alla seconde, i port de bras circolari, i giri in attitude col piede flesso, le cadute. In breve, il linguaggio ben conosciuto della danza contemporanea. È più efficace come regista, Lestel, e il suo Puccini, che si avvale della collaborazione di Patrick Murru per i costumi e Lo-Ammy Vaimatapako per le luci, è uno spettacolo decisamente gradevole che molto spesso regala le scene efficaci pur create con pochi mezzi.
Un successo pieno, tanti applausi e chiamate al sipario aperto.