Effetto a catena
di Roberta Pedrotti
G. Benjamin
Lessons in Love and Violence
Hannigan, Degout, Orendt, Hoare, Boden, Barrington-Cook
direttore George Benjamin
regista Katie Mitchell
registrazione effettuata a Londa, Royal Opera House, Covent Garden nel maggio 2018
DVD Opus Arte OA 1221 D, 2019
DVD, Benjamin, Written on Skin
Si sa, tranne in rarissimi casi, i sovrani non si sposano per amore, ma per questioni dinastiche e politiche; pressoché inevitabile, allora, che intrattengano relazioni extraconiugali più o meno stabili e durature, più o meno problematiche. Per esempio, Edoardo II Plantageneto ebbe la sfortuna di innamorarsi di uomini (il più celebre dei quali fu lord Gaveston) dalle ambizioni ingombranti, specie di fronte a una consorte determinata e volitiva come Isabella di Francia e una nobiltà non meno agguerrita. E se la realtà storica fu più complessa, il conflitto fra Edoardo, Isabella, Gaveston e Lord Mortimer, primo avversario di Gaveston e amante della regina, così come Marlowe lo condensò nella sua tragedia, viene individuato come soggetto ideale per la nuova opera di George Benjamin e Martin Crimp, commissionata dalla Royal Opera House dopo il successo di Written on Skin.
Ecco, dunque, la storia di un precario equilibrio familiare: un re che nutre per la sua regina e i suoi figli un affetto sincero, è un marito e un padre tenero e premuroso, ma ama d'amore profondo e appassionato il suo favorito Gaveston. Questo rapporto, e i vantaggi che l'amante del re spudoratamente sembra ricavarne, suscita l'indignazione del consigliere Mortimer, che sostiene le ragioni concrete della razionalità rispetto a quelle imperscrutabili del cuore. Mortimer innesca il meccanismo che sconvolge per sempre l'equilibrio della famiglia reale dando vita a una spirale di violenza che non risparmia nessuno: la regina, moglie insoddisfatta, ha la sua vendetta sul rivale, massacrato in un agguato, e diviene l'amante di Mortimer, mentre il re, persi l'amore e la famiglia, scivola nell'alienazione mentale. Gli affetti sono corrotti dal potere, il desiderio d'amore germoglia fragile e viene soffocato dalla violenza. Assistono, infatti, al precipitare della situazione, i due figli del re. Una ragazzina, presenza muta e intensissima (davvero notevole la prova di Ocean Barrington-Cook: conviene appuntarsi il nome di questa giovane attrice), teneramente affezionata al padre, e un giovanotto (il tenore Samuel Boden: interessante nuova leva per la scuola britannica) attonito di fronte alla logica spietata e disumana impostagli da Mortimer. L'opera, si può dire, si svolge sotto gli occhi e attraverso il punto di vista dei due fratelli, che si stringono solidali di fronte all'orrore che li circonda, ma alla fine assorbiranno le lezioni che gli adulti e le esperienze impartiscono loro. Così, morto il Re, il giovane erede incoronato dagli amanti Isabel e Mortimer, convinti di disporne come un burattino, esibirà come in uno spettacolo di fronte agli occhi della madre la tortura e l'esecuzione (per mano della sorella) del machiavellico Mortimer. La lezione è appresa e messa in pratica.
Il libretto di Crimp attraversa temi cari al teatro elisabettiano (se la fonte è Marlowe, echi di Macbeth o Re Lear pure non mancano) come alla letteratura operistica britannica (difficile pensare a un compositore inglese che metta in scena senza pensare a Britten l'innocenza perduta di due ragazzini in un mondo perverso), ma soprattutto con Benjamin riesce a sfuggire ogni schematismo. Ne è un esempio il trattamento del rapporto fra il Re e Gaveston: nei loro duetti (compreso quello con lo Straniero, spettro dell'amante defunto che accompagna la morte del sovrano) sarebbe stato fin troppo facile fare del favorito un mefistofelico seduttore pronto ad approfittare del fascino che esercita sul Re. Invece le due voci baritonali si fondono in una tenerezza autentica e quel senso di dipendenza che pure il re rivela nei confronti del favorito non sfocia mai nel fastidio di una manipolazione, bensì in un rapporto complesso, sfaccettato, ambiguo, sì, ma sincero. Ed è sincera anche Isabel, innamorata del marito, protettiva con i figli, ostinata nell'aggrapparsi all'apparenza, e poi devastata dalle sue stesse azioni, trasformata suo malgrado in una femme fatale dall'anima devastata. Mortimer stesso segue una sua logica, quella proclamata all'inizio dell'utilità politica al di là di ogni remora morale e sentimentale (gli inglesi del XVI secolo avevano eletto Machiavelli a emblema demoniaco, tanto da guadagnare al diavolo stesso il nomignolo di Nick da Nicolò), e da ministro paladino di giustizia contro gli abusi di potere di Gaveston si trasforma in un mostro tirannico. La dimensione pubblica che pure si esprime nella presenza di uomini e donne del popolo testimoni della loro condizione, cede il passo al dramma psicologico tessuto anche musicalmente con passo incalzane, implacabile, concretissima sottigliezza nel dar corpo sonoro alla fragile apparenza che via via si sgretola, a personaggi che si dibattono fra bene e male affondando sempre più nelle sabbie mobili della mente. Nella spirale verso l'abisso Benjamin intreccia, come a imprimere moto al meccanismo, la dolcezza degli affetti e della passione con la violenza gelida e tagliente della violenza, anche quella dell'eros senz'anima, mero strumento di rivalsa, di Isabella e Mortimer. Eppure è un bisturi acuminato che non ha mai bisogno di forzare effetti: così l'opera scorre come un thriller verso il fulmineo finale.
Ancora una volta Benjamin sul podio collabora, insieme con Crimp, con la regista Katie Mitchell, mentre la ripresa video è curata nuovamente da Margaret Williams. Tutto è curato nel dettaglio, tutto un gioco di sguardi e piccoli gesti, un dramma psicologico sofisticato e terribile, delicato, quando occorre, o realistico. L'orchestra della Royal Opera House è una macchina perfettamente oliata. Il cast è ancora una volta impeccabile, a partire dalla musa Barbara Hannigan, splendida cantante e musicista che offre un'interpretazione da Oscar della regina Isabel, donna bella ma sfiorita in un matrimonio di facciata e travolta da una catena di eventi cui non può più sottrarsi. Stephane Degout è un Re superlativo per la nobiltà del canto e l'umanità dell'interpretazione, davvero toccante nei momenti introspettivi e nei duetti con il Gavston di Gyula Orendt, inafferrabile e intrigante, perfetto nell'equilibrio della relazione amorosa in cui è dominante ma non del tutto insensibile. Gelido e inesorabile è, viceversa il Mortimer di Peter Hoare. Se della prova eccellente dei due figli del re si è già detto, non resta che lodare tutti gli interpreti delle parti minori.
Questo cofanetto dedicato a George Benjamin conferma che l'opera contemporanea è più viva che mai: sa raccontare storie di esseri umani che parlano a noi esseri umani del XXI secolo, ha gli artisti giusti per dar forma a drammaturgie musicali fra nota e parola, per metterle in scena e interpretarle nel migliore dei modi. Non c'è la cabaletta, ma importa davvero così tanto?