Meta4 e il segreto del Quartetto
di Alberto Spano
Debutta, quasi a sorpresa, a Bologna per Musica Insieme il Meta4, quartetto d'archi finlandese che tiene fede al suo nome con una personalità spiccatissima che va ben oltre la semplice unione di quattro strumentisti.
BOLOGNA, 11 gennaio 2016 – La scelta del nome di un quartetto d'archi non è problema di poco conto. Un nome molto azzeccato può aiutare la carriera, e in alcuni casi può determinarne l'indole e la fortuna. Quattordici anni fa quattro eccellenti strumentisti finlandesi, accomunati da un entusiasmo straboccante nel far musica, decisero di fare quartetto e si chiamarono con felice intuizione “Meta4 Quartet”. Il prefisso greco mèta indica qualcosa che va al di là, come in 'metafisica', 'metacultura', 'metaletteratura'. Meta4 è dunque il felicissimo nome che si sono dati, quasi a voler indicare una visione musicale 'altra', un qualcosa, un elemento che vada al di là del quattro, delle quattro identità. In poche parole: il segreto del quartetto d'archi. Con questo geniale appellativo i quattro hanno bruciato le tappe: si sono affidati alle cure di Hatto Bayerle, la viola del Quartetto Alban Berg e di Johannes Meissl dell'Artis Quartet di Vienna, nel 2004 hanno vinto il Concorso Shostakovich di Mosca, nel 2007 il Concorso Haydn di Vienna, nel 2008 il BBC New Generation di Londra. Tre importanti medaglie con le quali si sono imposti nelle maggiori sale di concerto del mondo. Non avevano tuttavia ancora toccato la piazza bolognese, conquistata per caso l'11 gennaio scorso per il sesto appuntamento della stagione di Musica Insieme al Teatro Manzoni, in sostituzione di un concerto del Duo Labèque. I numerosi vuoti in sala denunciavano la poca fiducia del pubblico in una formazione del tutto sconosciuta, ma i fortunati presenti sono stati premiati da un concerto eccezionale, che ha gettato una luce di gioia e di vitalità nella pratica della musica da camera come non si udiva da tempo in città. Sì, perché i quattro componenti del Meta4 Quartet, Antti Tikkanen e Minna Pensola al violino, Atte Kipeläinen alla viola e Tomas Djupsjöbacka al violoncello, tutti sotto i quarant'anni, oltre ad essere singolarmente formidabili virtuosi del proprio strumento, accomunati da un esemplare livello tecnico e musicale, stanno a nostro avviso realizzando pienamente il disegno segreto che si cela dietro il loro bellissimo nome: il raggiungimento di un'unità interpretativa, di un modello di stile, di un suono che li pone senz'altro fra i migliori quartetti internazionali ascoltati negli ultimi tempi.
Alcune cose balzano subito all'occhio: suonano in piedi (tranne ovviamente il violoncellista) e si dispongono con i due violini uno di fronte all'altro, il violoncello a sinistra in mezzo e la viola al centro a destra. Strana formazione, che altera un po' la classica idea del quartetto d'archi in cui la disposizione rispecchia la gerarchia della scrittura sul pentagramma, cioè violino I, violino II, viola e violoncello disposti da sinistra a destra. Alterando le posizioni, cambiano, anche se di poco, i rapporti sonori fra gli strumenti, e si stravolge la geografia uditivo-visiva dell'ascoltatore. Sembrano questioni di lana caprina, ma disposizioni diverse producono colori e impasti diversi. Il fatto di suonare in piedi poi, alla moda delle formazioni barocche, ridistribuisce diversamente i pesi e i contrappesi, scioglie le energie, consente maggiori libertà al proprio corpo, libero di muoversi nell'atto del suonare. Proprio in virtù di questi fattori, il Meta4 Quartet colpisce fin da subito per un approccio allo spartito molto disinibito, quasi “pop”, con gesti ampi, suoni fissi e quasi privi di vibrato, molti slanci, accensioni e accentuazioni che infiammano come un cerino controvento. Inebriante e dalla irrefrenabile musicalità è così parso il brano Play III scritto cinque anni fa dal quarantunenne compositore finlandese Jaakko Kuusisto, un Sollima nordico dal fiuto musicale certo, pieno di ardore vitalistico. Una scrittura dall'immediata e facile presa emotiva la sua, con passaggi palesemente dimostrativi e altamente virtuosistici, che strappano l'applauso.
Ben altro impegno intellettuale e tecnico nel Quartetto in fa maggiore op. 135, l'ultimo scritto da Beethoven, a pochi mesi dalla morte, uno di quei temibili banchi di prova in cui anche i migliori cadono, sia per la difficoltà di scrittura che per l'eccesso di intellettualismo, sfiorando la freddezza o, in alternativa, perdendo la tenuta formale. Nulla di tutto ciò: il Meta4 Quartet vi ha trovato una mirabile chiave di lettura, volta ad una davvero commovente unione di analisi e sintesi che esalta la tarda scrittura beethoveniana fino a farla sbocciare con la stessa naturalezza di un fiore in primavera. Vi si riconosce l'influenza della scuola dell'Alban Berg Quartet, soprattutto nella straordinaria chiarezza degna di una lezione di un bravo anatomopatologo, ma resa con una cordialità di eloquio e con una bellezza di suono da autentici fuoriclasse. Lo stare in piedi consente ai nostri una maggiore scioltezza e probabilmente un suono più voluminoso: dettaglio quest'ultimo in cui faremmo l'unico rilievo critico. Qualche sonorità qua e là è parsa infatti eccessiva, specie in alcuni dialoghi fra i due violini. Ma il fraseggio, la concentrazione e soprattutto la logica musicale di questo gruppo hanno letteralmente rapito l'attenzione del pubblico bolognese. Un atteggiamento moderno e iper-energetico che avvince anche in Beethoven, in particolare l'ultimo visionario Beethoven, capace altresì di un incantato dialogo di voci nell'iperuranio del Lento assai cantante e tranquillo, dove anche i movimenti stupiti dei loro occhi contribuivano a ricreare sonorità rarefatte. E che dire dell'ultimo tempo, quell'insidiosissimo Grave ma non troppo tratto (sic) - Allegro, in cui fiumi d'inchiostro sono scorsi a proposito dell'epigrafe in partitura con la domanda “Deve essere così?” e la risposta “Così deve essere!”. Verdetto più che positivo per il Meta4, che sbroglia da par suo la complessità, puntando tutto al canto e all'eleganza, con una compattezza di suono e di tactus di alto livello. Una prestazione maiuscola, senza la benché minima sbavatura, un'intonazione immacolata. Dopo un tale sforzo esecutivo, propalato con sbalorditiva souplesse, tanto da far venire in mente le imprese di certi superdotati che risolvono in quattro e quattr'otto il cubo di Rubik o i cruciverba Bartezzaghi, i quattro del Meta4 mostravano qualche ruga all'inizio del bel Quartetto in re minore op. 56 di Jean Sibelius, un'opera del 1909 che reca il sottotitolo Voces Intimae. «Sapete che l'ala di una farfalla – scrisse una volta Sibelius – si spezza se viene toccata? Lo stesso avviene con la mia musica: spiegarla le è fatale».
Il Meta4 Quartet rende perfettamente la musica 'inspiegabile' di Sibelius, ne possiede il linguaggio e il colore, è evidente. Ma al Manzoni solo nell'ultimo movimento Allegro ha ritrovato l'abbagliante maturità esibita in Beethoven. Successo immenso e sincero, coronato da un gradevole piccolo bis di musica folclorica finlandese.
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