Un romantico zar
di Stefano Ceccarelli
Un genio, Daniil Trifonov. Un genio dal temperamento eroico/romantico. Ma, soprattutto, un genio che non si risparmia, giacché affrontare un programma come quello presentato dall’ormai cresciuto enfant prodige è impresa titanica, non solo tecnicamente, ma anche e soprattutto emotivamente, psicologicamente. Un primo tempo monstrum prevede l’esecuzione della Ciaccona in re minore di Johann Sebastian Bach (nella trascrizione di Johannes Brahms per la sola mano sinistra), della Sonata “Fantasia” in sol maggiore op. 78 D 894 di Franz Schubert e del primo quaderno delle Variazioni su un tema di Paganini op. 35 di Brahms; il secondo tempo è dedicato a Sergej Rachmaninov, suo autore/feticcio: la Sonata n. 1 in re minore op. 28. La terza parte del concerto ha visto ben tre bis. Un autentico successo, come del resto, oramai, tutte le sue pubbliche apparizioni. A venticinque anni è annoverabile nella rosa dei grandissimi del piano (e non solo di questa epoca).
ROMA, 20 gennaio 2016 – Un concerto di Daniil Trifonov è oramai un evento internazionale di grandissimo rilievo. In pieno fermento, ribollente di talento fin nel sangue, Daniil s’è guadagnato un posto d’onore nel Walhalla dei grandissimi del pianoforte. Ha solo venticinque anni di età, ma suona con la consumata perizia di un pianista veterano. Strumento, il pianoforte, che sembra essere, quasi, una mera estensione del suo braccio, a sua volta fisica estensione della sua mente. Mente ribollente di genialità irrequieta, romantica – un Liszt dei giorni nostri. Un romanticismo eroico, devoto alla Musa della Musica. Spesso non riesce a star seduto, o a non trarre un profondo respiro nei momenti di maggior concentrazione emotiva. L’assoluta assenza di sprezzatura è indizio di estrema naturalezza: Trifonov non sta cercando di costruirsi un personaggio, una sua mitologia. Trifonov è quel ch’egli è, vero come lo vediamo davanti a noi, un leone al pianoforte tanto ruggente alla tastiera quanto impacciatamente irrigidito nell’inchino. E non lo si può che amare per questo.
La trascrizione per la sola mano sinistra della Ciaccona in re minore (originariamente per violino, dalla Partita n. 2 BWV 1004) di Bach fatta da Brahms (1877-79) è, in realtà, una delle tante brano. Voglio figurarmi che Trifonov l’abbia scelta anche per la sua carica emotiva: Brahms fa vibrare la tersa musica di Bach di un’espressività calda e accogliente, che ci fa avvertire il tepore di un interno borghese, Biedermeier. Trifonov non si risparmia dall’intagliare perfettamente la linea bachiana, pur facendosi trasportare (nella climax verso il finale, in particolar modo, in cui suona per ottave) verso una certa esplosione emotiva, primo vero esempio, nella serata, di quel temperamento romantico di cui ci darà non pochi altri saggi. Alla fine dell’esecuzione scattano grandi applausi dal pur non foltissimo (che peccato!) pubblico presente in sala: e sarà così, praticamente, per ogni pezzo. È il momento di Schubert: la Sonata “Fantasia” op. 78. Nel Molto moderato e cantabile (I) Trifonov ci regala un’introduzione dalle sonorità vaporose, riuscendo a creare una quasi impercettibile eco sonora col pedale destro tenuto a mezzo e lasciato, di tanto in tanto, in respiro. Ecco un altro dei talenti di Trifonov, dei musicisti dal nobile orecchio: l’attenzione maniacale alla pasta sonora, al colore differente che ogni tasto del pianoforte può generare. Sa giocare perfettamente con gli effetti volumetrici di pieno/vuoto e con il chiaroscuro creato, in taluni passaggi, dal ribattuto di alcune noticine: del resto, da un certo momento la scrittura della destra si fa più virtuosistica e Trifonov la legge con tocco vellutato. L’esplosione di tensione verso il finale scoperchia l’ethos magniloquente dell’animo musicale (e non solo) di Daniil. Ma, forse, è proprio nell’Andante che scorgiamo il miglior talento chiaroscurale del russo: Trifonov non si esime, inoltre, dal regalarci il pathos che promana dalla sua interpretazione. Si potrebbe pensare che Daniil sia un pianista votato quasi solo a un repertorio ‘pesante’, ‘complesso’ per così dire; e invece sa anche toccare la tastiera con una leggerezza tutta francese (senz’essere lezioso, però), come ci dimostra nello smagliante Minuetto (III), dalla patina realisticamente villereccia, e, soprattutto, nel relativo trio, un capolavoro di scrittura, che Schubert pretende eseguito tutto a mezza voce, con quel tocco raffinato e spensieratamente delicato di molte pagine di Chopin. L’elaborato finale (Allegretto) vede Daniil più rilassato, fino a concludere ancora nella brillante evasione di una schubertiade. Potremmo dir conclusa un’ottima prima parte di un concerto; ma Daniil non vuole ancora farci prendere un caffè (o un prosecco): come ciliegina sulla torta ci sono tutte le quattordici Variazioni su un tema di Paganini op. 35 del I quaderno di Brahms – ancora un Brahms lettore, questa volta di Paganini, intento a riscrivere il passato: e si badi che collegamenti e rimandi del genere sono assai ponderati da Trifonov, come vedremo nei bis. Le sue mani volano sulla tastiera: il Capriccio n. 24 di Paganini è reinterpretato sfruttando ogni impervia difficoltà del virtuosismo, senza sfoggio ginnico/muscolare, però: Daniil ci mette l’anima anche quando ne servirebbe meno, regalandoci un intenso tuffo fra le maglie del melodismo italiano riletto e esaltato dall’occhio di un tardoromantico. Gli applausi sgorgano calorosi: ancora tre impacciati inchini di Trifonov e poi l’intervallo.
Un breve inchino, poi inizia la seconda parte: da programma sarebbe la Prima sonata in re minore di Sergej Rachmaninov, ma Trifonov ci riserva una terza parte con un tris di bis (non ho resistito al calembour!). L’Allegro moderato (I) mette l’interprete in notevole difficoltà: la difficoltà tecnica è altissima, con una scrittura sbalzata, sincopata, molto agitata in taluni passaggi. Trifonov è eccellente a tenere insieme i pezzi, a farne un discorso unitario; questo dovrebbe essere il movimento di Faust – a stare a una sorta di allusivo programma che risale a una lettera di Rachmaninoff: le melodie spezzate, irredente, iscritte in una linea virtuosistica lisztiana ben si attagliano, del resto, all’ethos del personaggio. Una nuance più delicata, intimista, attraversa l’Andante, melodicamente femmineo, derivante recta via dal carattere notturno delle composizioni di Field (che, per mezzo di diretto magistero, ebbe una notevole influenza in Russia). È Margherita, descritta in passaggi soffusi. Trifonov, oltre a cavalcare bene la dolcezza del pezzo, sa disegnare una climax emotiva che dopo un’acme ritorna a una scrittura pacata, infiorettata di trilli. Il virtuosismo paganiniano del III (Allegro molto) ci fa intuire che potrebbe trattarsi di Mefistofele: i colori si fanno più netti, il virtuosismo più rigido. Trifonov l’esegue magnificamente, cogliendo il carattere d’ambiguità che incornicia il pezzo. La performance è un successo: gli applausi una valanga. Trifonov s’inchina più volte, poi attacca la terza parte del concerto. Come non far sognare il pubblico con Pëtr Il'ič Čajkovskij? Uno dei suoi brani più famosi (trascritti per pianoforte dal pianista Mikail Pletnev, anch’egli frequentatore dell’Accademia): la Variazione della Fata d’argento da La bella addormentata nel bosco. Gli applausi si ingigantiscono sempre più – soprattutto dopo una distensione così affabile, visto e considerato il livello emotivo del programma. Trifonov regala allora un altro pezzo per la sola mano sinistra: uno dei preludi per la mano sinistra di Scrjabin. Gli applausi non cessano. Si concluda con Liszt (e ancora con Paganini): il sesto dei Grandes études de Paganini S. 141, un tema e variazioni proprio basati sul ventiquattresimo. Il cerchio si chiude. Un concerto memorabile, che oserei definire storico.