Mahler, ultimo atto
di Alberto Ponti
Juraj Valčuha interpreta la Nona sinfonia con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
TORINO, 29 gennaio 2016 - "Una sinfonia deve essere un mondo". Questa affermazione, attribuita a Gustav Mahler (1860-1911), si adatta forse più che a ogni altra sua composizione all’ultimo grande affresco orchestrale del maestro austriaco, suprema sintesi di sentimenti, stati d’animo, espressioni apparentemente inconciliabili a contrastanti con violenza tra loro.
Composta nell’estate del 1909, la Nona sinfonia è l’ultimo lavoro completato e il testamento spirituale di un uomo che, malato e provato dalla scomparsa della figlia primogenita, sente prossima la propria fine e, in una sorta di tragica coincidenza, quella della stessa forma sinfonica a cui aveva dedicato la maggior parte delle sue energie creative. La parabola mahleriana si pone infatti ai limiti estremi del genere divenuto, a partire da Beethoven, il banco di prova più ambito e tenuto di ogni musicista che si sentisse figlio della grande tradizione tedesco-viennese. Se infatti Mahler può definirsi pienamente postbeethoveniano, come Brahms e Bruckner, nessuno si può definire postmahleriano. La Nona, con tutti i suoi interrogativi, invita a sentieri ancora da percorrere ma, come in un quadro di Escher, largamente impraticabili dopo il crollo del sistema tonale che l’autore aveva intuito con lucidità profetica.
Ultima grande sinfonia del mondo germanico, la partitura si lascia avvicinare solo dai grandi direttori. Valčuha è uno di essi ed è riuscito, con un’interpretazione di grande personalità, a conquistare il pubblico delle grandi occasioni che giovedì 28 e venerdì 29 gennaio è accorso all’auditorium Rai di Torino, accogliendo con numerose chiamate in scena al termine del concerto un maestro a cui si sta dimostrando sempre più affezionato. Assecondato da un’Orchestra Sinfonica Nazionale cui negli ultimi anni, da direttore principale, è riuscito a trasmettere tutta la sua carica magnetica e la sua esuberanza, lo slovacco privilegia una lettura drammatica ma non tragica, in cui il legame di Mahler con la vita, gli affetti, l’amata natura prevale sulla percezione della morte ormai prossima. Ecco allora che i passi più concitati del geniale primo movimento, nato dal silenzio e culminante in un furioso di straordinaria efficacia prima di sprofondare nuovamente nella condizione primigenia, non risuonano di una disperazione senza appello apparendo piuttosto un ultimo e struggente canto alla bellezza grandiosa del creato. Anche i due tempi centrali, di notevole complessità costruttiva, vedono protagonista un’orchestra sempre attenta alla cura del dettaglio, nei passaggi solistici dei fiati come nelle dense trame contrappuntistiche degli archi, invero con qualche difficoltà di controllo dei volumi sonori nel Rondò-Burleske che rimane tra le pagine più virtuosistiche dell’intero repertorio orchestrale. La maestria di Juraj Valčuha e il suo possesso dei mezzi espressivi emergono in tutta evidenza nel celebre finale, un adagio di vaste dimensioni speculare al movimento di apertura, con il tema principale condotto con rara intensità a raggiungere il punto culminante e quindi a disgregarsi poco a poco in frammenti e schegge di suono sempre più atomizzati, fino a spegnersi in un siderale re bemolle maggiore. Di fronte al compositore che si arresta davanti al mistero della morte si chiude, in uno di quei contrasti insanabili che alimentano la sinfonia, suggello dell’intera produzione mahleriana, una delle più toccanti rappresentazioni dell’esistenza umana e del suo carico di furori, dolcezze, speranze.