Lo sguardo lieto della Passione
di Alberto Spano
Il consueto appuntamento con la musica sacra in prossimità delle feste pasquali porta, nel cartellone del Bologna Festival, gli eccellenti Stuttgart Barockorchester und Kammerchor diretti dal fondatore Frieder Bernius alle prese con la Johannes-Passion di Bach.
BOLOGNA, 19 marzo 2016 – Da alcuni anni il Bologna Festival propone eccellenti esecuzioni di opere sacre durante il periodo pasquale: una meritevole tradizione che colma una certa disattenzione da parte delle istituzioni cittadine che dovrebbero essere deputate a farlo. L'ottimo riscontro da parte di un pubblico preparatissimo che regolarmente affolla questi appuntamenti è la risposta più importante al coraggio del festival. Che quest'anno non ha mancato di onorare l'ormai irrinunciabile consuetudine attraverso una splendida proposta della Passione secondo San Giovanni BW 245 di Johann Sebastian Bach da parte dei Stuttgart Barockorchester und Kammerchor diretti dal fondatore Frieder Bernius.
L'opera è un capolavoro che Bach compose a 38 anni su espressa commissione della cittadinanza di Lipsia dopo aver studiato lungamente i precedenti di Haendel e Telemann. Suscitò molto scalpore fin dalla sua prima leggendaria esecuzione nella Nicolaikirche il 7 aprile 1724, il Venerdì Santo. Come sarebbe successo anche con la più estesa Passione Secondo San Matteo BWV 244, il pubblico rimase subito colpito dalla drammaticità di questo lavoro, dalle arie e dai cori che la compongono, tanto da far saltare qualche ben pensante sulla sedia: “Sembra di stare all'opera” avrebbe sentenziato una vispa signora alla prima esecuzione della Matthäus-Passion, ma l'aneddoto avrebbe potuto benissimo accadere alla prima della Johannes, che pure rispetto alla Matthäus è più sobria e più breve.
Non è infatti banalità dire che Bach non ha mai scritto un'opera, ma è come se se ne avesse scritto a decine considerando ciò che ha lasciato in ambito liturgico, fra Passioni, Messe e Cantate. E in effetti quasi di opere stiamo parlando, fatte di arie, di recitativi, di cori e di corali talmente ben scritti e contenenti una tale forza drammatico-teatrale che non sono mancate nei secoli, anche di recente e in ambiti altissimi, vere e proprie messe in scena con costumi e movimenti.
A Bologna grazie al talento di Frieder Bernius la si è invece potuta godere in tutta la sua bellezza originale attraverso una straordinaria cura strumentale e vocale da grande festival europeo. Non molto conosciuto in Italia, il sessantottenne Frieder Bernius è sicuramente da considerare come uno dei migliori esponenti delle esecuzioni “storicamente informate”, altrimenti dette filologiche: pur continuando un'attività di normale direttore dei maggiori cori tedeschi (soprattutto quelli radiofonici), Bernius nel 1968 ha fondato il Coro da Camera di Stoccarda e poi nel 1985 l'Orchestra e il Coro Barocco di Stoccarda. Proprio quelli ascoltati a Bologna, che in trent'anni di lavoro in sala di concerto e in studio di registrazione (più di ottanta dischi all'attivo), si presentano ora come una delle migliori formazioni barocche sulla piazza internazionale.
Il coro dispone di voci assai pregiate, splendidamente amalgamate e dotate di tecniche emissive straordinariamente compatte. Bernius non possiede un bel gesto direttoriale, nel senso estetico della platealità o dell'armonia posturale. Di primo acchito sembra quasi un po' disordinato e poco plastico. Errore sovrano: dopo le primissime battute dello straordinario esordio della Johannes-Passion, il celeberrimo coro “Herr, unser Herrscher” ("Signore, nostro Re") si capisce immediatamente che, a onta di una gestualità niente affatto ortodossa, il controllo su coro, orchestra e solisti è assoluto. È un controllo intimamente musicale, apparentemente poco “tecnico”, fatto anche di sorrisi e di sguardi, ma sempre infallibile. Ed è il gusto musicale di Bernius che affascina sommamente, la sua capacità di dipanare e concertare con supremo equilibrio le trame delle varie sezioni del coro, che si intersecano fra loro con notevole libertà. Anche grazie alla lodevole scelta di fondo di un organico ridotto all'osso, Bernius punta tutto sull'estrema chiarezza dell'ordito polifonico e di una generale leggerezza timbrica. I pochissimi strumentisti sono bravissimi e applicano da par loro le più moderne (o se si vuole) “antiche” tecniche di esecuzione filologica sugli strumenti originali (o loro copie) barocchi. Eccellenti tutti, con particolare plauso per le prove degli strumenti bassi, contrabbassi e violoncelli e del violista da gamba, musicalissimo nel suo fondamentale intervento nell'aria del tenore “Mein Jesu, ach!” e in quella per contralto “Es is vollbracht!”, nonostante il suono un po' asprigno del suo strumento.
Bernius rilegge tutta la Johannes-Passion con passo svelto e rappacificato, quasi sereno. Il dramma della condanna a morte, della passione e della resurrezione del Redentore è ricreato con colori morbidi e sonorità mai pesanti. L'esiguità dell'organico barocco di per sé porta ad alleggerire tutto, ma la scelta interpretativa volutamente antiretorica è certamente una conquista del concertatore: è un Bach cameristico e luminoso, una vocalità sempre sorvegliata ed espressiva, che si sposa perfettamente, anzi sembra quasi germinare direttamente dalla proprietà stilistica nei recitativi del raffinato tenore Tilman Lichdi, dalla voce chiara e dalla dizione perfetta, che “racconta” i testi del Vangelo e di altri autori con drammatica semplicità. Ottime anche le voci soliste del quartetto vocale, tutte dello stesso livello tecnico ed espressivo: il soprano Anja Petersen, il mezzosoprano Sophie Harmsen, il baritono Ludwig Mittelhammer e il basso-baritono Thilo Dahlmann. Utile e non invasiva la proiezione della traduzione italiana del testo sul fondo sala. Successo intenso e meritato.