Due titani della musica
di Stefano Ceccarelli
Il maestro Antonio Pappano, alla guida dell’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, assieme al pianista Yefim Bronfman, dà vita a una serata magnifica in cui s’eseguono due partiture simbolo del XIX secolo: l’ “Imperatore” di Beethoven e “La grande” di Schubert. Il pubblico decreta un meritatissimo successo.
ROMA, 29 ottobre 2016 – Due capolavori assoluti di due geni della musica, due titani del XIX secolo: il Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 73 “Imperatore” di Ludwig van Beethoven e la Sinfonia n. 9 in do maggiore D. 944 “La grande” di Franz Schubert. La sala principale dell’Auditorium di Renzo Piano gremita come s’addice alle grandi occasioni. Gli ingredienti ci sono tutti per avere una serata di musica di straordinario livello: e così è stato. Gli interpreti, poi, di prim’ordine: il maestro Antonio Pappano alla testa dell’orchestra dell’Accademia, con assiso al pianoforte Yefim Bronfman.
Si comincia con l’ “Imperatore” di Beethoven, che F. Serpa non esita a definire «il più famoso e il più popolare di tutti i Concerti per pianoforte e orchestra della nostra letteratura sinfonica». L’intesa Pappano/Bronfman è subito perfetta. Energia, pulizia, precisione sono tipiche caratteristiche della bacchetta di Pappano, particolarmente godibili nell’Allegro (I) dove Bronfman esegue la parte togliendovi molte incrostazioni retoriche tipiche delle movenze di svariati interpreti e suona con una brillantezza poco conosciuta negli approcci a questo brano. L’incredibile sgranatura del suono, il parco uso del pedale, l’attenzione al dato timbrico concorrono a una resa improntata a rilassata naturalezza (alcuni passaggi sembrano condurci in regni sonori fatati, surreali): la prova del nove ne sono i trilli cristallini. Le atmosfere dell’Adagio un poco mosso sono esaltate da una concertazione delicata di Pappano e dalla naturalezza – appunto – dell’esecuzione di Bronfman, cantata nella linea melodica. Anche la vivacità del Rondò (III) è lontana da ogni artificialità: scioltezza e brio caratterizzano l’esecuzione di Bronfman. Alla fine, l’abbraccio con Pappano: applausi copiosi.
Il secondo tempo vede l’esecuzione della monumentale Nona sinfonia di Schubert, riscoperta per le cure di Schumann (era fra carte sparse nella casa del fratello del defunto musicista). Schubert riuscì a emergere nella storia della musica, anche come sinfonista, benché vi fosse l’ombra di Beethoven che tutto avvolgeva: giustamente Schönberg ebbe a dire che la «grandissima originalità in ogni particolare» di Schubert riuscì a esistere accanto «a un fenomeno schiacciante come Beethoven». “La grande” coniuga certamente a un’originalità cristallina una grandeur inconcepibile in una sinfonia, almeno prima della Nona. Pappano ha sotto di sè una delle migliori orchestre del mondo e la conduce al suo massimo. L’italo-inglese dipana tutta la magniloquente architettura formale del I movimento con grande presenza e gusto; il polso non gli manca di certo: le campiture, i palpiti ritmici del pezzo scorrono agili sotto un’intelligenza agogica vigile e presente. Pappano coglie perfettamente, nella sua performance,la vitalità ritmica, materica e palpitante, dell’intera partitura: l’Andante con moto (II) è il secondo episodio di questo incedere mistico che è la spina dorsale ritmica della partitura, delibato da Pappano in tutti suoi momenti più intensi (non oso dire frenetici), finanche lirici. Dopo lo Scherzo, porto vitalmente – con gusto anche bozzettistico –, Pappano chiude splendidamente dirigendo un emozionante Finale, che ha un innato ethos coreutico (a tal punto che Forsythe vi montò una famosa coreografia sopra: The Vertiginous Thrill of Exactitude), pure magniloquente, ma che in sintesi è tutta la potenza ritmica accumulata nei precedenti movimenti che trova una sintesi di incredibile potenza. Gli applausi attestano l’evidente gradimento del pubblico.