L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Emerson string quartett

Nel cerchio di Beethoven

 di Roberta Pedrotti

Il Quartetto Emerson rende omaggio a Beethoven per la stagione cocnertistica di Musica Insieme e offre un saggio eloquente della sua arte nel fraseggio e nella dinamica, con chiarezza di lettura e sonorità morbide e ammalianti.

BOLOGNA, 7 novembre 2016 - Suonano vicini vicini, raccolti, quasi stretti attorno al piccolo podio del violoncello, che, seduto, si trova praticamente al livello dei colleghi sempre in piedi; gomito a gomito, sguardo a sguardo.

Quattro signori dall’aria affabile, tre statunitensi (i violinisti Philip Setzer e Eugene Drucker, il violista Lawrence Dutton) e un gallese (il violoncellista Paul Watkins, subentrato nel 2013 a David Finckel), offrono al primo colpo d’occhio la cifra musicale della serata, quella di un’amabile complicità, di un modo di porgere e di porgersi cordiale, distinto e caloroso allo stesso tempo.

Non si tratta, insomma, di passioni e teatralità mediterranee, né di una esatte trasparenze nordiche, ma di saper porgere la complessità con la semplicità accattivante del miele lucreziano.

Ci sentiamo vicini a loro, accolti in un circolo ristretto, coccolati da quel bel suono di legno morbido, affettuosamente vissuto, impregnato d'aromi e tepore nella sua naturale porosità.

Intanto, però, parte dal “non suono” di un primo violino (Setzer, mentre nella seconda parte sarà Drucker) che sembra quasi vibrare una corda fantasma prima di incontrare i suoi compagni e dar vita ai versi di Boito “allor la nota che non è più sola | vibra di gioia in un accordo arcano | con altra voce al suo fonte rivola || Quivi ripiglia suon, ma la sua cura | tende sempre ad unir chi lo disuna”. Da lì si dipana un programma beethoveniano non certo di tutto riposo, con il Quartetto in do diesis minore op. 131 e, soprattutto il Quartetto in si bemolle maggiore op. 130 coronato dalla Gran fuga in si bemolle maggiore op. 133, in origine ultimo movimento del Quartetto poi tramutato in brano autonomo e sostituito in quella sede da una più contenuta e rassicurante conclusione. Musica di estrema, ardita complessità, ma le cui architetture interne, grazie anche al miele di Lucrezio, emergono come elementi fondamentali del sublime, della meraviglia artistica, non come ostiche speculazioni intellettuali: questo, perlomeno, si rispecchia fedelmente nell’attenzione e nell’entusiasmo di una folta presenza di giovani e giovanissimi incantati da questi quattro signori anglosassoni, variamente brizzolati, dall’aria, sì, simpatica, ma senza nessun fronzolo ammiccante per il grande pubblico. Non offrono, in definitiva, che la loro musica, ed è questa la carta vincente: il piacere concreto, vissuto, amichevole, di far musica insieme. Allora, più che il dato tecnico nella tornitura di questo o quel suono, di questo o quel passaggio, sale alla ribalta la fine franchezza del fraseggio e la scioltezza nel dipanare le esatte e minuziose indicazioni agogiche di Beethoven. Già nel Quartetto op. 131 si alternano, in sette movimenti, Adagio ma non troppo e molto espressivo, Allegro molto vivace, Allegro moderato, Andante ma non troppo e molto cantabile, Più mosso, Andante moderato e lusinghiero, Adagio, Adagio, ma non troppo e semplice, Allegretto, Presto, Adagio quasi un poco andanteAllegro. Ogni sfumatura agogica e dinamica trova la sua precisa e naturalissima espressione in un fraseggio che si sviluppa soprattutto nell’eloquenza della metrica. Poi viene il 130, con la malìa della Cavatina e con la Gran Fuga, immensa nell’immenso fascino di un discorso che si rinnova in un continuo ciclo di inseguimenti, asperità, concordanze, in una lucida lettura che dà luogo a confidenza e scioltezza d'esposizione.

Poteva finire così la serata, ben introdotta dalle parole di Fulvia de Colle, e saremmo stati contenti, ma gli affabili archetti dell’Emerson chiudono in dolcezza e propongono – annunciandolo in italiano e con chiarezza, cortesia dimenticata da troppi altri concertisti – il terzo movimento, Lento assai, cantante e tranquillo, dal Quartetto n. 16 in fa maggiore, op. 135. Poetica morbidezza e applausi ancor più calorosi.  


 

 

 
 
 

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