Note avanguardistiche
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia propone un programma accattivante: l’Ouverture to “The School for Scandal” di Samuel Barber, il Concerto in fa per pianoforte e orchestra di George Gershwin, la Rapsodie espagnole e il Boléro di Maurice Ravel. Alla direzione Andrés Orozco-Estrada, ormai un habitué della Sala Santa Cecilia; al pianoforte il giovanissimo e talentuoso Conrad Tao, al suo debutto presso la maggiore istituzione romana. Il concerto ha un ottimo gradimento di pubblico. Sorprende soprattutto il talento (anche da showman) di Tao, che si esibisce in un’ottima performance del concerto gershwinniano, dimostrando un calore lirico nel fraseggio invidiabile per un interprete della sua età.
ROMA, 12 novembre 2016 – La musica americana dei primi decenni del ‘900 ha creato un linguaggio unico al mondo, vivo, vivace, spontaneo, sfrontato – tal è lo spirito americano; un linguaggio che ha la sua ragion d’essere anche nel sincretismo con forme musicali prettamente non classiche, colte: il jazz, il blues. Il primo tempo del concerto è appunto dedicato a due esponenti celebri di questa scuola, educata all’europea ma dall’animo americano: Barber e Gershwin. Barber era giovanissimo quando compose l’ouverture The School for Scandal, settecentesca commedia d’intrigo borghese di Sheridan. La direzione di Orozco-Estrada è buona, non vivacissima, mancando di verve in qualche passaggio – s’ascolti al confronto De Sabata (1950) – ma centrata: del resto la scrittura è alquanto drammatica (considerando si tratti dell’ouverture a un’opera comica), con momenti di scrittura apprezzabili per cantabilità – la sezione centrale e i numerosi guizzi, le screziature ritmiche che saranno il pane quotidiano di tanta scrittura da film (J. Williams). Si prosegue col bel Concerto in fa di Gershwin. Al pianoforte il giovanissimo Conrad Tao, americano d’origine asiatica, al debutto in Accademia. Tao dimostra di sentire benissimo Gershwin e il suo pianismo: si lascia trasportare dalla musica, suona col corpo prima ancora che con le mani; è accattivante, un vero animale da palcoscenico, oltre che un talento cristallino. Il concerto gershwinniano è strutturato su un’eccitante linea ritmica, squisitamente jazzistica, iscritta in un’architettura che vuole rifarsi ai concerti classici di tradizione europea. Orozco-Estrada e Tao s’intendono benissimo: fra pianista e orchestra i tempi sono precisi. Tao è sorprendente per la personalità, il fraseggio, la sensibilità musicale, la velocità esecutiva, il tatto. Ci mostra un virtuosismo percussivo incredibile; freme con tutto il corpo nell’orgia di ritmi, sensuali e accattivanti. Nell’Andante con moto (II) Tao sa anche mostrarci un fraseggio eloquente e elegante. Orozco-Estrada fa brillare l’eccellente orchestra dell’Accademia, che entra perfettamente nel sound brillante e spettacolare della scrittura. Gli applausi sono calorosissimi. Conrad Tao regala l’ipnotico Catenaires di Elliot Carter a mo’ di bis.
La seconda parte del concerto è all’insegna di un avanguardista europeo quale fu Maurice Ravel, con due dei suoi componimenti più famosi. Com’ebbe a scrivere De Falla: «in perfetto accordo con ciò che io penso (e contrariamente a quanto avesse fatto Rimskij con il suo Capriccio), l’ispanismo di Ravel non era affatto ottenuto mediante una pedissequa utilizzazione di documentazioni popolari (jota della Feria esclusa), ma con un libero impiego di ritmi, melodie modali ed evoluzioni proprie della nostra lirica popolare». Nell’immaginario francese tardo-romantico e fin de siècle la Spagna era considerata, in una luce idealmente orientalistica, come una terra sensuale e sessualmente accattivante (la Carmen di Bizet n’è esempio stupendo). La Spagna di Ravel è, oltre che sensuale nel linguaggio, anche lirica giacché gli rammenta le origini della mamma. Orozco-Estrada dirige bene tutti colori della partitura: le delicate cromature (basti solo rammentare il Prélude à la nuit), lo spirito coreutico (la Malagueña,di cui ben si ricorderà Bernstein in West Side Story,e la finale Feria), o l’esotico profumo d’oriente, sensualmente promettente e accattivante, della Habanera. Ma la maggior parte del pubblico attende il celeberrimo Boléro. Benché Orozco-Estrada imposti all’inizio un’agogica forse troppo marziale, poco sensibile a talune nuance squisitamente – anche qui – orientaleggianti e sensuali, imprime poi il via al ritmo ossessivamente misterioso che rappresenta quasi il pulsare della vita. Orozco-Estrada si ricongiunge soprattutto con la partitura nel baccanale finale – una lettura, la sua, comunque meno esteticamente apprezzabile di altre celebri (Karajan, Bernstein, Muti, Abbado, per fare qualche nome).