Il gusto di Mozart
di Roberta Pedrotti
Alexander Lonquich si conferma artista dalla musicalità limpida e dal gusto sopraffino come concertatore e solista per i concerti n.17 in Sol maggiore K 453 e n.22 in Mi bemolle maggiore K 482 di Mozart e per la prima Sinfonia "Classica" di Prokof'ev.
BOLOGNA 23 novembre - In piedi accanto al pianoforte, a mani nude, è Alexander Lonquich a dare l’attacco all’orchestra del Comunale di Bologna nella doppia veste di direttore e solista. Un impegno totale non inedito né sgradito, a differenza di colleghi, fra cui lo stesso Pletnev, che salendo sul podio cedono volentieri ad altri il posto alla tastiera. Quale che sia la scelta, di riunire in sé o di separare i ruoli, essa rappresenta in nuce l’indirizzo e l’indole dell’interprete, ne è una componente fondamentale anche a prescindere dal dato tecnico. Perché, inutile negarlo, il doppio impegno richiede energia e controllo più che doppi ed è facile che un ruolo prevalga sull’altro, così come, qui, capita di avvertire talora la mancanza di un polso più autorevole e presente, soprattutto quando il Concerto n. 22 di Mozart sollecita le prime parti dei fiati o quando si esegue la prima Sinfonia di Prokof’ev, scompare la grande arca nera e il pianista deve farsi solo direttore. Si delinea così, nel suo movimento fra lo strumento e i colleghi dell'orchestra, non la centralità assoluta del solista, non la solennità sinfonica, bensì una dimensione di scambio e condivisione in cui il concertatore è punto di riferimento, più che leader assoluto. Il complesso del Comunale fa, beninteso, il suo dovere e mantiene concentrazione e buon livello complessivo, ma è chiaro che Lonquich il meglio di sé lo dia posando le dita sulla tastiera, e da lì determina ed emana, quasi per osmosi, la linea della sua chiarissima visione musicale.
Alexander Lonquich ha gusto. Questa è la dote che colpisce soprattutto: la capacità di esporre la frase con limpida eleganza, di lasciar fluire abbellimenti, variazioni, cadenze con intelligenza e giusta misura, senza che mai un tratto troppo severo, o lezioso, o esibito incrini o tradisca l’equilibrio, la pulizia dell’insieme. Socchiudendo gli occhi nel cercare d’immaginarci a una prima esecuzione ai tempi di Mozart, non ci sentiremo circondati da sbuffi di cipria, pizzi e nei finti, ma da uomini in carne e ossa come siamo noi oggi. Quando, in una cadenza, inserisce temi dalle Nozze di Figaro, coeve ai concerti proposti (n.17 K 453 e n.22 K 482), non sa di erudizione, ma di naturalissima consapevolezza, di discreta complicità con l’uditorio più avveduto godibile anche per i non iniziati ai misteri mozartiani nemmeno al grado di noviziato.
In quest’ottica la Sinfonia "Classica" di Prokof’ev intercala i lavori mozartiani come un gesto d’amore, l’omaggio al Salisburghese come atto d’esordio di uno dei più grandi fra i suoi posteri. Un gesto d’amore, naturalmente, condiviso e respirato all’unisono da Lonquich e dall’orchestra, che, - vi sia o meno il pianoforte e, dunque, suoni o meno il concertatore in prima persona - paiono prima di tutto uniti da una sensazione di collaborazione di stampo cameristico. Un’idea di far musica insieme che si concretizza anche nei bis, un intero movimento dalla fitta produzione per piano e orchestra condensatasi alla metà degli anni Ottanta e un minuetto.
Bis con i colleghi dell’orchestra e bis da solista, dunque, a rispondere al calore del pubblico con affabile gratitudine poche, efficaci e garbate parole introduttive.