L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

daniel Barenboim

Dramma umano

 di Stefano Ceccarelli

Il concerto di Daniel Barenboim nella sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica è un evento mediatico che ha visto la partecipazione di numerosi ospiti illustri (basti fare il nome di Napolitano). Barenboim si è cimentato con un programma sfibrante: due sonate di Franz Schubert (Sonata in la minore D 537 e la Sonata in la maggiore D 959); la Prima Ballata in sol minore op. 23 di Fryderyk Chopin e Funèraille n. 7 (da Harmonies poétiques et religieuses), terminando col Mephisto-Valzer n. 1 S 514. A uno Schubert eccessivamente monocromatico, ombroso, nulla aggiunge uno Chopin poco brillante; moltissimo invece ha da dirci nell’interpretazione di Liszt, soprattutto delle sue tinte più fosche.

ROMA, 21 novembre 2016 – Un concerto di Daniel Barenboim è sempre un evento. Quando, poi, affronta un programma di questa difficoltà, s’è ancora più curiosi. A dispetto della sua enorme fama, Barenboim sale sul palco con incedere pacato, stabilendo subito un legame empatico col suo pubblico: subito ammonisce a non fargli foto col flash (meno male che qualcuno ancora lo ricorda…). Il programma scelto – soprattutto nel primo tempo – è veramente sfibrante. Le due sonate di Franz Schubert D 537 e D 959: la prima della giovinezza, la seconda della maturità (così accostate giacché nella seconda confluisce una patente autocitazione della prima). Per Barenboim, lo Schubert giovanile della D 537, nel primo movimento, è dimesso, tutto ovattato, da piccolo interno borghese: Barenboim sta forse cercando di riprodurre un’esecuzione filologica, come s’immagina l’abbia pensata Schubert stesso. Non v’è retorica: la drammaticità scorre via senza colpo ferire. La cantabilità tutta caliginosa, Biedermeier dell’Allegretto quasi andantino (II) non è esente da qualche imprecisione dell’interprete, che sembra molto concentrato sull’atmosfera più che sulla correttezza stricto sensu esecutiva. Il suono è sempre tarato su mezzi-volumi anche nell’Allegro vivace (III), benché Barenboim ci faccia ascoltare qualcosa di più vivace. Passando a eseguire la D 959, Barenboim mantiene ancora una tenuta ovattata del suono: v’è leggermente più retorica nell’esecuzione dell’Allegro (I), le tinte caravaggesche sono maggiormente evidenziate, la drammaticità lievemente acuita e si lascia apprezzare la tecnica esecutiva delle volatine, cui riesce a conferire particolare fascino sospeso. La Stimmung dell’Andantino (II) è certamente più adatta al mondo sonoro schubertiano di Barenboim, con le sue tinte brunite: si tratta di una funerea, mesta serenata. Ritenuta da tutti i critici atmosfericamente bipartita (secondo l’immagine, quasi manichea, della notte-giorno), con gli ultimi due movimenti polarmente inversi ai primi due, la sonata D 959 è mantenuta a un livello atmosferico plumbeo dalle mani di Barenboim, anche negli ultimi due movimenti. Se tecnicamente le soluzioni di tocco sono apprezzabilissime, l’agogica del III movimento è a tratti stantia – in altri punti, certo, più curata, ma complessivamente non proprio azzeccata; nel IV, a passaggi acquatici s’alternano i perduranti grigiori sonori. Per Barenboim Schubert è perennemente ombroso: un vero peccato sacrificarne i guizzi sonori, le tinte argentine e fluenti che innervano molti momenti della sua arte.

Un primo tempo come questo è una prova di resistenza di nervi. Barenboim si siede nuovamente al piano e attacca la Prima Ballata di Chopin. Gravato ancora dal suo Schubert ombroso, questo Chopin esce meno brillante del consueto. Certo, Barenboim è maestro di tocco, scioltezza, agilità: tutto (o quasi) è ben eseguito. C’è anche più retorica squisitamente pianistica: i rallentando, i rubati (soprattutto nei momenti di maggior pathos) sono ben posizionati, sentiti. Il finale concitato è di gusto lisztiano. Indiscutibilmente il miglior brano – a livello esecutivo – della serata è il Funèrailles n. 7 di Franz Liszt: del resto, con un approccio dalle tinte così marcate al suono Liszt non può che uscir rinvigorito. Ogni atmosfera cavernosa, mortifera è perfettamente scolpita in questa emotiva evocazione di un’esecuzione militare: lo stregato ribattuto ipnotico dei bassi si alterna con le allucinate martellate della zona acuta della tastiera. L’esecuzione del Mephisto Waltz n. 1 è l’ultima fatica. Venature tardo-romantiche, vespertine s’odono fin dall’attacco martellante, con qualche rallentamento; il tema erotico è intriso di atmosfere soffuse; magistrali le agilità (l’evocazione dell’apparizione di Mefistofele) e gli svolazzi che rappresentano gli erotici usignoli. Agilità come i trilli in smorzando e i tocchi fatati sono notevoli. La conclusione è eroticamente marcata («nel Tristano, ma già prima nel Lohengrin e nel Rigoletto, la tematica erotica si affaccia apertamente sulla sessualità, e nella stretta del Valzer di Mefistofele n. 1 […] la conclusione del dialogo amoroso arriva a simboleggiare il rapporto sessuale, seguito da una languida frase di Faust, ripresa dalla ragazza e… ripresa dagli usignoli, antichissimi simboli amorosi» P. Rattalino dal programma di sala).

Gli applausi sono copiosissimi, con annessa standing ovation, veementemente chiedendo qualche bis che (giustamente) non arriva, vista la difficoltà del concerto: il pubblico ama molto Barenboim, personaggio eminentemente mediatico. Il modo di leggere questi spartiti, il senso generale dei brani scelti, è forse proprio quello di ricercare e indagare il dramma umano, etimologicamente l’agire dell’uomo nel mondo.


 

 

 
 
 

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