Chi ha paura di Alban Berg?
di Alberto Ponti
Una platea esigua non rende giustizia a una Lulu-Symphonie di rara intensità
TORINO, 25 novembre 2016 - Scriveva Alban Berg (1885-1935) in una lettera a Schönberg del gennaio 1935 che, nonostante non si trovasse nelle condizioni fisiche ed economiche per viaggiare in Europa ed assistere dal vivo alle esecuzioni della sua Lulu-Suite (1934), attendeva una trasmissione radiofonica da Torino del lavoro.
Tale esecuzione, non documentata, non consente di dire nulla di più sulla circostanza, ma è rivelatrice dell'apertura culturale di una città nella quale, a soli due mesi dalla prima mondiale (avvenuta a Berlino il 30 novembre 1934 sotto la bacchetta di Erich Kleiber), si attendeva con trepidazione una partitura di enorme novità, e scandalo, per l'epoca. Erano gli anni della pittura di Casorati e dei Sei, delle musiche di Casella e Ghedini, del Teatro di Torino. Caduto in disgrazia sotto il regime fascista, il visionario imprenditore Riccardo Gualino aveva lasciato da poco orfane dei suoi generosi finanziamenti numerose iniziative volte alla diffusione delle avanguardie artistiche, senza eguali nell'Italia ancora largamente provinciale dell'epoca.
Oggi, a distanza di oltre ottant'anni, prendiamo atto del mutare in peggio di tanta curiosità intellettuale visto che la stessa opera, ormai annoverata fra i vertici del Novecento musicale, è stata accolta, giovedì 24 e venerdì 25 novembre, da poche centinaia di ascoltatori, in un auditorium ‘Toscanini’ riempito a malapena per un terzo della sua capienza.
L'ampia suite (nota anche come Lulu-Symphonie) si compone di cinque movimenti, ottenuti elaborando alcuni passi del dramma lirico originario. A un vasto Rondò introduttivo seguono tre brevi pezzi (Ostinato, Lied der Lulu, Variationen) e un toccante e complesso Adagio, corrispondente alla fine dell'opera, rimasta incompiuta nella strumentazione dell'atto finale alla morte di Berg.
Sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai il tedesco Ingo Metzmacher, autentico specialista nel repertorio moderno e contemporaneo, era affiancato dal soprano svizzero Rachel Harnisch, il cui intervento nel terzo e nell’ultimo tempo ha permesso di apprezzare la versatilità della sua voce, già conosciuta sotto la Mole pochi mesi fa in un concerto di arie mozartiane.
La lettura del lavoro, dall’eloquio di densità mahleriana che convive con una strumentazione dalle linee lucidissime e taglienti come affilate lame, esalta la qualità dell’orchestra, mai come nell’occasione attenta ai movimenti sobri e precisi della sua guida, capaci con matematica evidenza di assottigliare il suono in filamenti quasi intangibili così come di gonfiarlo fino a impensabili cataclismi.
Compito più arduo attendeva la Harnisch nei successivi Quattro Lieder op. 22 per voce e grande orchestra (1913-1916) di Arnold Schönberg (1874-1951), ultima composizione atonale del maestro viennese prima dell’approdo alla tecnica dodecafonica. Dizione di grande efficacia drammatica che spinge la melodia ai limiti dello sprechgesang caro all’autore, controllo dell’emissione in grado di effettuare al calor bianco i cambiamenti dinamici più arditi, capacità di dilatare l’intensa emozione dei testi di Ernest Dowson (tradotto da Stefan George) e Rainer Maria Rilke rendono il soprano svizzero un’interprete di elezione di queste pagine, con Metzmacher a privilegiare invece un incedere più secco e prosciugato di ogni spessore tardoromantico per rendere al meglio l’esasperata ricerca timbrica del dettato compositivo.
Tutta la tensione accumulata in queste opere era destinata infine a sciogliersi nelle grandiose Variazioni op. 56a su tema di Haydn (1873) di Johannes Brahms (1833-1897), precedute dal breve divertimento, attribuito in tempi recenti non senza dubbi al padre della moderna sinfonia, contenente il Corale di Sant’Antonio, basamento del monumento brahmsiano. L’empito della pagina conclusiva, assecondato dal direttore tedesco addirittura con una certa voluttà e spensieratezza, convince e trascina anche il ridotto pubblico che, in maniera del tutto ingenerosa, era rimasto in precedenza piuttosto freddo e distaccato.