La rivincita di Goethe
di Andrea R. G. Pedrotti
Ludovic Tézier è la ragion d'essere della ripresa della versione baritonale del capolavoro di Massenet, di cui permette di valorizzare diverse e suggestive sfumature.
VIENNA, 28 marzo 2017 - Il Werther di Jules Massenet andò in scena per la prima volta, il 16 febbraio 1892, proprio alla Wiener Staatsoper (allora Wiener Hofoper), eseguito in lingua tedesca. A più di un secolo, l'opera di Massenet non recupera l'idioma di Goethe, ma restituisce molti dei rapporti relazionali del romanzo epistolare che ne fu fonte d'ispirazione. La scelta di eseguire la versione che prevede un baritono e non un tenore, come di consueto, a interpretare il ruolo del titolo muta sostanzialmente l'immagine del tormentato poeta. Werther resta sempre un personaggio alienato, ma, con voce più grave, accentua la sua introversione, rendendola più credibile, così come appaiono più evidenti gli squilibri e gli eccessi d'ira e di fermento.
Normalmente siamo abituati a una Charlotte che ricambia i sentimenti di Werther. In questa versione, no. Charlotte prova quasi compassione nei confronti del poeta e nutre un sincero affetto nei suoi confronti, ma nulla che abbia a che spartire con un coinvolgimento amoroso. Pare quasi che Sophie e Charlotte nutrano il medesimo sentimento (diremmo di compassione) verso Werther, ma manifestato in modi diversi. Sophie è più esuberante, dall'animo palesemente dionisiaco e cerca di sollevare il morale di Werther dai suoi patimenti con la sua solarità e allegria. Charlotte, palesemente apollinea, è quasi materna, non ama Werther, ma sembra accusare una sorta di sindrome da crocerossina, che le impedisce di abbandonarlo, nonostante la gelosia di Albert.
La regia di Andrei Serban si presta sia all'interpretazione tradizionale della partitura in prima versione (quella col tenore e l'amore di Charlotte verso Werther), sia a quella che stiamo ora descrivendo. La scena di Peter Pabst vede il dramma svolgersi ai piedi di una grande quercia, fra i rami della quale passa un grande ponte. Ai piedi dell'albero si alternano i vari ambienti, mediante il semplice inserimento di pochi elementi. In principio alcune panchine e un'altalena, pochi fondamentali arredi per la dimora di Charlotte e Albert e un materasso per la morte del protagonista suicida.
Le intensità e gli squilibri dell'animo di Werther sono ben sottolineati non solo dall'orchestra, ma anche dal calare di un telo, capace di rendere torvo il cielo, grazie alla sua tinta e al disegno di alcune nubi plumbee. I costumi, a cura di Peter Pabst e Petra Reinhardt, sono eleganti e raffinati e, assieme agli elementi di arredo, contribuiscono a trasporre le vicende negli anni '50 del XX secolo.
Proporre la versione col baritono protagonista, potrebbe risultare assai rischioso, poiché, almeno in teoria, delle sonorità più gravi risultano meno penetranti e i tormenti del poeta rischierebbero di esser meno esplicitati. Abbiamo usato il condizionale, perché questo pericolo non sussiste se nel ruolo del titolo si ha la fortuna di ascoltare un immenso Ludovic Tézier, probabilmente il più grande fra i baritoni oggi in attività. Il suo Werther è entusiasmante sotto ogni punto di vista: statico e introverso, cela le sue pene e si rifugia nell'isolamento. È il fraseggio a restituire tutto ciò che alberga nell'anima del protagonista e Tézier è capace di porgere la parola magistralmente, sorretto da una tecnica impeccabile, emissione eccellente e squillo memorabile. Strepitoso il suo terzo atto, quando si reca da Charlotte, residente in una casa borghese tristemente agghindata da addobbi natalizi. È immobile e inquietante e palesa il crescente squilibrio grazie a una mimica facciale visibile in ogni anfratto della Wiener Staatsoper. Lo sguardo si fa fisso e spiritato, mentre il mento comincia a tremare nervosamente; Tézier accarezza una pistola posta su un mobile, quando Charlotte (accorgendosi della situazione) gli chiede frettolosamente di tradurle i versi di Ossian. È qui che si nota la più grande differenza con la versione tenorile, poiché la linea di “Pourquoi me réveiller, ô souffle du printemps!” diventa meno esuberante e più inquietante. Non mancano solo le ascese all'acuto (per altro eseguite nella ripresa della frase musicale), ma è l'intera scrittura a mutare, conferendo a Werther un'aurea torva. Dopo l'aria, il tormento di Werther si palesa e da alienato diviene furente innanzi al rifiuto amoroso di Charlotte e getta all'aria alcune sedie, preludio dell'estremo gesto conclusivo.
Accanto a Tézier, troviamo l'eccellente Charlotte di Sophie Koch: dolce e materna con Wether cerca di porre freno ai suoi turbamenti, stretta fra l'amore che il poeta prova verso di lei e la gelosia sempre più insistente di Albert. La Koch è brava a rendere l'equilibrio e la morbidezza caratteriale di Charlotte, sia dal punto di vista teatrale, sia da quello vocale. Sicura nell'affrontare una parte che già aveva più volte ricoperto con successo, è ideale compagna di Tézier. Bellissima l'esecuzione delle due arie “Werther! Qui m'aurait dit - Ces lettres!” e, soprattutto, di “Va, laisse couler mes larmes”.
Molto bene anche la Sophie di Maria Nazarova: precisa vocalmente e eccellente interprete scenica, rende al meglio il carattere della vivace sorella di Charlotte, generosa, amorevole ed esuberante al tempo stesso.
Di livello anche il resto della compagnia di canto composta da Adrian Eröd (Albert), Alexandru Moisiuc (Le Bailli), Peter Jelosits (Schmidt) Marcus Pelz (Johann).
Eccellente anche la concertazione di Frédéric Chaslin, che guida l'orchestra della Wiener Staatsoper con mano sicura, bella varietà di colori e con scelte dinamiche che assecondano la lettura dei significati dell'opera nella versione con baritono protagonista. Da sottolineare l'intensità di tutte le sezioni nel rimarcare tutte le variazioni degli stati d'animo di Werther e degli altri protagonisti.
Al termine successo per tutti gli artisti impegnati, nell'ottica di una rivincita letteraria di Goethe.
foto: Michael Pöhn/ Wiener Staatsoper e Axel Zeininger/ Wiener Staatsoper