Colori, girandole, precisione
di Irina Sorokina
Il capolavoro di Prokof'ev, di non frequente rappresentazione, torna a Mosca in una produzione eclettica, gioiosa e piena di vita.
MOSCA, 7 ottobre 2017 - Il grande violoncellista Mstislav Rostropovic disse di Sergej Prokof'ev: “Era appassionato di sole tre cose: abiti colorati, profumi francesi, precisione”. Noi diciamo dell’allestimento di Matrimonio al convento del grande compositore sovietico riproposto al Teatro Accademico Musicale K. S. Stanislavskij e V. I. Nemirovic-Dancenko di Mosca: “Abiti colorati, girandole, precisione”.
I teatri non troppo spesso deliziano il pubblico con questo capolavoro di Prokof'ev; gli spettatori di mezza età ricorderanno lo spettacolo, che non ebbe tanto successo, proposto al Bolshoj nei benedetti tempi del celebre Boris Pokrovskij. Nel 2000 il direttore artistico del secondo teatro d’opera e balletto moscovita, Aleksandr Titel’, mise in scena il proprio Matrimonio al convento, un allestimento eclettico, gioioso, pieno di vita. Diciassette anni dopo, ecco il gran ritorno, sotto la direzione dell’eminente concertazione Aleksandr Lazarev e con la partecipazione degli artisti “vecchi”, affermati ed amati dal pubblico, e “nuovi”, chiamati a dimostrare il loro valore sul palcoscenico del prestigioso teatro moscovita.
Molta, tanta nostalgia del periodo sovietico; molti, tanti dicono: “Stavamo male, ma questi tempi ci mancano”. Sembra che i registi Aleksandr Titel’ e Ljudmila Naljotova alleati con lo scenografo Vladimir Aref’ev vogliano placare delicatamente questa nostalgia. Una dolce Siviglia settecentesca della commedia di Sheridan viene sostituita da una Mosca (o un’altra città sovietica) dell’epoca della creazione dell’opera, esattamente negli anni precedenti alla Grande Guerra Patriottica del 1941-1945. Aref’ev fa di un giocattolo per bambini, la girandola bianca, un vero simbolo dello spettacolo. Chissà che la girandola non richiami l'elica di un aeroplano degli anni ’30? E l’aeroplano, a sua volta, scatena la fantasia dello scenografo che si riferisce chiaramente agli indimenticabili simboli della cultura sovietica di quel tempo: il mondo pieno di gioia e speranza, dove al posto del cuore tutti hanno il motore ardente (come recita una famosa canzone d’epoca), appartiene ai ragazzi e alle ragazze sportivi nelle buffe mutande color nero o bianco e magliette a righe, piloti muniti di una tuta bianca e dagli occhiali caratteristici, postine con borse a tracolla, pompieri coi caschi dorati, coppie di innamorati ed (ops!) qualche funzionario.
Girandole, girandole, girandole ovunque, e cosa fa di loro un collaudato tandem di registi, Aleksandr Titel’ e Ljudmila Naljotova? Le fa girare, ovviamente, ricordando, molto probabilmente, la propria infanzia. Le girandole a volte stancano l’occhio, ma divertono sempre. Possono trasformarsi nei fiori che innaffia Don Jerome, ma riservano altre sorprese. Gli abiti e gli accessori dei tempi di Dejneka e di altri famosi pittori d’epoca vengono usati, però, per allestire una vivace commedia dell’arte; sportivi, piloti, postine, pompieri innamorati e funzionari vengono affiancati dalle maschere facilmente riconoscibili in abiti colorati. Come se non bastasse, troviamo sul palco una sirena e dei pesci. Le numerose gag sono ispirate dai cliché dell’opera seria da cui sembrano usciti una patetica Clara e un maestoso Don Carlos, un gemello del Commendatore mozartiano. E l’assolo più romantico, la serenata di Don Antonio, viene cantato sul tubo dell’acqua piovana. Come si fa a non ricordare i famosi versi di Vladimir Majakovskij: “Potreste suonare un notturno sul flauto del tubo dell’acqua piovana”?
Sul palcoscenico del Teatro Stanislavskij un cast affascinante ed efficiente, cui fanno parte molti giovani ed Elena Manistina, attualmente solista del Teatro Bolshoj. Valerij Mikitskij inevitabilmente diventa un beniamino del pubblico calandosi perfettamente nei panni del Don Jerome, un padre dispotico e iper energico, ma nello stesso tempo buono; recita con una sorprendente maestria e canta con una certa esuberanza. Deliziose due coppie di innamorati, Inna Klochko (Louisa) e Aleksandr Nesterenko (Don Antonio), Larissa Andreeva (Clara d’Almanza) e Pjotr Sokolov (Ferdinand), tutti dotati di buoni e freschi mezzi vocali e physique du rôle e gli ottimi attori. Alle capacità recitative dei giovani cantanti non ha niente da invidiare un esperto Evgenij Polikanin nel ruolo di Don Carlos, che con una santa pazienza canta e recita racchiuso in una statua a rotelle e si trova in una perfetta sintonia con un esilarante Denis Makarov nel ruolo di Mendoza. Una vera protagonista dello spettacolo risulta, però, Elena Manistina nel ruolo della Duenna, fisicamente imponente, molto femminile, seducente e ironica, ma soprattutto dotata di una voce piena e vellutata e della capacità di… giocare a calcio! Bravo tutto il resto del cast: Feliks Kudrjavtsev (padre Agostino), Dmitrij Polkopin (padre Elustaf), Il’ja Pavlov (padre Chartreuse), Maksim Osokin (padre Benedettino), Sergej Nikolaev, Mikhail Golovushkin (novizi), Viktor Moisejkin (Lopez), Valerija Zajtseva (Lauretta).
Sul podio Aleksandr Lazarev, una vera celebrità, per decenni legato al Bolshoj, dove dal 1987 al 1995 ha coperto i ruoli del direttore artistico e direttore principale (diresse anche Matrimonio al convento), guida con la mano sicura l’orchestra del teatro, senza evitare, però, sonorità troppo forti e poco raffinate. Lo affianca un grande maestro del coro, Stanislav Lykov, presenza ormai storica al Teatro Stanislavskij.
Un gran bel lavoro compie la coreografa Irina Lychagina, autrice di una vera “partitura” plastica dello spettacolo, sofisticate e romantiche sono le luci di Ildar Bederdinov.
Atmosfera entusiasta, successo pieno e tanti applausi.