Paesaggi interiori
di Luigi Raso
Una prima assoluta della portoghese Clotilde Rosa e poi Mozart e Čajkovskij a delineare paesaggi interiori come filo conduttore del concerto al Centro Cultural de Belém di Lisbona.
Lisbona 14 maggio 2017 - Reconhecimento è il titolo dell’ultimo concerto della stagione sinfonica 2016-2017 del Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona presso il Centro Cultural de Belém della capitale lusitana: un percorso nell’intimità di tre compositori che si snoda attraverso una prima esecuzione mondiale, Paisagem Interior di Clotilde Rosa, il Concerto per clarinetto e orchestra in la maggiore K 622 di Wolfgang Amadeus Mozart e la celeberrima sinfonia Patetica di Pëtr Il'ič Čajkovskij.
In apertura, il debutto assoluto di Paisagem Interior della compositrice e arpista portoghese Clotilde Rosa (nata l’11 maggio 1930) rappresenta lo specchio della vita della stessa artista: un cammino segnato dai contrasti marcati, evidenziati dall’uso preponderante delle percussioni (in particolare la marimba), dall’esaltazione dell’elemento ritmico che si stempera in piccoli squarci melodici, i quali, attraverso un fitto dialogo all’interno delle frasi tra percussioni, legni e archi, si tramutano nel finale in sonorità intimistiche che ricompongono le cesure musicali del brano.
Alle due arpe, strumento d’elezione della compositrice, è affidato il ruolo di evocare l’atmosfera sonora all’interno della quale si incornicia il “paesaggio interiore” della compositrice.
Buona la prova dell’Orchestra sinfonica portoghese, la quale, sotto la direzione di Alan Buribayev, giovane kazako, dà prova di grande precisione in una partitura che richiede perfetta sincronia tra le sezioni orchestrali e mutevolezza della tavolozza timbrica.
Dai giorni nostri il “percorso interiore” del concerto retrocede all’anno 1791, agli ultimi, intensi e prolifici mesi della vita di Wolfgang Amadeus Mozart, il quale scrive il sublime Concerto in la maggiore per clarinetto e orchestra K 622 (prima esecuzione: Praga, 7 ottobre 1791), capolavoro dell’ “ultimo stile” mozartiano insiemeal Concerto per pianoforte e orchestra n. 27 in si bem. maggiore K 595 (del gennaio dello stesso 1791).
La dolcezza e la giocosità del primo movimento si stempera nel ripiegamento interiore dell’Adagio del secondo: un’oasi melodica dalla semplicità disarmante e sublime, che attraverso mezzi parchi ed essenziali si pone tra le vette di tutta la produzione strumentale (e non solo) mozartiana.
Il giovanissimo e promettente clarinettista Horácio Ferreira è particolarmente abile a evidenziare, attraverso l’uso di una cesellata dinamica priva di bruschi e improvvisi contrasti, il procedere fluido delle melodie, a sottolineare il gioco di contrasti tra strumento solista e orchestra, raggiungendo momenti di notevole bellezza timbrica e intensità espressiva nel crepuscolare, pacato e ripiegato in se stesso Adagio centrale, per poi approdare con sicurezza alla luminosità del Rondò finale.
Buoni l’intesa musicale e l’amalgama sonoro con l’orchestra e la direzione di Buribayev, il quale stacca tempi mai eccessivi, sia negli Allegri dei movimenti estremi, che nell’Adagio centrale, facendo così progredire l’iter melodico con apollineo senso della misura e mediante sonorità mai pesanti, ma dal colore orchestrale rifinito e a tratti rarefatto (nel secondo movimento).
Alla placida accettazione della finis vitae da parte del compositore salisburghese segue, nel “contrasto d’affetti” del programma del concerto, la Sinfonia n. 6 in si minore, op. 74 ”Patetica” (prima rappresentazione: San Pietroburgo, 16 Ottobre 1893) di Pëtr Il'ič Čajkovskij.
La Patetica è l’ultima istantanea di un’esistenza lacerata, tormentata da un Destino avverso; opera estrema dal pessimismo distruttivo del russo, si contrappone radicalmente alla perfetta sintesi delle forme e alla meditazione del concerto di Mozart, compositore tanto adorato e venerato da Čajkovskij, quanto da quest’ultimo lontano per affinità emotive.
Dell’ultima partitura di Čajkovskij (il compositore morirà dopo nove giorni la sua prima esecuzione) la direzione di Buribayev dà una lettura improntata all’esaltazione dei contrasti sonori e del non ricomposto conflitto tra i temi melodici: particolarmente efficace è la contrapposizione tra la melodia in re maggiore introdotta dagli archi con sordina e il successivo e inaspettato fortissimo dell’allegro vivo, che tronca brutalmente l’apparente oasi di serenità evocata dagli archi.
Un plauso alla precisione (merce rara anche nelle più blasonate orchestre!) ritmica e sonora degli ottoni (in particolare ai tromboni e al basso tuba), i quali centrano perfettamente tutte le note.
La direzione si snoda attraverso un ben calibrato Allegro con grazia, nel quale spicca il suono vellutato dei violoncelli, per poi giungere all’Allegro vivace del terzo movimento, vivace e ritmato dialogo tra fiati e legni e percussioni, eseguito con precisione dalle sezioni dell’orchestra.
Gli archi introducono con suono incisivo ed espressivo il tormentato Adagio lamentoso del movimento finale: buona la resa del crescendo della melodia introdotta dagli archi, un’illusione di calma, forse un piacevole ricordo, dopo il grido di disperazione del tema iniziale.
Di grande effetto il pianissimo con il quale si chiude la partitura (e la vita), al quale si contrappone, con grande effetto, l’accentuazione dinamica del palpitìo delle ultime note ripetutamente ribattute dai violoncelli.
Lungo silenzio (per fortuna non interrotto da precipitosi applausi…) allo spegnersi delle ultime note al termine della sinfonia e convinti applausi da parte del non folto pubblico presente al Centro Cultural de Belém.