L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Dvořák e Brahms. Un dittico

 di Stefano Ceccarelli

In due concerti consecutivi, Yuri Temirkanov sarà sul podio dell’orchestra dell’ Accademia Nazionale di Santa Cecilia, di cui è direttore onorario. Il primo concerto prevede un dittico di Brahms e Dvořák con il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 77 di Johannes Brahms, con Julia Fischer come solista, e a seguire l’esecuzione della Sinfonia n. 9 in mi minore “Dal Nuovo Mondo” op. 95 di Antonín Dvořák per una serata stupenda di musica.

ROMA, 9 giugno 2017 – Un ciclo di concerti di Yuri Temirkanov è sempre un evento, piacevole e gradito. Oltre a essere direttore stabile dell’orchestra di San Pietroburgo – che ci ha dimostrato, qui a Roma, più volte il suo valore artistico – Temirkanov, giova ricordarlo, è da un biennio direttore onorario dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

Questa liaison artistica, che tradisce tutta l’ammirazione che i maestri d’orchestra hanno per il russo, è palpabile nell’ottima intesa fra direttore e complessi. Il programma è equilibratamente diviso in due opere. Il Concerto op. 77 di Brahms non è certo nuovo alla ‘veterana’ Julia Fischer, che l’ha già eseguito in Accademia col compianto Sinopoli nel primo anno del nuovo millennio. Il concerto, come quello čajkovskiano celeberrimo, fu giudicato ‘antiviolinistico’, ai limiti dell’eseguibilità: questo per attestare a che livello di difficoltà esecutiva si attesta la partitura. La Fischer, fortunatamente, non sembra curarsi di questi pregiudizi: l’entrée della violinista, nell’Allegro non troppo (I), dimostra che la tedesca possiede nel tocco, nell’intonazione perfetta, nella pacatezza volumetrica del suono, le sue più eccellenti doti. Una pulizia, lontana fortunatamente da una vana asetticità, ingentilisce il tutto. Tutti i virtuosismi sono affrontati con elegante scioltezza: dalle parti più melodiche promana caldo lirismo, dal tema principale – letto con teutonica asserzione – alla cadenza, irta di grandi difficoltà, culminanti nell’estatico trillo in filato. Temirkanov dirige magnificamente, scandendo un’agogica sensibile alle variazioni sentimentali del testo e compartecipe del discorso musicale: l’orchestra è stupenda. Dell’Adagio Temirkanov legge un’introduzione incredibilmente delicata: la Fischer, ancora, entra nel discorso con maestria, con pastorale dolcezza, soffermandosi nei respiri del suono del violino, particolarmente nelle zone acute. Trascolora nella sezione in minore con pacatezza, ritornando alla tonalità d’impianto e terminando assieme a Temirkanov in maniera smagliante. Il movimento finale la vede destreggiarsi nel virtuosismo del «motivo insieme rustico ed eroico, dal sapore tzigano» (G. Mattietti, dal programma di sala) assieme a Temirkanov, che imposta un’agogica che ammicca a una vivacità coreutica. Gli applausi sono assai sentiti: la Fischer regala, a mo’ di bis, il secondo dei Capricci di Paganini.

Il dittico è completato dalla stupenda Nona di Dvořák, la sinfonia “Dal Nuovo Mondo”, capolavoro del boemo, forse il suo pezzo più conosciuto. Fin dal I movimento, Termirkanov imposta una direzione pittorica attentissima ai particolari: riesce a espandere e contrarre i suoni con estrema maestria, a creare colori nuovi col solo, spesso quasi impercettibile, variare dei volumi delle masse orchestrali. Un momento incredibile è il passaggio dall’Adagio all’Allegro molto, quando tiene, fino al possibile, il tremulo d’archi: nell’Allegro il ‘primitivismo’ dvořakiano (che nel gioco allusivo tipicamente sinfonico e mitteleuropeo doveva minare la musica degli abitanti, appunto, del nuovo mondo: nativi americani e afroamericani) emerge in tutto il suo splendore nel motivo puntato, circolare, dei legni. Assolutamente magnifica la sensibilità con cui Temirkanov imposta il Largo, aprendo sempre al vapore atmosferico del suono, soffice terreno sonoro su cui far andare, con schiettezza tutta russa, il delicatissimo tema cantato dal corno inglese, una melopea evocante gli spirituals che il boemo aveva sentito in suolo americano. Smagliante, brillantissimo lo Scherzo (III), dove vediamo l’arte di Temirkanov in tutto il suo splendore: crea, infatti, dei colori incredibili, ritardando, alle volte quasi impercettibilmente, l’agogica e rendendo più brillanti le riprese e i galoppi dell’orchestra. Già Bernstein, cultore di questa partitura – per ovvie ragioni – aveva sperimentato una simile sensibilità nel dirigere la sinfonia, dilatando fino agli estremi taluni momenti (come il Largo). Temirkanov ha polso evidentemente più fermo: il suo intendo è altro, è scultoreo più che eminentemente emozionale. La potenza cui riesce a portare l’orchestra nel finale ne è ottimo esempio. E gli applausi scoppiano genuini.

 


 

 

 
 
 

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