Monteverdi e Giacobbi, doppio anniversario
di Roberta Pedrotti
Nell'annuale concerto della cappella di San Petronio per la solennità del patrono di Bologna emergono le voci di Valentina Coladonato, Elena Cecchi Fedi, Carlo Vistoli, Alberto Allegrezza e Riccardo Pisani.
BOLOGNA, 3 ottobre 2017 - La dotta, la rossa, la grassa… comunque vogliate definire Bologna, il suo cuore più autentico se ne sta ben nascosto, dissimulato dal caos universitario. Lo si vede emergere di quando in quando, come in occasione della festa del santo patrono, ben paragonabile alle celebrazioni dell’eroe eponimo in un’antica polis. Allora, nel massimo spolvero dei suoi mezzi, l’antica cappella arcivescovile (fondata nel 1436) si fa orgoglio e portavoce della città per il concerto offerto nella cattedrale di San Petronio.
È sempre un’emozione veder tanta gente gremire le navate per raccogliersi e identificarsi in una serata di musica barocca, resa lussureggiante dalla spazializzazione a corona del presbiterio, anche se, nell’immesità degli spazi che solo pochi giorni prima avevano ospitato la visita papale e il pranzo per gli indigenti, il suono giungerà negli angoli estremi magari nebulizzato e non nitido e plastico quanto alle distanze più ravvicinate.
Poco male, anche questo fa parte della storia della gloriosa tradizione musicale bolognese e della stessa, immensa, basilica, la cui secolare gestazione ha reso il presbiterio una magnifica culla acustica incastonata nella vastità dell’edificio. A Bologna è importante esser presenti, a godere d’ogni dettaglio pendendo dalle labbra degli interpreti o a carpire avidi le note che giungono metri e metri più in là.
Quest’anno il programma esula un po’ dalla consueta focalizzazione felsinea: niente Perti, Cazzati o Colonna, ma il meno eclatante concittadino Girolamo Giacobbi e il suo coetaneo Claudio Monteverdi, con il quale fu in contatto epistolare (mercé anche il maestro Adriano Banchieri). Ecco allora che si onora il doppio quattrocentocinquantesimo affiancando pagine del meno noto bolognese (Cantemus Domino, Salve Victima, Exsultat anima mea) ad altre del titano cremonese (Kyrie, Gloria, Iubilet tota civitas, Credo, Ab aeterno ordinata sum, Sanctus, Salve Regina, Agnus, Dixit). Certo, queste pagine liturgiche dalla Selva morale e spirituale di Monteverdi son di carattere più intimo e sottile rispetto alla spettacolarità lussureggiante di partiture nate per valorizzare in massimo grado le peculiarità acustiche di San Petronio, ma si tratta di capolavori tali da spazzar via qualunque dubbio per lasciar spazio all’inesauribile meraviglia di questa musica.
Sotto la guida del maestro di cappella Michele Vannelli, con i complessi petroniani e il coro Color temporis, abbiamo un parterre vocale che rasenterebbe lo scialo (ma il dettaglio prezioso in Monteverdi non è mai superfluo) se si pensa che, per esempio, un contraltista come Carlo Vistoli è stato convocato per intonare solo alcune pagine senza particolar rilievo solistico. La duttilissima lucentezza di Valentina Coladonato duetta a meraviglia con la morbidezza pudica, e non meno tornita per stile e tecnica, dell’altro soprano, Elena Cecchi Fedi; il timbro acuminato di Alberto Allegrezza è in perfetta simbiosi con la sua arte retorica e trova giusta controparte tenorile nel colore più ombreggiato e nell’eloquio non meno autorevole ma ben differenziato di Riccardo Pisani. Resta in ombra, più acerbo, il terzo tenore, Giovanni Biswas, occasionalmente chiamato anche a sostenere anche la linea del secondo alto, così come si nota poco il basso Gabriele Lombardi. L’altro basso è Marcello Vargetto, per i cui mezzi le immani difficoltà dello splendido mottetto Ab aeterno ordinata sum sono parse, purtroppo, un po’ sproporzionate.
Una città che si raccoglie intorno a Monteverdi, con solisti che non saranno, magari, divi globali, ma fra i quali troviamo indubbiamente alcuni fra i migliori interpreti attuali di questo repertorio, strumentisti di valore (citiamo almeno Sara Dieci e Francesco Tansini sui due magnifici organi della basilica) e due cori composti in larga parte da giovani appassionatamente dediti alla causa. C’è di cui esser felici, rinnovando ogni anno l’emozione di questo concerto.
Resta però un po’ di amaro in bocca guardandosi intorno in quei posti del presbiterio che son da sempre culla dei più raffinati e attenti ascoltatori, quest’anno disturbati da un gruppetto di eleganti signori e signore intenti a distrarsi con chiacchiere, sorrisetti, cellulari senza, in più casi, resistere alla tenzazione di una fuga più o meno alla chetichella nel corso della serata. Un brutto spettacolo: paula maiora canamus, ché lassù si canta e si suona Monteverdi!