Norma oltre il mito
di Antonino Trotta
Va oltre la celebrazione di un’istituzione la Norma al Teatro Carlo Felice di Genova: Mariella Devia, Annalisa Stroppa e Stefan Pop regalano una prova di gran classe nel capolavoro belliniano diretto da Andrea Battistoni.
Leggi la recensione della recita con Desirée Rancatore, Valentina Boi, Roberto Iuliano
Genova, 28 Gennaio 2018 – «E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Mariella». Questo avremmo trovato nelle sacre scritture se domenica Matteo avesse cercato un posto libero al Teatro Carlo Felice di Genova. Pieno fino all’orlo, l’ente lirico genovese porta a casa un pirotecnico risultato con la Norma che vede protagonista la triade Devia-Stroppa-Pop.
Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi firmano la regia di questo allestimento – già visto a Macerata e Palermo - in cui l’universo femmineo si stempera in una dimensione religiosa di profonda ritualità che fa da cornice all’intera azione drammatica. Le scenografie di Federica Parolini trovano nello stile dell’artista sarda Maria Lai una genuina fonte di ispirazione per l’uso preponderante del materiale tessile, qui canovaccio metafisico, che contraddistingue questa produzione priva di riferimenti spaziali e temporali. Il sostrato mistico è continuamente evidenziato nei dettagli che circondano l’ambientazione: il lungo cordone rosso che dalla base della stilizzata quercia di Irminsul corre teso verso il cielo palesa la connessione viscerale con l’universo quasi fosse un cordone ombelicale. La maternalità infatti è una delle tante sfaccettature di Norma evidenziate in questo taglio registico. Maternale è il rapporto con i figli, con Adalgisa, con la natura. Le incursioni nell’universo psicologico dei personaggi consentono una lettura introspettiva del testo drammaturgico che trova nei curati giochi di luce di Luigi Biondi un linguaggio visivo immediato. Linguaggio non sempre coerente, c’è da ammetterlo, ma assolutamente suggestivo nella dialogica delle immagini. Meno accattivanti i costumi di Daniela Cernigliaro, a volte in linea con le scenografie, a volte decontestualizzanti (l’uscita di scena delle ministre nel primo atto ha immediatamente richiamato alla mia mente Les pêcheurs de perles di Bizet).
Energica, al timone dell’orchestra del Carlo Felice, la direzione del giovane Andrea Battistoni, nel complesso garante di un ottimo equilibrio tra buca e palcoscenico. Il manto orchestrale riceve la giusta calibrazione con dinamiche e tempi che valorizzano la scrittura belliniana pur conservando un occhio di riguardo per le esigenze degli artisti. Padrone della situazione, Battistoni più di una volta corregge con prontezza il tiro dell’orchestra, penalizzata da un’eccessiva esuberanza degli ottoni, durante gli interventi del coro, preparato dal Maestro Franco Sebastiani, non sempre omogeneo e preciso negli attacchi, nonostante la buona sonorità.
Grandissime soddisfazioni arrivano dalla compagnia vocale. Indiscussa sacerdotessa del bel canto, Mariella Devia, prossima al ritiro dalle scene operistiche, conferma ancora una volta di essere un punto di riferimento nel panorama lirico internazionale. Artista sublime per raffinatezza stilistica e dovizia vocale, plasma la sua Norma con estrema perizia tecnica. Puntature adamantine, suoni rotondi, arcate lunghe, legato impeccabile, fraseggio nitido: la Norma della Devia trova nella dimensione belcantista tutte le sfumature drammatiche richieste dal personaggio. Interminabile l’applauso dopo la celeberrima «Casta Diva» che il pubblico genovese tributa all’artista conterranea.
Dopo il successo della sua Bersi nell’Andrea Chénier alla Scala di Milano [leggi], Annalisa Stroppa riveste i panni della giovane ministra del tempio di Irminsul con grazia e incisività. Timbrata in tutta la tessitura, sonora, morbida, la voce della Stroppa trova in Adalgisa una nuova stella sotto cui rilucere. Ottima la commistione con la Devia, per colore e intesa, nei duetti, dove si lambiscono alte vette emozionali.
Non immacolata ma efficace la performance di Stefan Pop nel ruolo di Pollione. Al netto di qualche imprecisione in termini di intonazione nel primo atto, il tenore romeno si impone per squillo e mole vocale, adeguatamente messa a servizio di una interpretazione plastica e variegata. Il modo di porgere le frasi è accattivante e l’accentazione preserva, anche nei momenti di maggior impeto, grazie ed eleganza.
Voce granitica e bel timbro pastoso consentono a Riccardo Fassi di dipingere un Oroveso di grande valore scenico e musicale. Perfettamente a fuoco, puntuale nell’emissione, Fassi offre l’opportunità di riscoprire il capo dei druidi in quella spietata religiosità che permette alla “ragione di Dio” di prevaricare la “ragione del cuore”. La voce, tuttavia, perde spessore nella zona più bassa. All’altezza del resto del cast Manuel Pierattelli (Flavio) ed Elena Traversi (Clotilde).
Tripudio di applausi in conclusione di questo spettacolo che celebra il mito nel mito, con ovazioni da stadio per la protagonista della serata. Ci si abituerà alla sua assenza dalle scene?
foto Marcello Orselli