L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'innocenza del crepuscolo

 di Roberta Pedrotti

La regina del Belcanto incarna la regina d'Inghilterra nella purezza di un'interpretazione toccante per la sublimazione del sentimento della donna nell'espressione vocale. La direzione di Sebastiano Rolli, la regia di Alfonso Antoniozzi, la volitiva e parimenti umbratile Sara di Sonia Ganassi ingemmano il trionfo di Mariella Devia.

PARMA, 18 marzo 2018 -  “Son donna”, sospira Elisabetta nel finale agognando l'amichevole conforto di Sara – che ancora non sa essere sua rivale in amore – e perdonando già in cuor suo l'infedele conte di Essex. “Son donna”, e in questa semplice asserzione si rapprende tutta la lettura di Mariella Devia in quello che si preannuncia come addio alla protagonista di Roberto Devereux. “Son donna” non in quanto “domina”, ma in quanto creatura umana e come tale soggetta a quei sentimenti negati ai sovrani nell'esercizio del loro ruolo.

La regina d'Inghilterra e la regina del Belcanto accarezzano la dolcezza di un raccoglimento intimo, quasi un ritorno alle origini che mescola la purezza dell'infanzia alla melanconia del tramonto. Perfino sulla scena gli estremi si confondono dietro la maschera del potere, complici la figura minuta del soprano, la biacca in viso i paludamenti regali che progressivamente l'avvolgono, trasformandola in un'icona vivente.

Allo stesso modo, l'autorità anche rabbiosa della Regina, lo slancio dell'invettiva, si ricalibra in un amaro dovere denso di rimpianto, mentre la vera Elisabetta riluce negli slanci intimi, nella solitudine, in un finale mai stato così autentico. Forse perché la natura antica della voce di Gilda e Amenaide, che il tempo e l'arte avevano reso anche la più formidabile Lucrezia Borgia degli ultimi anni, riemerge con un sorriso d'innocenza che non ha nulla di grottesco, bensì di dolce e commuovente, nel suo riunire gli estremi della vita.

Tutto, giustamente, ruota intorno alla Regina Vergine, cristallizzata nel suo ruolo di guida civile religiosa e militare, ma privata di quell'umanità che più che rivendicare rimpiange. Tutto ruota intorno alla grande Regina del Belcanto, a quella purezza primigenia che riemerge e s'illumina di dramma quando blandisce teneramente Nottingham che crede infiammato dalla fedeltà alla sovrana e non dal proprio onore di sposo e amico. Un piccolo abbaglio nella costellazione delle mille delusioni di un'esistenza votata alla dimensione pubblica a discapito di quella privata. Così la vediamo, sagomina adolescenziale e spettrale, avvolgersi d'una spettacolare corazza dorata, come una Madonna da processione, o fragile e incanutita accasciarsi sotto il peso sovrastante di un manto che diviene la mappa di un nuovo mondo in cui la sua Inghilterra è divenuta, da periferia europea, potenza economica e politica internazionale.

Mariella Devia è donna ancor più che primadonna, e ciò rende questo suo estremo Roberto Devereux un toccante (auto) ritratto di Elisabetta e di Mariella, della loro forza insita nei loro mille potenti volti sul palcoscenico del teatro e del trono.

Com'è giusto la bacchetta abile e sensibile di Sebastiano Rolli la coccola senza mai perder di vista l'equilibrio interno del capolavoro donizettiano, che non si trasforma mai in pretesto a favore della diva, ma con la protagonista respira nota per nota. Com'è giusto Alfonso Antoniozzi cuce il suo spettacolo intorno alla sua Regina e con un'idea semplice (la maschera del potere sovrastata da un destino capriccioso e beffardo incarnato da un inquietante giullare) sviluppa una visione scenica tanto chiara ed essenziale quanto efficace. Lo schema dei movimenti, della disposizione degli attori ha un ché di rituale, metateatrale, ben raccolto nelle scene di Monica Manganelli, che assommano elementi storici con quinte e americane nude, nelle luci cupe di Luciano Novelli e nei costumi di Gianluca Falaschi, che a loro volta si fanno elementi narrativi spiccando con i loro dettagli estrosi  ma sempre significativi (oltre al simbolismo citato per la regina, val la pena ricordare i legami cromatici fra Nottingham, deus ex machina della tragedia, e il sardonico giullare del trono).

Nella corona vocale che circonda la Regina spicca la partner storica Sonia Ganassi, per la quale questo repertorio non ha segreti: la tessitura la trova sempre pronta, con acuti  penetranti e fraseggio accorato. A questa Sara dolce ma anche volitiva si contrappone il Nottingham schiettamente vilain di Sergio Vitale, complessivamente efficace, anche se una stretta non fluidissima nel duetto con la consorte lo fa presupporre più versato ad altro repertorio. Sarebbe, invece, perfetto per questo Donizetti il tenore Stefan Pop, se solo la musicalità lo soccorresse maggiormente nel definire il fascino irresistibile di Roberto Devereux, che invece qui risulta alquanto monocorde, né sempre irreprensibile pur nella generosità dello strumento. Matteo Mezzaro (Cecil), Ugo Guagliardo (Gualtiero), Andrea Goglio (paggio) e Daniele Cusari (familiare di Nottingham) completano il cast con l'ottimo coro istruito da Martino Faggiani. 

Il trionfo era prevedibile, ma è anche tutto meritato.

foto Roberto Ricci


 

 

 
 
 

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